Il 16 settembre del 1976 a La Plata,
Argentina, un'operazione della polizia militare portava al sequestro di sei
studenti tra i 14 e 17 anni, poi desaparecidos.
I sei giovanissimi liceali, militanti
dell'organizzazione peronista Unione degli Studenti Secondari, furono
sequestrati dallo Stato e internati in differenti campi di tortura in quanto
"sovversivi", ovvero "colpevoli" di lottare per i diritti
degli studenti, nello specifico in quanto promotori di una mobilitazione per il
riconoscimento del trasporto gratuito per gli studenti, un decreto approvato un
anno prima e poi revocato dal governo militare (lotta che è proseguita fino
allo scorso anno, quando è stata finalmente e nuovamente approvata la legge,
oggi definanziata dal governo Macri con l'obiettivo di annullarla de facto)
Dove si trova Santiago
Maldonado?
Santiago Maldonado è scomparso in Argentina il
1 agosto 2017 durante una repressione della Gendarmeria contro il popolo mapuche nelle terre dell’imprenditore italiano Benetton. Ad un mese dalla desapariciòn vi sono state moltitudinarie mobilitazioni in tutto il paese: a Buenos Aires la polizia ha caricato violentemente il corteo, sparando sulla folla lacrimogeni e proiettili di gomma e arrestando manifestanti e giornalisti. Oggi nuove testimonianze inchiodano alle proprie responsabilità lo Stato e la Gendarmeria.
1 agosto 2017 durante una repressione della Gendarmeria contro il popolo mapuche nelle terre dell’imprenditore italiano Benetton. Ad un mese dalla desapariciòn vi sono state moltitudinarie mobilitazioni in tutto il paese: a Buenos Aires la polizia ha caricato violentemente il corteo, sparando sulla folla lacrimogeni e proiettili di gomma e arrestando manifestanti e giornalisti. Oggi nuove testimonianze inchiodano alle proprie responsabilità lo Stato e la Gendarmeria.
Oltre duecentocinquantamila persone hanno manifestato
a Buenos Aires il 1 settembre, ad un mese dalla scomparsa di Santiago Maldonado
per mano della Gendarmeria, e altre decine di migliaia nel resto del paese
hanno reclamato l’apparizione in vita del giovane chiedendo le dimissioni del
presidente Macri e del Ministro degli Interni Bullrich. Alla fine della
manifestazione in Plaza de Mayo la polizia ha violentemente attaccato il corteo
che si stava sciogliendo.
Il tentativo di criminalizzare il movimento, fare
paura ed imporre una narrazione mediatica della giornata basata su immagini di
scontri con la polizia per togliere visibilità di una enorme e pacifica
manifestazione che reclamava apparizione in vita del giovane desaparecido, si
materializza verso le nove di sera con idranti, lacrimogeni, proiettili di
gomma. Come potete vedere nel video, non sono mancati i rastrellamenti e una
violenta caccia all’uomo per le strade del centro della capitale con decine di
feriti e 30 arresti, detenuti da venerdi fino a domenica notte, senza alcuna
assistenza legale nè medica (saranno rilasciati, grazie a 48 ore di
mobilitazione popolare e proteste dei legali, tra le quattro e le cinque del
mattino di lunedi). Come possiamo vedere nel video, gli arrestati urlavano il
proprio nome alla stampa per evitare di “scomparire” per mano della polizia,
che non solo ha picchiato ed arrestato i giornalisti che stavano documentando
le cariche ma, come testimoniato da diversi fermati, sul blindato che li
portava al commissariato intimava ai fermati di rispondere alle loro domande
minacciando che in caso contrario “finirete desaparecidos”. Si tratta della messa in pratica
di una pedagogia della crudeltà, come direbbe l’antropologa Rita Segato, volta
a distruggere legami di empatia e solidarietà sociale attraverso un
dispiegamento di massa di molteplici livelli di violenza sessista, razzista e
classista, che accompagnano l’avanzare delle politiche neoliberiste a livello
globale e che oggi in America Latina si dispiegano con rinnovata e particolare
violenza. Gli avvocati degli arrestati hanno denunciato manomissioni e
imprecisioni nei verbali degli arresti, finalizzati a giustificare la
repressione della manifestazione: come racconta su Tiempo
Argentino la giovane
fotografa Paola Montero (arrestata mentre documentava la repressione
poliziesca) è stata la polizia stessa ad attaccare il corteo che si stava
sciogliendo. A proposito di disciplinamento sessista dei corpi, a seguito di
una caccia all’uomo che ricorda quella dello sciopero internazionale delle
donne lo scorso 8 marzo, una delle ragazze arrestate ha denunciato di essere
stata costretta a desnudarsi e
di essere stata filmata da un poliziotto durante l’arresto.
