Dal Cie di Torino al Marocco, espulso con mani e piedi legati in aereo: il pilota si rifiuta di partire
Legato
mani e piedi e caricato su un aereo in partenza per il
Marocco. Martedì 26 è il giorno del suo rimpatrio. Le nuove
manette di velcro lo cingono al punto che il giovane marocchino si
lamenta. Chiede di essere ammanettato “normalmente”. Richiesta
rifiutata.
Viene
caricato così legato su un aereo di linea. È quello che lo
riporterà a casa. Ma non vuole viaggiare e soprattutto arrivare
in patria come Hannibal Lecter. In aereo il marocchino si lamenta,
chiede ancora la cortesia di un normale ammanettamento. C’è
una colluttazione, quattro agenti lo bloccano. Due sopra il
busto, due alle gambe, tra gli sguardi attoniti dei passeggeri. La
confusione richiama l’attenzione dell’equipaggio. Interviene
il capitano, che si rifiuta
di trasportare il marocchino legato in quel modo.
Agenti e
giovane sono invitati a scendere. Niente volo, niente rimpatrio.
Viene portato in una
stanza
dell’aeroporto di Malpensa dove, denuncia il ragazzo, per un’ora non gli sono risparmiati maltrattamenti. Botte che avrebbero lasciato segni su tutto il corpo.
dell’aeroporto di Malpensa dove, denuncia il ragazzo, per un’ora non gli sono risparmiati maltrattamenti. Botte che avrebbero lasciato segni su tutto il corpo.
Poi di
nuovo nella macchina della polizia verso Torino, corso
Brunelleschi, il Cie. Anche in auto schiaffi e minacce da
parte degli agenti. Tornato al Cie il marocchino chiede di essere
visitato da un medico, ma dal referto risulta che l’unica
a vederlo è una infermiera, che gli propone una iniezione
di antidolorifico.
Ricondotto
nella stanza che da due mesi è la sua casa, il
giovane chiama il 118, vuole una visita completa. Il
centralino del 118 telefona al Cie per conferma, ma dall’altro
capo del telefono negano, nessuno necessita di cure. Anche i
compagni di stanza del giovane effettuano chiamate per chiedere
soccorso ma, ancora una volta, il Cie risponde al 118 che non c’è
bisogno del loro intervento. Il
giovane inghiotte delle monete per costringere le
forze dell’ordine a portarlo in ospedale. Gli dicono che tanto
le evacuerà.
La sera
di giovedì 28 gli agenti scovano il
cellulare che il marocchino teneva nascosto. Le continue
chiamate al 118 disturbano i sorveglianti perché le sue richieste
d’aiuto stanno creando troppa confusione. Glielo sequestrano,
senza un provvedimento formale. La sottrazione dell’unico mezzo
per contattare la famiglia causa la reazione del giovane. Piange,
urla, chiede che gli sia restituito il telefonino. Infine spacca
un televisore e minaccia
di fulminarsi coi cavi scoperti. Ma non accade niente.
Oggi in
tribunale ha raccontato la sua storia, il giudice ha deciso per
l’obbligo di dimora a Torino fino alla conclusione del processo.
È accusato di resistenza
a pubblico ufficiale per gli episodi di Malpensa. A
Torino dovrà rispondere di danneggiamento
aggravato. Ma, a questo punto, forse, si dovrà
decidere anche se c’è stata violenza e violazione dei suoi
diritti. Il giovane è difeso dall’avvocato Gianluca Vitale
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