lunedì 6 ottobre 2014

pc 6 ottobre - CON I COMBATTENTI KURDI CONTRO L'ISIS E CONTRO L'IMPERIALISMO

A Rojava, Kobane le forze combattenti curde stanno resistendo all'attacco dell'Isis, ma devono lottare anche contro l'imperialismo che col pretesto dell'Isis, interviene nella zona. 
Noi siamo con le forze che in questa lotta non si appoggiano all'imperialismo il cui disegno di fornire le armi ai Peshmerga ha il solo scopo di mettere i suoi artigli per il controllo di una area strategica.

Riportiamo alcune notizie stampa sulla situazione dei kurdi, sulla fase attuale e soprattutto sul ruolo volutamente ambiguo degli Stati della zona e degli Usa.

Ripubblichiamo inoltre parti dell'intervista fatta da proletari comunisti all'artista e militante comunista turca, Pinar Aydinlar. 

"...i curdi in Siria sono circa il 9% della popo­la­zione, sono la più grande mino­ranza etnica del paese. Vivono pre­va­len­te­mente nel Kur­di­stan della Siria.I curdi negli ultimi 90 anni hanno dovuto lot­tare per pre­ser­vare la pro­pria esi­stenza. Sono stati mas­sa­crati da tutti i governi che sono suc­ce­duti in Iraq, in Tur­chia, in Iran e in Siria. In quest’ultimo paese, nel corso della mas­sic­cia poli­tica di ara­biz­za­zione ini­ziata nel 1962, a circa 200 mila cit­ta­dini curdi è stata negata la cit­ta­di­nanza siriana.
Que­sto gruppo di cit­ta­dini senza patria, insieme ai pro­pri discen­denti anche loro senza diritti, non hanno nes­suna iden­tità, in quanto il regime siriano prima nell’era del padre Hafiz Al Assad poi quello del figlio Bashar Al Assad non hanno mai rico­no­sciuto que­sti curdi come cit­ta­dini di quel Paese.
La situa­zione rimase inva­riata fino alla rivolta della popo­la­zione Siriana con­tro il regime di Assad nel 2011. All’indomani dell’abbandono degli appa­rati gover­na­tivi dalle zone curde. I curdi per col­mare il vuoto lasciato del regime, hanno creato tre can­toni – Afrin, Jazira e Konabe – abi­tati da una con­fe­de­ra­zione di popoli e etnie. Curdi, Assiri, Tur­co­manni, Siriani, Arabi, Armeni si sono con­fe­de­rati e i rap­pre­sen­tanti dei pro­pri vil­laggi hanno volon­ta­ria­mente ade­rito alla con­fe­de­ra­zione del Kur­di­stani Rojava ovvero Kur­di­stan dell’Ovest. Ogni vil­lag­gio elegge i suoi rap­pre­sen­tanti che ammi­ni­strano leggi e giu­sti­zia a livello locale e par­te­ci­pano alla poli­tica di ogni pic­colo cantone.

Que­sta situa­zione non è andata giù alla Tur­chia, per­ché il pro­blema curdo è una sua spina nel fianco: teme (ma senza alcuna ragione) che, nella con­fusa situa­zione siriana, potrebbe nascere una Regione curda siriana sul modello dei loro fra­telli curdi Ira­cheni e che que­sta potrebbe poi unirsi ai curdi della Tur­chia, che ormai lot­tano da anni per la loro libertà. Quindi è comin­ciato un intenso lavoro di pro­vo­ca­zioni da parte di agenti tur­chi, così si sono inten­si­fi­cate le infil­tra­zioni e gli attac­chi delle bande cri­mi­nali come Jeb­hat Al Nusra affi­liato ad al Qaeda, ma aiu­tato del governo Turco e, sotto dire­zione dei Ser­vizi tur­chi, hanno attac­cato le città del Kur­di­stan occidentale.

Gli intensi com­bat­ti­menti in corso in que­ste ore, intorno alla zona di Kobane con­ti­nuano. I Pesh­merga delle due forze curde Unità di Pro­te­zione Popo­lare (Ypg) e Unione delle donne (Ypj) stanno difen­dendo Kobane e i vil­laggi cir­co­stanti nono­stante le risorse molto limi­tate e le armi leg­gere con­tro gli assas­sini dell’Isis super ara­mati.
Salih Muslim, co-presidente delle Pyd, ha spie­gato che «alcuni Stati» hanno reclu­tato l’Isis per met­tere fine all’autogoverno curdo e al sistema demo­cra­tico nel Rojava (il Kur­di­stan siriano). «Abbiamo costruito un sistema che rico­no­sce dif­fe­renti fedi – ha detto Muslih — i diritti delle donne e le lin­gue madri di popoli diversi…ciò non sta bene a que­gli Stati …che hanno cer­cato assas­sini mer­ce­nari e l’Isis faceva al caso loro».
La Tur­chia che da un lato sostiene di par­te­ci­pare alla lotta con­tro l’Isis e dall’altro non ha alcun inte­resse a fer­mare i jiha­di­sti che asse­diano Kobanè. La Tur­chia, che ha il con­trollo del nord di Kobanè – l’unico lato che non è sotto asse­dio dell’Isis -, impe­di­sce a qual­siasi aiuto di rag­giun­gere la città, quindi ai com­bat­tentti curdi del Pkk di unirsi alla difesa della città. 
La Tur­chia, l’Arabia Sau­dita e gli Emi­rati hanno soste­nuto in Siria orga­niz­za­zioni ter­ro­ri­sti­che per­chè il loro scopo era quello di rove­sciare il pre­si­dente Bashar Assad e così facendo hanno con­tri­buito a far scop­piare la guerra tra musul­mani sun­niti e sciiti. 
Gli Stati Uniti sape­vano e non hanno fatto nulla per fer­mare gli “alleati”. Anzi, attra­verso le riu­nioni del gruppo “Amici della Siria” hanno prima segre­ta­mente e poi aper­ta­mente dato il via libera alle for­ni­ture di armi ai ribelli anti-Assad che poi, in parte, le hanno ven­dute o con­se­gnate ai jihadisti"