Il nemico interno Il governo nega le responsabilità della Gendarmeria e
criminalizza il dissenso e la protesta sociale, costruendo il nuovo nemico
interno, lo stesso di sempre: i popoli indigeni, ed i mapuche in particolare,
diventano oggetto di fantomatiche e deliranti accuse di terrorismo e
separatismo. Già a gennaio vi era stata una pesantissima
repressione come prima
tappa di una strategia del governo che per l’ennesima volta tenta di “costruire
il prossimo nemico da sterminare” come afferma l’antropologa
Florencia Trentini: quando il Ministro Bullrich dice che non permetterà l’istituzione di una “repubblica
autonoma” mapuche, mente sapendo di mentire, perché lo storico reclamo dei
popoli mapuche, che vivono in Patagonia da ben prima della formazione degli
Stati nazione, non è mai stato quella della formazione di un altro Stato, ma la
rivendicazione del diritto alla terra e del diritto a vivere in modo
differente, ed infine il riconoscimento dell’Argentina come “Stato
plurinazionale che riconosca le diversità culturali”. La lotta per le terre
ancestrali, riconosciute nella Costituzione e dalla legge 26160 del 2006 – oggi
a rischio di cancellazione – diventa sempre più densa di ostacoli a causa dei
progetti estrattivi delle multinazionali, delle mega miniere e della
concentrazione delle terre nelle mani di pochi proprietari (stranieri) che
usurpano le terre indigene con la complicità dello Stato che privatizza e
reprime. L’obiettivo di questa intensa criminalizzazione della lotta sociale
(con arresti, perquisizioni e intimidazioni ad attivisti, organizzazioni per i
diritti umani e movimenti sociali a Cordoba la sera prima del corteo per
Santiago, in seguito ad una manifestazione contro il “gatillo facil” che
rivendicava verità e giustizia per i morti per mano della polizia) è quello di
creare paura ed impedire l’espansione della nuova ondata di protesta sociale
che in questi due anni sta quotidianamente contendendo giorno dopo giorno le
piazze e le strade del paese in risposta alle politiche di austerità del
governo Macri. Come segnala Diego Stzulwark in una
bellissima intervista a cura di Amador Fernandez, la sovrapposizione della logica di un’economia
estrattivista con il tentativo di definire come “terrorista” (in linea con le
indicazioni del Comando Sud degli Stati Uniti che definisce i mapuche un
pericolo per la sicurezza dello Stato) ogni forma di resistenza alla
spoliazione e al saccheggio territoriale produce questa situazione di violenza
contro le popolazioni sfollate e deportate dai propri territori a causa della
riorganizzazione spaziale e proprietaria del capitalismo contemporaneo. La
repressione e la criminalizzazione dei popoli indigeni altro non è che
l’attualità di quella colonialità del potere, per dirla con Quijano, propria
del sistema di dominazione capitalista globale, che oggi permea le nuove forme
di accumulazione e di estrazione di valore dai territori. In questo contesto
occorre leggere le operazioni repressive nella comunità Lof en resistencia
Cushamen tra gennaio ed agosto di quest’anno. I poliziotti che sono entrati
armi alla mano nella comunità in lotta contro l’imprenditore italiano Benetton,
gridando “ammazziamo uno di questi
indios di merda” hanno molto
in comune, compreso gli interessi che difendono, con i militari argentini
protagonisti del massacro degli indigeni nella genocida “campagna del deserto”,
evento che sta alla base dell’espansione dello Stato argentino nella Patagonia
alla fine del 1800, o dei conquistadores spagnoli, e mostra la persistenza
della dominazione razzista e coloniale come assi centrali dello Stato
contemporaneo. Questa continuità dimostra chiaramente come la lotta per le
terre ancestrali non sia per nulla una battaglia residuale o anacronistica,
fuori dalla storia, come amano dipingerla i media mainstream o i portavoce
della Benetton e di altre multinazionali che hanno usurpato le terre indigene,
quanto piuttosto il giusto (e tardivo) riconoscimento di un diritto umano dei
popoli indigeni, peraltro costituzionalmente sancito. Per tutelare gli
interessi di chi privatizza ed espropria terre e risorse naturali il governo
criminalizza le lotte indigene e soprattutto quei popoli, come i mapuche, che
mostrano grande capacità di mobilitazione e resistenza. L’arresto del leader
mapuche Facundo Huala Jones rientra nell’ambito di una offensiva contro il
diritto all’autodeterminazione e all’accesso alle terre, svendute dallo Stato
argentino alle multinazionali straniere, e la successiva desapariciòn di
Santiago (durante una mobilitazione per la libertà del leader indigeno) in una
precisa strategia per impedire la solidarietà tra le lotte sociali.
