A Rojava, Kobane le forze combattenti curde stanno resistendo all'attacco dell'Isis, ma devono lottare anche contro l'imperialismo che col pretesto dell'Isis, interviene nella zona.
Noi siamo con le forze che in questa lotta non si appoggiano all'imperialismo il cui disegno di fornire le armi ai Peshmerga ha il solo scopo di mettere i suoi artigli per il controllo di una area strategica.
Riportiamo alcune notizie stampa sulla situazione dei kurdi, sulla fase attuale e soprattutto sul ruolo volutamente ambiguo degli Stati della zona e degli Usa.
Ripubblichiamo inoltre parti dell'intervista fatta da proletari comunisti all'artista e militante comunista turca, Pinar Aydinlar.
Riportiamo alcune notizie stampa sulla situazione dei kurdi, sulla fase attuale e soprattutto sul ruolo volutamente ambiguo degli Stati della zona e degli Usa.
Ripubblichiamo inoltre parti dell'intervista fatta da proletari comunisti all'artista e militante comunista turca, Pinar Aydinlar.
"...i curdi in Siria sono circa il 9% della popolazione, sono la più grande minoranza etnica del paese. Vivono prevalentemente nel Kurdistan della Siria.I curdi negli ultimi 90 anni hanno dovuto lottare per preservare la propria esistenza. Sono stati massacrati da tutti i governi che sono succeduti in Iraq, in Turchia, in Iran e in Siria. In quest’ultimo paese, nel corso della massiccia politica di arabizzazione iniziata nel 1962, a circa 200 mila cittadini curdi è stata negata la cittadinanza siriana.
Questo gruppo di cittadini senza patria, insieme ai propri discendenti anche loro senza diritti, non hanno nessuna identità, in quanto il regime siriano prima nell’era del padre Hafiz Al Assad poi quello del figlio Bashar Al Assad non hanno mai riconosciuto questi curdi come cittadini di quel Paese.
La situazione rimase invariata fino alla rivolta della popolazione Siriana contro il regime di Assad nel 2011. All’indomani dell’abbandono degli apparati governativi dalle zone curde. I curdi per colmare il vuoto lasciato del regime, hanno creato tre cantoni – Afrin, Jazira e Konabe – abitati da una confederazione di popoli e etnie. Curdi, Assiri, Turcomanni, Siriani, Arabi, Armeni si sono confederati e i rappresentanti dei propri villaggi hanno volontariamente aderito alla confederazione del Kurdistani Rojava ovvero Kurdistan dell’Ovest. Ogni villaggio elegge i suoi rappresentanti che amministrano leggi e giustizia a livello locale e partecipano alla politica di ogni piccolo cantone.
Questa situazione non è andata giù alla Turchia, perché il problema curdo è una sua spina nel fianco: teme (ma senza alcuna ragione) che, nella confusa situazione siriana, potrebbe nascere una Regione curda siriana sul modello dei loro fratelli curdi Iracheni e che questa potrebbe poi unirsi ai curdi della Turchia, che ormai lottano da anni per la loro libertà. Quindi è cominciato un intenso lavoro di provocazioni da parte di agenti turchi, così si sono intensificate le infiltrazioni e gli attacchi delle bande criminali come Jebhat Al Nusra affiliato ad al Qaeda, ma aiutato del governo Turco e, sotto direzione dei Servizi turchi, hanno attaccato le città del Kurdistan occidentale.
Gli intensi combattimenti in corso in queste ore, intorno alla zona di Kobane continuano. I Peshmerga delle due forze curde Unità di Protezione Popolare (Ypg) e Unione delle donne (Ypj) stanno difendendo Kobane e i villaggi circostanti nonostante le risorse molto limitate e le armi leggere contro gli assassini dell’Isis super aramati.
Salih Muslim, co-presidente delle Pyd, ha spiegato che «alcuni Stati» hanno reclutato l’Isis per mettere fine all’autogoverno curdo e al sistema democratico nel Rojava (il Kurdistan siriano). «Abbiamo costruito un sistema che riconosce differenti fedi – ha detto Muslih — i diritti delle donne e le lingue madri di popoli diversi…ciò non sta bene a quegli Stati …che hanno cercato assassini mercenari e l’Isis faceva al caso loro».
La Turchia che da un lato sostiene di partecipare alla lotta contro l’Isis e dall’altro non ha alcun interesse a fermare i jihadisti che assediano Kobanè. La Turchia, che ha il controllo del nord di Kobanè – l’unico lato che non è sotto assedio dell’Isis -, impedisce a qualsiasi aiuto di raggiungere la città, quindi ai combattentti curdi del Pkk di unirsi alla difesa della città.