Intervista a Pinar Aydinlar, artista e militante comunista rivoluzionaria turca

pc – Nella riunione di Donna Nuova che ho seguito e a cui ho portato il saluto delle nostre compagne, ti ho sentito proporre una campagna internazionale a sostegno delle combattenti curde della regione di Rojawa/Kobane. Una lotta di cui nel nostro paese si sa poco. Potresti parlarmi meglio di questa lotta?
Pinar – A Rojawa c’è una guerriglia di liberazione nazionale che va avanti da molto tempo e che negli ultimi mesi sta vivendo una situazione molto difficile, sotto attacco congiunto delle forze dell’ISIS e degli altri eserciti che combattono nel Kurdistan siriano. Ma, rispetto ad altre guerriglie e lotte rivoluzionarie di liberazione nazionale, la particolarità di questa lotta è il ruolo importante che vi giocano le donne rivoluzionarie curde.
Donne che hanno rifiutato il ruolo subordinato, gli affetti familiari, per prendere le armi e combattere. E, cosa più importante, nessuna di loro si è mai arresa. Io, nel mio piccolo mi sento vicina a loro.
È una lotta antimperialista. L’imperialismo si oppone da sempre all’autonomia del popolo curdo nella regione e, soprattutto, perché sa bene che questo movimento è diverso dagli altri movimenti autonomisti, proprio grazie al ruolo in esso delle donne rivoluzionarie.
Quando son stata a Kobane, la regione turca al confine con Rojawa, ho conosciuto una situazione durissima e difficilissima, fatta di guerra, stupri, massacri di bambini, ma ho visto anche come a questo 300 compagne rivoluzionarie curde hanno fatto la scelta di attraversare la frontiera per unirsi alla guerriglia di Rojawa.
Nei prossimi giorni Partizan lancerà ufficialmente un appello internazionale per una campagna e una delegazione che vada a Kobane per realizzare un progetto concreto di solidarietà. Ma anche prima dell’appello, già ora è importante chiamare tutti a prendere posizione e realizzare iniziative di solidarietà.
Questa non è certo una campagna solo “delle donne”, ma, proprio per il ruolo che in essa vi svolgono le donne assume un grande valore per tutti i rivoluzionari, i comunisti, gli antimperialisti e, allo stesso tempo, chiama tutte le rivoluzionare a assumere l’iniziative e avere un ruolo in prima linea a sostegno di questa lotta antimperialista.
A Rojawa donne e bambini sono le prime vittime della guerra e dell’ideologia dell’ISIS, ma, molto più che a Gaza, le donne di Rojawa non sono solo le prime vittime, sono le prime combattenti.
Come a Gaza, riguardo ad Hamas, non contano le differenze che abbiamo con la direzione di questa lotta, che a Rojawa è dei peshmerga dell’YPG. Per noi conta che è una lotta di liberazione di un popolo che l’imperialismo vuole sottomesso e, soprattutto, che il ruolo in essa delle donne rivoluzionarie ne fa una lotta per la liberazione sociale, non solo nazionale.
Le donne che lasciano le case per combattere non lottano solo per l’autodeterminazione del loro popolo, lottano per la loro stessa liberazione.
Esse chiedono alle donne di non stare a casa, di prendere le armi e questo la rende una lotta rivoluzionaria. E se si guarda alla condizione delle donne nel resto del Medio Oriente e alla loro posizione all’interno della lotte che si sviluppano nella regione, risalta ancora di più l’importanza di questa lotta, che è una “rivoluzione di donne” potremmo dire.
Quanto a me è parte del mio lavoro di artista rivoluzionaria dare voce come posso a queste combattenti, e pagarne il prezzo, se occorre.
Detto questo, però, la discussione si è concentrata sulla situazione in Kurdistan, a Rojava, Kobane, dove le masse curde stanno resistendo all'attacco dell'Isis e dove nello stesso tempo interviene ora l'imperialismo col pretesto dell'Isis. I compagni stanno per andare in quella zona in questi giorni per sostenere la battaglia e di conseguenza a sviluppare una campagna internazionale.

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