Se ci sono desaparecidos non c’è democrazia: dove si
trova Santiago? La questione
è diventata un caso nazionale e poi internazionale grazie alla mobilitazione
popolare: camminando per Buenos Aires (così come in decine di città e paesi in
tutta l’Argentina ed ormai anche oltre) in queste settimane incontri sui bus e
nelle metro, nelle case, per le strade, nei luoghi di lavoro, sui muri della
città, nelle facoltà e nelle scuole, appese sui balconi, immagini, adesivi,
striscioni e cartelli che chiedono “Donde està Santiago Maldonado?”. Le foto
del giovane artigiano solidale con la lotta degli indigeni mapuche compaiono
ovunque, nei social network è virale la campagna “Soy xxx y estoy en xxx. Donde
està Santiago Maldonado?” che denuncia le responsabilità dello Stato, del
governo Macri e del ministro degli Interni Bullrich, il cui capo di gabinetto
Noceti (avvocato difensore dei genocidi dell’ultima dittatura) era il diretto responsabile
dell’operazione repressiva che ha portato al sequestro e alla desapariciòn di
Santiago. Le Madres de Plaza de Mayo hanno accompagnato fin dall’inzio la
mobilitazione, dedicandogli diverse delle consuetudinarie manifestazioni del
giovedì pomeriggio, sostenendo la famiglia e partecipando ai tanti momenti di
lotta che si sono cominciati a diffondere ovunque. “Non vogliamo mai più
tornare al terrorismo di Stato” afferma Nora Cortinas, “vogliamo la verità, Santiago
vivo e le dimissioni del Ministro Bullrich che copre i responsabili di questo
crimine” La questione è diventata centrale nell’agenda pubblica, e sta aprendo
una crisi politica. Nonostante le ultime elezioni primarie abbiano segnato la
crescita a livello nazionale della colazione di governo, come analizzato da Veronica
Gago e Mario Santucho, attorno al progetto di costruire “una nuova modalità di rappresentazione
politica, attraverso cui viene ridefinita lo stessa sostanza della democrazia”
che organizza in senso neoliberale le forme di vita e il senso comune nel paese
ed ha aperto uno scontro sociale di tipo nuovo, in questi mesi abbiamo visto in
Argentina come gli spazi di resistenza e di contropotere dal basso siano ancora
capaci di ridefinire i confini dell’appropriazione neoliberale ed impongono dei
punti di blocco al governo, come avvenuto con la legge sullo sconto di
pena ai genocidi bloccata da
un’enorme mobilitazione popolare. Così, anche nel caso di Santiago Maldonado, è
stata la mobilitazione popolare ad imporre la verità nel dibattito politico: lo
Stato è responsabile, processo e condanna per i colpevoli e apparizione con
vita di Santiago sono le parole d’ordine che si moltiplicano nelle strade e
nelle piazze. Abbiamo visto dispiegarsi in queste settimane quell’opacità
strategica, per dirla con le parole di Raquel Gutierrez Aguilar, che
caratterizza le trame repressive del potere in America Latina. La strategia del
silenzio e dell’invisibilizzazione dei fatti, perseguita dal governo e dei
media, si è infranta grazie alle mobilitazioni popolari in tutto il paese, e la
successiva strategia della menzogna e della criminalizzazione politica (fino
all’istituzione di un numero di telefono per denunciare i docenti che
nominavano Santiago Maldonado durante le lezioni) ha cominciato ad essere messa
in discussione e decostruita grazie al lavoro di controinformazione e di
mobilitazione popolare diffusa attorno allo slogan “lo Stato è responsabile,
vivo se lo sono lo portati via, vivo lo vogliamo di nuovo tra di noi”. Molte falsità sono state dette, dal fatto che Santiago sarebbe
passato alla clandestinità, che sarebbe stato il responsabile di un furto e
potrebbe essere deceduto nella colluttazione (il dna del ferito non coincide
con quello di Santiago, quindi questa “fantasiosa ipotesi” è stata scartata ufficialmente) fino ad una improbabile
testimonianza, poi rivelatasi falsa, di un camionista che avrebbe dato un
passaggio ad un giovane che gli assomigliava nei giorni successivi alla
repressione in Chubut. Contro le falsità che circolano sui media, familiari e
amici hanno creato un sito su cui è
possibile ricostruire la vicenda della desapariciòn di Santiago. I tentativi di depistaggio che i
media mainstream e il governo hanno diffuso giorno dopo giorno si sono rivelati
privi di fondamento: oggi, mentre l’avvocato della famiglia denuncia le irregolarità dei