La Turchia, l’Arabia Saudita e gli Emirati hanno sostenuto in Siria organizzazioni terroristiche perchè il loro scopo era quello di rovesciare il presidente Bashar Assad e così facendo hanno contribuito a far scoppiare la guerra tra musulmani sunniti e sciiti.
Gli Stati Uniti sapevano e non hanno fatto nulla per fermare gli “alleati”. Anzi, attraverso le riunioni del gruppo “Amici della Siria” hanno prima segretamente e poi apertamente dato il via libera alle forniture di armi ai ribelli anti-Assad che poi, in parte, le hanno vendute o consegnate ai jihadisti"
Intervista a Pinar Aydinlar, artista e militante comunista rivoluzionaria turca
pc – Nella riunione
di Donna Nuova che ho seguito e a cui ho portato il saluto delle
nostre compagne, ti ho sentito proporre una campagna internazionale a
sostegno delle combattenti curde della regione di Rojawa/Kobane. Una
lotta di cui nel nostro paese si sa poco. Potresti parlarmi meglio di
questa lotta?
Pinar – A Rojawa c’è una
guerriglia di liberazione nazionale che va avanti da molto tempo e
che negli ultimi mesi sta vivendo una situazione molto difficile,
sotto attacco congiunto delle forze dell’ISIS e degli altri
eserciti che combattono nel Kurdistan siriano. Ma, rispetto ad altre
guerriglie e lotte rivoluzionarie di liberazione nazionale, la
particolarità di questa lotta è il ruolo importante che vi giocano
le donne rivoluzionarie curde.
Donne che hanno rifiutato il ruolo
subordinato, gli affetti familiari, per prendere le armi e
combattere. E, cosa più importante, nessuna di loro si è mai
arresa. Io, nel mio piccolo mi sento vicina a loro.
È una lotta antimperialista.
L’imperialismo si oppone da sempre all’autonomia del popolo curdo
nella regione e, soprattutto, perché sa bene che questo movimento è
diverso dagli altri movimenti autonomisti, proprio grazie al ruolo in
esso delle donne rivoluzionarie.
Quando son stata a Kobane, la regione
turca al confine con Rojawa, ho conosciuto una situazione durissima e
difficilissima, fatta di guerra, stupri, massacri di bambini, ma ho
visto anche come a questo 300 compagne rivoluzionarie curde hanno
fatto la scelta di attraversare la frontiera per unirsi alla
guerriglia di Rojawa.
Nei prossimi giorni Partizan lancerà
ufficialmente un appello internazionale per una campagna e una
delegazione che vada a Kobane per realizzare un progetto concreto di
solidarietà. Ma anche prima dell’appello, già ora è importante
chiamare tutti a prendere posizione e realizzare iniziative di
solidarietà.
Questa non è certo una campagna solo
“delle donne”, ma, proprio per il ruolo che in essa vi svolgono
le donne assume un grande valore per tutti i rivoluzionari, i
comunisti, gli antimperialisti e, allo stesso tempo, chiama tutte le
rivoluzionare a assumere l’iniziative e avere un ruolo in prima
linea a sostegno di questa lotta antimperialista.
A Rojawa donne e bambini sono
le prime vittime della guerra e dell’ideologia dell’ISIS, ma,
molto più che a Gaza, le donne di Rojawa non sono solo le prime
vittime, sono le prime combattenti.
Come a Gaza, riguardo ad Hamas, non
contano le differenze che abbiamo con la direzione di questa lotta,
che a Rojawa è dei peshmerga dell’YPG. Per noi conta che è una
lotta di liberazione di un popolo che l’imperialismo vuole
sottomesso e, soprattutto, che il ruolo in essa delle donne
rivoluzionarie ne fa una lotta per la liberazione sociale, non solo
nazionale.
Le donne che lasciano le case per
combattere non lottano solo per l’autodeterminazione del loro
popolo, lottano per la loro stessa liberazione.
Esse chiedono alle donne di non stare a
casa, di prendere le armi e questo la rende una lotta rivoluzionaria.
E se si guarda alla condizione delle donne nel resto del Medio
Oriente e alla loro posizione all’interno della lotte che si
sviluppano nella regione, risalta ancora di più l’importanza di
questa lotta, che è una “rivoluzione di donne” potremmo dire.
Quanto a me è parte del mio lavoro di
artista rivoluzionaria dare voce come posso a queste combattenti, e
pagarne il prezzo, se occorre.
Detto questo, però, la discussione si
è concentrata sulla situazione in Kurdistan, a Rojava, Kobane, dove
le masse curde stanno resistendo all'attacco dell'Isis e dove nello
stesso tempo interviene ora l'imperialismo col pretesto dell'Isis. I
compagni stanno per andare in quella zona in questi giorni per
sostenere la battaglia e di conseguenza a sviluppare una campagna
internazionale.
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