"Luttwak e Poletti sono dei reazionari. La loro visione del mondo fa venire i
brividi".
di Giorgio Cremaschi
Chissà perché in questi giorni
ho finito per associare Edward Luttwak a Giuliano Poletti.
Sono due persone
diversissime per storia cultura e esperienze, l'uno intellettuale militante
dell'imperialismo USA , l'altro burocrate un poco rozzo del pentitismo
comunista. Sono persone normalmente lontanissime eppure le loro uscite di questi
giorni sui mass media italiani me li hanno
fatti sembrare assai vicini. Il primo
a La7 ha rivendicato con orgoglio il sostegno degli Stati Uniti ai talebani e a
ciò che ne è seguito. È stato un buon affare comunque, ha detto, perché in
Afghanistan è crollata l'Unione Sovietica è così l'Occidente ha visto sconfitto
il suo principale nemico.
Il secondo ha dichiarato inutili le lauree con alti
voti, magari conseguite in ritardo, e poi ha rivendicato la necessità di
superare il concetto stesso di orario di lavoro, sostituendolo con la
retribuzione a prestazione.
Io trovo che entrambi abbiano brutalmente
descritto la verità. Per Luttwak la guerra si fa per conquistare potere e chi la
vince, qualsiasi mezzo usi, ha sempre ragione. Non troveremo in lui le
ributtanti ipocrisie sulle guerre umanitarie e democratiche. Le guerre servono a
tutelare precisi interessi e per questo devono essere astute e spietate. Le
guerre di Luttwak sono quelle del capitalismo liberista e globalizzato di oggi,
quello santificato da George Bush padre allorché dichiarò: il nostro sistema di
vita non è negoziabile e verrà difeso in tutti i modi.
Giuliano Poletti
deve esercitare qualche ipocrisia in più, vista la professione, ma alla fine non
scarseggia in brutalità. Il suo attacco al 110 e lode corrisponde ad un mercato
del lavoro nel quale i giovani laureati vanno a fare le polpette ai MCDonald,
naturalmente nascondendo il titolo di studio altrimenti non verrebbero assunti.
A che serve studiare tanto se i lavori che vengono offerti non corrispondono
minimamente alla cultura acquisita? Poco tempo fa ho conosciuto un ricercatore
universitario che, stufo di fare la fame, aveva rilevato la bancarella del padre
ai mercatini. Poletti sta semplicemente cercando di adeguare le aspettative
scolastiche alla realtà del mercato del lavoro. Nel quale serve soprattutto una
piccola istruzione di base adatta alla nostra società mediatica e consumista.
Solo ad una élite rigidamente selezionata, quasi sempre su basi censitarie, sarà
consentito di lavorare esercitando le competenze apprese in lunghi studi. Per la
maggioranza dei giovani studiare troppo è tempo buttato. Come aveva lamentato
Berlusconi, non può essere che anche l'operaio voglia il figlio dottore. Le
controriforme della scuola di Gelmini e Renzi hanno cominciato ad adeguare, con
i tagli, il sistema formativo al mercato del lavoro fondato su precariato e
disoccupazione di massa. Meglio studiare meno e prepararsi ai lavoretti precari
che verranno offerti, piuttosto che accumulare rabbia per una laurea non
riconosciuta da nessuno.
Anche sull'orario di lavoro Poletti ha in fondo
detto la verità. La globalizzazione finanziaria, l'euro, le politiche di
austerità hanno progressivamente distrutto le secolari conquiste del mondo del
lavoro. Che per avere un orario definito per la propria prestazione e ridotto a
dimensioni umane e legato ad una retribuzione dignitosa, ha speso 150 anni di
lotte e miriadi di vittime. Oggi tutto è in discussione e non perché il lavoro
non abbia più bisogno delle tutele conquistate, ma perché il capitale ha trovato
la forza di distruggerle. Consiglierei a Poletti, che non pare persona
particolarmente colta, la lettura di Furore di John Steinbeck. È la storia di
una famiglia che, durante la crisi degli anni 30 negli USA, è costretta a
migrare e a trovare lavoro a cottimo. E arrivano in una azienda ove si
raccolgono le cassette di arance a cinque centesimi l'una, senza orario di
lavoro e se non va bene via.
Il New Deal keynesiano di Roosevelt si
rivolse anche contro quel sistema di sfruttamento, che oggi non a caso viene
invece riproposto nell'Europa in cui, con l'austerità, trionfa il liberismo e si
distruggono lo stato sociale e i diritti del lavoro.
Luttwak e Poletti sono
dei reazionari, la loro visione del mondo fa venire i brividi e fa tornare
indietro di secoli, ma non hanno inventato nulla. Ciò che dicono corrisponde a
ciò che si fa realmente nelle nostre società malate. Quindi più che per le loro
parole conviene mostrare scandalo per la realtà che cinicamente descrivono e
difendono. E soprattutto conviene, quella realtà, provare a cambiarla.
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