verbali della polizia durante le operazioni repressive nelle terre di Benetton e le
responsabilità dello Stato nell’impedire una
inchiesta seria sui fatti del 1 agosto, si è aperto ufficialmente, oltre un mese dopo la sua
scomparsa, un processo per “desapariciòn forzada”, considerato crimine di lesa
umanità, ed un secondo processo per chiarire se vi siano
stati da parte del governo tentativi di coprire i responsabili. Pochi giorni fa tre testimoni,
Matias Santana, Soraya Maicoño Guitart y Neri Garay si sono presentati in
tribunale affermando, come già diverse persone avevano affermato fin dai giorni
della sua scomparsa, di aver visto Santiago durante il blocco stradale e di
averlo riconosciuto durante la repressione nella comunità dove il giovane
sarebbe stato fermato, picchiato e
caricato su una camionetta con insegne ufficiali della Gendarmeria, come possiamo leggere nell’intervista rilasciata dai tre testimoni subito
dopo aver reso le proprie dichiarazioni presso il tribunale di Esquel. Notizia
dell’ultima ora è che governo ha rifiutato la partecipazione delle
Nazioni Unite in una
commissione indipendente per sostenere le operazioni di ricerca di Santiago
Maldonado nonostante lo avesse ufficialmente promesso alla famiglia. Divenute
evidenti la responsabilità della Gendarmeria, il ministro Bullrich, che poche settimane prima della
scomparsa di Santiago aveva dichiarato di non aver paura di prendersi le
responsabilità delle conseguenze della mano dura repressiva necessaria per
mettere ordine nel paese, ha affermato che qualche gendarme potrebbe “essersi lasciato
sfuggire la mano”. La nuova
strategia del governo sarebbe quindi quella di riproporre la solita retorica
sulla presenza di presunte “mele marce” nella Gendarmeria, addossando le colpe
ai singoli poliziotti (che stanno testimoniando in tribunale in questi giorni),
ulteriore ed ennesimo tentativo di negare le responsabilità politiche e
militari della catena di comando ed impunità che da ben 40 giorni nasconde la
verità su Santiago Maldonado. Le falsità diffuse in
questi ultimi quaranta giorni sui media avevano un chiaro obiettivo: impedire che si potesse
affermare pubblicamente che la violenza delle forze repressive dello Stato,
l’impunità e le coperture politiche di cui godono, rendono di nuovo possibile,
con il governo Macri, le “desapariciones” di oppositori politici in Argentina. Nora
Cortiñas poche settimane fa, durante la classica manifestazione delle Madres
del giovedì pomeriggio in Plaza de Mayo, ha affermato: “Vogliono farci tornare
al passato, commettendo il peggiore di tutti i crimini, un crimine contro
l’umanità, quello della desaparición forzata di persone: lo Stato e il governo
sono i responsabili, vogliamo verità e giustizia, per questo continueremo a
lottare con la famiglia e gli amici di Santiago nella loro lotta, che è la
nostra lotta”. E’ la stessa lotta che compone in uno spazio comune tutte le
mobilitazioni popolari argentine di questi mesi, delle donne contro la violenza
patriarcale e dei lavoratori e lavoratrici dell’economia popolare,
dell’autogestione e dei sindacati, delle scuole in sciopero contro la riforma
educativa e dei lavoratori contro gli attacchi dei diritti di tutti, quelle
lotte che emergono nella straordinaria capacità di organizzazione e
disposizione alla lotta sociale di una società che, come cantano in centinaia
di miglia nelle piazze, non è stata sconfitta dalla dittatura militare nè si
arrende ai piani del nuovo governo Macri. Una società in movimento che costruisce
giorno dopo giorno nuovi spazi di resistenza, dignità e conflitto, molteplici
linee di fuga dal binomio economia neoliberale e terrore che vorrebbero
imporre. Per questo, quando nella piazze centinaia di migliaia di persone
affermano “vogliamo Santiago vivo tra di noi, perché non può esserci democrazia
quando ci sono desaparecidos“, quelle moltitudini di corpi che
costituiscono la potenza della vita in comune ci mostrano che la democrazia si
conquista nelle strade, con la lotta e la resistenza delle mobilitazioni
popolari per la verità e giustizia, unico argine democratico e radicale alla
violenza autoritaria del capitalismo neoliberale che devasta, saccheggia e
uccide. Ed ancora una volta ci chiediamo: dove si trova Santiago Maldonado?
Alioscia Castronovo
Nessun commento:
Posta un commento