venerdì 6 maggio 2016

pc 6 maggio - Venti di guerra: 1000 miliardi di dollari all’anno, aumenta la spesa mondiale per le armi

In questo articolo del quotidiano della Confindustria, Il Sole 24 Ore, che riprende lo studio annuale del Centro per gli Studi Strategici e Internazionali di Washington, il giornalista prova a dimostrare che la spesa per le armi sia dovuta alle “paure” di ogni stato per le minacce che ci sono o possono venire dal “terrorismo” principalmente, ribaltando di fatto la realtà che è questa descritta nel nostro volantino del 1° maggio: “L’imperialismo, in nome della lotta al terrorismo, che esso stesso – come lo ‘stato islamico’ ISIS – ha foraggiato e alimentato, scatena guerre in tutto il Medio oriente, Libia Siria – guerre che bombardano e uccidono la povera gente, per il profitto, il petrolio, il controllo geostrategico conteso tra le diverse potenze imperialiste”.


Ed effettivamente, sebbene nel suo linguaggio, anche il giornalista è costretto ad ammettere in parte questa verità, quando dice: “Il mondo è pieno di tensioni che giustifichino la ripresa delle spese militari. Ma non sempre è solo una questione di geopolitica. Nella definizione dei bilanci per la Difesa, le linee che vanno dalla stagnazione economica alla crescita corrono parallele a quelle dell’aumento o della diminuzione della minaccia alla sicurezza nazionale.”
Quindi, la “geopolitica”, la crisi economica mondiale, la necessità della ripresa economica… tutto questo dovrebbe giustificare “Una ripresa della crescita dei bilanci militari «che si prevede sostenibile per il resto del decennio».”

