Ed effettivamente, sebbene nel suo linguaggio, anche
il giornalista è costretto ad ammettere in parte questa verità, quando dice: “Il
mondo è pieno di tensioni che giustifichino la ripresa delle spese militari. Ma non sempre è solo una questione di
geopolitica. Nella definizione dei bilanci per la Difesa, le linee che
vanno dalla stagnazione economica alla
crescita corrono parallele a quelle dell’aumento o della diminuzione della
minaccia alla sicurezza nazionale.”
Quindi, la “geopolitica”, la crisi economica mondiale,
la necessità della ripresa economica… tutto questo dovrebbe giustificare “Una
ripresa della crescita dei bilanci militari «che si prevede sostenibile per il resto del decennio».”
***
Armi, spese globali in crescita
04 maggio 2016
«Il 2015 è stato un anno importante per la Difesa»,
nota l’ultimo annuario del Csis, il Center for Strategic and International
Studies di Washington. «L’F35 dei Marines ha raggiunto la capacità operativa
iniziale; la Marina ha iniziato a costruire la sua nuova portaerei, la Uss John
F. Kennedy; l’Aeronautica ha aggiudicato l’appalto per il primo nuovo
bombardiere in 30 anni e l’Esercito quello per il veicolo tattico di prossima
generazione, il Jltv».
Sembra che continui a non esserci niente di nuovo sul
fronte occidentale. Secondo la dottrina Obama,
la superpotenza americana dispiega ora la sua forza in modo parco e selettivo. Ma non smette di essere la più forte e a garantire affari e lavoro all’apparato militare-industriale. Tuttavia anche il Csis, il più importante think-tank di esperti di Difesa al mondo, uno dei principali pulpiti politico-accademici della supremazia globale americana, evita i trionfalismi e guarda al futuro con realismo.
la superpotenza americana dispiega ora la sua forza in modo parco e selettivo. Ma non smette di essere la più forte e a garantire affari e lavoro all’apparato militare-industriale. Tuttavia anche il Csis, il più importante think-tank di esperti di Difesa al mondo, uno dei principali pulpiti politico-accademici della supremazia globale americana, evita i trionfalismi e guarda al futuro con realismo.
Le acquisizioni dei quattro corpi delle Forze armate
americane riguardano il futuro. Oggi, come indica l’annuario Csis, l’Esercito è
passato da 490mila soldati nel 2012 a 420mila; la Marina da 325 a 270 navi e da
12 a 10 portaerei; l’Aeronautica da 1.280 a 1.100 caccia; i Marines da 189 a
175mila uomini e donne. Nel 2015 il budget americano della Difesa da 595,3
miliardi di dollari valeva da solo il 36% del bilancio mondiale e per arrivare
alla stessa cifra si devono sommare quelli dei successivi nove paesi, dalla
Cina (seconda con 190,9 miliardi) alla Corea del Sud (decima con 35,7). Ma nel
2010 il bilancio militare americano era di 625 miliardi e valeva il 46% delle
spese globali.
Anche il XXI sarà in gran parte un secolo americano
come il XX: per alcuni decenni nessun’altra potenza potrà arrivare alla stessa
capacità di dispiegare una forza militare in ogni angolo del mondo, garantendo
sicurezza a se stessa e a una pletora di alleati. Ma una tendenza è stata
avviata se, nonostante la riduzione del bilancio americano, le spese globali
per la difesa sono in aumento, come sostiene il Jane’s Defence Budgets,
l’ultimo rapporto annuale di IHS. Erano 1.065 miliardi nel 2015 e saranno 1.068
quest’anno. Una ripresa della crescita dei bilanci militari «che si prevede
sostenibile per il resto del decennio».
Evidentemente le nazioni si riarmano in base alle
minacce che subiscono o credono di subire. Il mondo è pieno di tensioni che
giustifichino la ripresa delle spese militari. Ma non sempre è solo una
questione di geopolitica. Nella definizione dei bilanci per la Difesa, le linee
che vanno dalla stagnazione economica alla crescita corrono parallele a quelle dell’aumento
o della diminuzione della minaccia alla sicurezza nazionale.
L’Arabia Saudita e il resto del Golfo sono un esempio.
Da tempo i sauditi erano i maggiori acquirenti al mondo di sistemi d’arma. Già
il più grande compratore, nel 2014 il regno aveva aumentato le importazioni del
54% in un anno. Nel 2015 era suo un dollaro ogni sette spesi a livello
mondiale, secondo IHS. Ma alla fine di quell’anno, per la prima volta in un
decennio, ci sono stati dei tagli. «Abbiamo visto le prime riduzioni marginali»,
spiega Craig Caffrey, capo analista di IHS. «Ma ci aspettiamo diventino più
profonde nel 2016 quando» l’Arabia Saudita ma anche gli altri paesi del Golfo
«saranno obbligati a ricercare con più vigore il loro consolidamento fiscale».
Per l’Arabia Saudita e gli altri regni ed emirati del
Gcc, il Consiglio di cooperazione del Golfo, le minacce non sono diminuite. Le
crisi regionali non sembrano avere immediate vie d’uscita e nella regione il
loro ruolo politico e militare aumenta con le loro ambizioni geopolitiche. Ma
il prezzo del barile e l’insostenibile schema dei sussidi, spingono a ridurre
anche le spese militari.
Una condizione simile è quella russa. Dopo 10 anni di
aumento «sorprendente» delle spese militari – è triplicato dal 2007, fino a
raggiungere il 4,3% del Pil – ancora nel 2015 il bilancio della difesa era
passato da 45 a 54 miliardi di dollari. «Aveva incominciato a sembrare
insostenibile anche prima della crisi economica e fiscale» di quell’anno, dice
ancora Craig Caffrey di IHS. Ma ora «i tagli saranno inevitabili».
Una condizione opposta è quella dell’Europa
occidentale: secondo il Jane’s Defence Budgets per la prima volta dopo cinque
anni di tagli dell’1,3% l’anno, nel 2015 ha incominciato a spendere di più in
armamenti. Colpa dei conflitti in Medio Oriente, a cui i paesi più importanti
partecipano con le loro forze aeree; di una minaccia terroristica crescente; di
una crisi ucraina assopita, ma non conclusa. Ragioni più che sufficienti per
giustificare un aumento di spesa di 50 miliardi per i prossimi cinque anni. Da
tempo gli Stati Uniti chiedevano agli alleati europei della Nato di superare il
tetto del 2% del bilancio nazionale, come previsto dall’Alleanza. «Free
riders», scrocconi, li ha definiti Barack Obama nella sua intervista su The Atlantic
di aprile. Ma se non ci fosse stata la crescita economica del continente, che
nel 2015 sembrava più robusta di quanto invece non sia, difficilmente gli
europei avrebbero aumentato le loro spese militari.
Le regioni che più di altre faranno crescere i bilanci
per la Difesa per i prossimi cinque anni, sono l’Europa dell’Est e l’Estremo
Oriente. In nessun paese il bilancio cresce di quasi il 70% come in Ucraina.
Anche la Polonia e gli altri paesi dell’ex Patto di Varsavia, investono in
armamenti con una spesa del 13% superiore al passato. Ma se si aggiungono le
spese delle tre repubbliche baltiche, l’investimento sale al +20%.
Nessun commento:
Posta un commento