Finalmente, mentre si avvicina la sentenza di primo grado al processo in corso presso il tribunale di Paola, uno spiraglio di luce squarcia la nebbia mediatica che grava sulla vicenda della fabbrica veneto-calabrese. L'articolo è scritto bene. Si leggono testimonianze di alcuni protagonisti della vicenda e un breve riassunto di quello che è successo a Praia a Mare. Chi non conosce (o non ha voluto conoscere) la tragedia del lavoro che si è consumata in quello stabilimento di proprietà del conte Rivetti, poi dell'ENI (e, quindi, della Lanerossi) e infine della Marzotto, ha l'occasione di essere informato.
Si spera che, tra i tanti lettori de “il Venerdì”, qualcuno abbia voglia di approfondire la storia della Marlane e della battaglia per ottenere verità e giustizia. Verrebbe a conoscenza, così, di quelle cose che non sono state scritte nell'articolo. Conoscerebbe finalmente chi ha testardamente continuato a lottare per ottenere verità e giustizia. Conoscerebbe chi ha chiuso gli occhi, chi non ha voluto vedere pur dovendolo fare, chi è stato indifferente pur sapendo. Si renderebbe conto che, a muoversi e mantenere viva la lotta, sono stati solo quei “piccoli” sindacati SLAI COBAS e SI COBAS, quelle associazioni ambientaliste calabresi, quei pochi lavoratori (nell'articolo viene citato il solo Luigi Pacchiano) che, proprio per la loro “cocciutaggine” e la loro fierezza, sono stati spesso contrastati dalle “grandi” organizzazioni sindacali......
Ecco, chi volesse approfondire l'articolo uscito oggi nell'inserto settimanale de “La Repubblica”, verrebbe a conoscenza che, tra gli imputati per i quali sono state chieste pene che vanno dai 3 ai 6 anni di reclusione, si possono leggere i nomi di Piero Marzotto, di un ex sindaco di Valdagno (Lorenzo Bosetti), dei massimi dirigenti della Marzotto e della Lanerossi. Saprebbe che questi imputati eccellenti sono difesi da avvocati altrettanto eccellenti, famosi e, certamente, costosi (uno per tutti, Niccolò Ghedini). Saprebbe che si è fatto di tutto per rinviare e bloccare il processo con cavilli pretestuosi ed eccezioni che ne hanno dilatato a dismisura i tempi. Saprebbe che la Marzotto, sfruttando rassegnazione e necessità, ha dato qualche migliaia di euro alle famiglie degli operai deceduti e agli ammalati per ottenere, in cambio, il loro ritiro dal processo. Si renderebbe conto che, quello che si sta concludendo al tribunale di Paola con la sentenza di primo grado, è un processo importante che avrebbe dovuto grande risalto e che, invece, è sconosciuto alla maggioranza dell'opinione pubblica perché poco o nulla si è detto e scritto di una tragedia del lavoro che ha pochi paragoni in Italia e in Europa.
Della storia della Marlan-Marzotto di Praia a Mare si può leggere in un bel libro intitolato “Marlane: la fabbrica dei veleni” scritto da Francesco Cirillo e Luigi Pacchiano con la collaborazione di Giulia Zanfino. Un libro che ripercorre tutta la vicenda con dolorosa partecipazione. Oppure (ma una cosa non esclude l'altra) si può vedere una trasmissione andata in onda a tarda ora su Rai3 qualche anno fa (Crash, 16 novembre 2011).
Chi legge l'articolo di oggi de “il Venerdì”, forse può capire come, per chi ha vissuto la tragedia della Marlane e non si è arreso, non siano passati invano tutti questi anni trascorsi a lottare contro un muro di gomma per ottenere semplicemente il diritto inalienabile alla verità e alla giustizia.
Ritornano alla mente i ricordi di una battaglia difficile proprio perché oscurata, i volti di chi ha lottato e continua a lottare, le voci di chi ha perso i propri cari. E ci si rende conto della profonda ingiustizia che c'è in una società nella quale troppo spesso bisogna accettare l'odioso ricatto occupazionale imposto dal padrone. Una società spaventosa nella quale, per poter sopravvivere, si è stati costretti a lavorare in condizioni di estrema pericolosità e precarietà mentre qualcuno, che vive quella regione molto lontana in ogni senso dalla Calabria qual è il Veneto, si è arricchito anche grazie a tutto questo.
da contropiano
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