***
Armi, spese globali in crescita

04 maggio 2016
«Il 2015 è stato un anno importante per la Difesa», nota l’ultimo annuario del Csis, il Center for Strategic and International Studies di Washington. «L’F35 dei Marines ha raggiunto la capacità operativa iniziale; la Marina ha iniziato a costruire la sua nuova portaerei, la Uss John F. Kennedy; l’Aeronautica ha aggiudicato l’appalto per il primo nuovo bombardiere in 30 anni e l’Esercito quello per il veicolo tattico di prossima generazione, il Jltv».
Sembra che continui a non esserci niente di nuovo sul fronte occidentale. Secondo la dottrina Obama,
la superpotenza americana dispiega ora la sua forza in modo parco e selettivo. Ma non smette di essere la più forte e a garantire affari e lavoro all’apparato militare-industriale. Tuttavia anche il Csis, il più importante think-tank di esperti di Difesa al mondo, uno dei principali pulpiti politico-accademici della supremazia globale americana, evita i trionfalismi e guarda al futuro con realismo.
Le acquisizioni dei quattro corpi delle Forze armate americane riguardano il futuro. Oggi, come indica l’annuario Csis, l’Esercito è passato da 490mila soldati nel 2012 a 420mila; la Marina da 325 a 270 navi e da 12 a 10 portaerei; l’Aeronautica da 1.280 a 1.100 caccia; i Marines da 189 a 175mila uomini e donne. Nel 2015 il budget americano della Difesa da 595,3 miliardi di dollari valeva da solo il 36% del bilancio mondiale e per arrivare alla stessa cifra si devono sommare quelli dei successivi nove paesi, dalla Cina (seconda con 190,9 miliardi) alla Corea del Sud (decima con 35,7). Ma nel 2010 il bilancio militare americano era di 625 miliardi e valeva il 46% delle spese globali.
Anche il XXI sarà in gran parte un secolo americano come il XX: per alcuni decenni nessun’altra potenza potrà arrivare alla stessa capacità di dispiegare una forza militare in ogni angolo del mondo, garantendo sicurezza a se stessa e a una pletora di alleati. Ma una tendenza è stata avviata se, nonostante la riduzione del bilancio americano, le spese globali per la difesa sono in aumento, come sostiene il Jane’s Defence Budgets, l’ultimo rapporto annuale di IHS. Erano 1.065 miliardi nel 2015 e saranno 1.068 quest’anno. Una ripresa della crescita dei bilanci militari «che si prevede sostenibile per il resto del decennio».
Evidentemente le nazioni si riarmano in base alle minacce che subiscono o credono di subire. Il mondo è pieno di tensioni che giustifichino la ripresa delle spese militari. Ma non sempre è solo una questione di geopolitica. Nella definizione dei bilanci per la Difesa, le linee che vanno dalla stagnazione economica alla crescita corrono parallele a quelle dell’aumento o della diminuzione della minaccia alla sicurezza nazionale.
L’Arabia Saudita e il resto del Golfo sono un esempio. Da tempo i sauditi erano i maggiori acquirenti al mondo di sistemi d’arma. Già il più grande compratore, nel 2014 il regno aveva aumentato le importazioni del 54% in un anno. Nel 2015 era suo un dollaro ogni sette spesi a livello mondiale, secondo IHS. Ma alla fine di quell’anno, per la prima volta in un decennio, ci sono stati dei tagli. «Abbiamo visto le prime riduzioni marginali», spiega Craig Caffrey, capo analista di IHS. «Ma ci aspettiamo diventino più profonde nel 2016 quando» l’Arabia Saudita ma anche gli altri paesi del Golfo «saranno obbligati a ricercare con più vigore il loro consolidamento fiscale».
Per l’Arabia Saudita e gli altri regni ed emirati del Gcc, il Consiglio di cooperazione del Golfo, le minacce non sono diminuite. Le crisi regionali non sembrano avere immediate vie d’uscita e nella regione il loro ruolo politico e militare aumenta con le loro ambizioni geopolitiche. Ma il prezzo del barile e l’insostenibile schema dei sussidi, spingono a ridurre anche le spese militari.
Una condizione simile è quella russa. Dopo 10 anni di aumento «sorprendente» delle spese militari – è triplicato dal 2007, fino a raggiungere il 4,3% del Pil – ancora nel 2015 il bilancio della difesa era passato da 45 a 54 miliardi di dollari. «Aveva incominciato a sembrare insostenibile anche prima della crisi economica e fiscale» di quell’anno, dice ancora Craig Caffrey di IHS. Ma ora «i tagli saranno inevitabili».
Una condizione opposta è quella dell’Europa occidentale: secondo il Jane’s Defence Budgets per la prima volta dopo cinque anni di tagli dell’1,3% l’anno, nel 2015 ha incominciato a spendere di più in armamenti. Colpa dei conflitti in Medio Oriente, a cui i paesi più importanti partecipano con le loro forze aeree; di una minaccia terroristica crescente; di una crisi ucraina assopita, ma non conclusa. Ragioni più che sufficienti per giustificare un aumento di spesa di 50 miliardi per i prossimi cinque anni. Da tempo gli Stati Uniti chiedevano agli alleati europei della Nato di superare il tetto del 2% del bilancio nazionale, come previsto dall’Alleanza. «Free riders», scrocconi, li ha definiti Barack Obama nella sua intervista su The Atlantic di aprile. Ma se non ci fosse stata la crescita economica del continente, che nel 2015 sembrava più robusta di quanto invece non sia, difficilmente gli europei avrebbero aumentato le loro spese militari.
Le regioni che più di altre faranno crescere i bilanci per la Difesa per i prossimi cinque anni, sono l’Europa dell’Est e l’Estremo Oriente. In nessun paese il bilancio cresce di quasi il 70% come in Ucraina. Anche la Polonia e gli altri paesi dell’ex Patto di Varsavia, investono in armamenti con una spesa del 13% superiore al passato. Ma se si aggiungono le spese delle tre repubbliche baltiche, l’investimento sale al +20%.

Nessun commento:

Posta un commento