.....Al centro della protesta c’era certamente il progetto di “buona scuola” di Renzi,
che punta a rendere sempre più simile la scuola a un’azienda, con
presidi-manager onnipotenti, insegnanti in competizione fra loro per
accedere agli scatti di stipendio, studenti disciplinati, indottrinati e
costretti a “formarsi” in stage e tirocini, privati che controllano i
consigli d’istituto… Ma, e qui torniamo a Repubblica, oggi c’era qualcosa in più.
Perché – stranamente, se pensiamo ai tanti corporativismi che attraversano il nostro paese – non era solo la scuola al centro della protesta del mondo della scuola. C’era anche il tema di questi giorni, quello che più sta aprendo contraddizioni negli assetti di governo, quello per cui stanno scioperando e scendendo in piazza operai e lavoratori più o meno precari: il Jobs Act.
Repubblica è costretto a notarlo sin dal titolo: Studenti in piazza contro Jobs Act e riforma della scuola. E vicino pubblica un altro articolo dal titolo Gli studenti son tornati (per l'articolo 18). In effetti, andando oltre la propria specificità, in molte città e quasi spontaneamente
– perché questo è quello che sta nelle corde di tante famiglie
proletarie, di tanti genitori licenziati, di tanti fratelli precari – studenti
e insegnanti si sono presi la briga di dire la loro non solo su ciò che
li riguarda da vicino, ma sul problema più scottante, sulla
contraddizione più generale: quella del lavoro, fra chi vuole sfruttarci e farci produrre ricchezza per lui, e noi che resistiamo a questo sfruttamento che ci consuma.
D’altronde la connessione fra scuola e lavoro è sempre stata fortissima, e la impariamo sin da piccoli, quando l’appartenenza sociale dei nostri genitori stabilisce in quale scuola dobbiamo andare, cosa saremo da grandi, quali sogni ci possiamo permettere. Ma con la doppia riforma in simultanea del Governo Renzi questa connessione appare ormai palese.
Anche perché già oggi, e sempre di più domani, molti studenti degli
istituti tecnici sono costretti, per “formarsi”, a stage, ovvero lavori
non retribuiti, in fabbriche e aziende.
In altri termini, il Governo e le classi
dominanti attaccano allo stesso tempo sia il mondo della formazione che
quello del lavoro, non solo per piegarli alle stesse logiche di
sfruttamento, competizione, produttività, ma per ridisegnare complessivamente le nostre stesse condizioni di esistenza, dalla culla alla tomba (visto che la pensione non la vedremo!).
Ora, non basterebbero tre pagine per raccontare quello che è successo in tutte le piazze di oggi, e
la connessione che si sta dando fra due mondi spesso lontani della
scuola e del lavoro (mondi che, quando sono stati uniti, hanno fatto
paura: si pensi agli anni Settanta!). Facciamoci bastare qualche esempio.
A Torino lo striscione di apertura era “Scuola per tutti, precarietà per nessuno”.
A Milano alcuni studenti, per protestare contro i contratti iper-precari dell’Expo e contro il Jobs Act, hanno rovesciato del letame davanti alla sede dell’Università Cattolica.
A Firenze il corteo si è fermato davanti a Eataly, dando solidarietà alla lotta dei lavoratori licenziati da Farinetti.
A Terni 200 studenti hanno sfilato insieme ai lavoratori delle acciaierie Ast in sciopero dopo la rottura della trattativa sul piano industriale e l’avvio della procedura di mobilità per 537 lavoratori.
A Mantova (report), Benevento, Cava, Napoli, è
comparso lo stesso striscione che recitava: “Disciplinati oggi,
sfruttati domani: uniti e inflessibili contro il Jobs Act!”. Uno slogan
che prova a ricompattare la divisione che il Governo utilizza e rinforza
fra studenti e lavoratori, vecchi e giovani, “garantiti” e non
garantiti… Nello specifico a Napoli questa protesta si è addirittura
concretizzata con il lancio di vernice alla sede del Ministero del lavoro!
E potremmo continuare…
E potremmo continuare…
Quello che qui ci interessa evidenziare è che la ricomposizione della nostra classe è nelle cose, avviene in una certa misura spontaneamente, incomincia a individuare, per quanto ancora con discontinuità, la sua controparte nella classe che ci sfrutta e nel suo braccio “armato”, ovvero il Governo Renzi.
Proprio perché il Jobs Act cambierà da subito le nostre vite, e avrà enormi ripercussioni sul nostro futuro, indipendentemente da cosa materialmente siamo oggi, così la battaglia contro Jobs Act e contro le riforme di questo Governo può essere la battaglia di tutte e tutti, può essere il luogo in cui ritrovarci e far esplodere le mille contraddizioni che attraversano il paese.
Questo è uno spunto che le piazze ci consegnano verso il 16 ottobre, prossima giornata di mobilitazione: più che perderci in diecimila slogan e divisioni, meglio dare alle milioni di persone che ci guardano un segnale chiaro: mondo della scuola e mondo del lavoro (che - va da sé! - include anche il mondo del precariato e della disoccupazione) sono uniti per fermare il Governo Renzi. Ce la faremo?
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