lunedì 30 novembre 2015

pc 30 novembre - Parigi per un altro dibattito - #jesuissaintdenis #jesuismolenbeek


alt dal blog di A. Chaut che evidenzia come i racconti dei media sul blitz di Saint Denis abbiano fatto emergere la più totale distanza e ignoranza rispetto al contesto dei quartieri popolari e delle banlieues, in netto contrasto con la retorica che ha invece accompagnato il post-attentati nel territorio parigino: se per la capitale la parola d'ordine è stata quella di "resistere" agli attacchi, quando si trattava di Saint-Denis l'invito era invece all'abbandono del territorio.
Nel frattempo, ieri a Molenbeek ci sono stati nuovi raid della polizia, mentre quasi tutte le persone arrestate durante quello di Saint-Denis sono già stati rilasciati.

(Articolo tratto da blogs.mediapart.fr, traduzione a cura della redazione di Infoaut):
Molenbeek, Saint Denis, Montreuil, Bobigny, Maison-Alfort, tanti luoghi popolari legati agli attentati di venerdì 13 novembre e del suo seguito. Non conosco tutte queste città, conosco quelle di Seine-Saint-Denis perché ci vivo. Ora, la lettura e l’ascolto delle notizie mi mostra che, in quanto abitanti di Seine-Saint-Denis, la fine delle nostre pene non è vicina. Nello spazio di qualche giorno, le stupidaggini e i clichés si accumulano. Stranamente l’unione nazionale sembra funzionare meglio con i parigini che con chi sta a Seine-Saint-Denis. Bisogna resistere a Parigi ma abbandonare, fuggire, disertare Saint-Denis, questo è in sostanza il discorso che viene fatto.

L’ignoranza dei giornalisti sulla banlieu e i quartieri popolari...
Come si instilla l’angoscia? Viaggio a Saint-Denis durante l’assalto del RAID (le forze speciali francesi NdT). Diverse decine di migliaia di persone sono state coinvolte: lavoratori e lavoratrici
, abitanti, studenti e studentesse. I media avrebbero potuto dare delle informazioni concrete: quale zona della città era chiusa? Quali bus fermati? Invece, su France 2, durante l’intervista al sindaco di Saint-Denis il giornalista in studio ha interrotto tutto per seguire un movimento della folla dentro la città, prima che un giornalista sul campo dicesse “due poliziotti si sono messi a correre e la folla ha fatto lo stesso, non sta succedendo nulla”. Tornando al sindaco, l’intervista che serviva a dare delle informazioni precise è durata a mala pena un minuto, e non ci dirà nulla. Degli abitanti di Saint-Denis, tutti se ne fregano.
D’altra parte su Itélé: “tutti i trasporti sono bloccati, questo può sembrare evidente”... No, non è evidente. Invece, delle strane precisazioni, ripetute a più riprese, dicevano: “Militari nelle strade, è un’immagine che non siamo abituati a vedere a Saint Denis”. Qualcuno ne dubitava? Una doppia lettura possibile: ci martellano col fatto che siamo dentro una situazione particolare. Lo si precisa per quelli che penseranno che la città è soggetta a dei regolamenti di conti continui con armi da guerra.
Su qualche dettaglio geografico piuttosto risibile: il 18 novembre, per diversi minuti, un inviato speciale di BFM TV diceva Saint-Ouen al posto di Saint-Denis, senza che nessuno lo correggesse. Sullo stesso genere, alzi la mano chi ha capito cos’è o dove sia Molenbeek. Presentato a seconda dei casi come un quartiere, una città, un comune, un arrondissement, Molenbeek di cui ci continuano a ripetere resta un mistero totale e nessuno sembra interrogarsi seriamente sulle sorti subite dagli abitanti su cui si moltiplicano le umilianti perquisizioni.

...che si trasforma in come giustificare che questo accada a Saint-Denis.
Mentre si decantava proprio la mescolanza sociale dei quartieri parigini attaccati, su Saint-Denis o Molenbeek il discorso è ben diverso. Molenbeek viene presentata come un ghetto composto da arabi e turchi. Se la piaga purulenta Zemmour (un giornalista francese conosciuto per le sue sparate razziste, ndt) annuncia che bisognerebbe bombardare Molenbeek, c’è davvero bisogno di spiegare in cosa questa frase è stupida e crudele? Se i 100’000 abitanti di Molenbeek fossero dei terroristi si saprebbe, no?
Ancora Saint-Denis. Un’abitante che nascondeva il viso durante un’intervista è diventata il bersaglio delle reazioni islamofobe, anche da parte di un membro del CSA (l’organo che si occupa di garantire la libertà d’informazione NdT). Accusandola di portare un niqab o un burka, la gente s’infervorava del non rispetto della legge da parte della donna e del canale televisivo. Un sentimento che accompagnerà sempre l’atmosfera delle dirette a Saint-Denis. I media non si interessano davvero degli abitanti di Saint-Denis. Le interviste sono fattuali, non si ascoltano le parole di coloro che sono traumatizzati/e, così come le parole dei rappresentanti politici locali a cui si cercano di strappare delle informazioni sui bersagli piuttosto che sulla condizione della città. 
Il Petit journal sceglie un altro angolo. Il tema? La vendita, da parte di abitanti di Saint-Denis, di immagini filmate durante l’assalto. Il tono? Moralizzatore. Uno degli abitanti dice loro: “Beh facciamo un po’ di soldi, sono i tuoi colleghi che le hanno acquistate. A te ti pagano, no?”. Astuto imbroglione. Ma il giornalista ha la risposta: “Non è il vostro ruolo!”.  E qual è il ruolo degli abitanti di Saint-Denis? A titolo informativo, per guardare il video del Petit Journal bisogna sorbirsi un minuto di pubblicità. Che ognuno resti al suo ruolo economico soprattutto.
Le parisien, giornale così popolare, ci gratifica alle 10.48 della parole di una testimone: “Anche se questo la rattrista, Caroline ammette di non essere così sorpresa dal fatto che dei terroristi potessero rifugiarsi là. Nel quartiere, nella nostra via le cantine sono piene di armi. Fuori, c’è uno spacciatore ogni 100 metri. I più giovani ci derubano. [...] E i più grandi, è noto nel quartiere, fanno avanti e indietro dalla Siria in completa impunità. Da un anno a questa parte il clima è orribile per la strada. L’ultima volta che siamo venuti a fare delle riprese siamo stati presi a sassate! È difficile”. Avete seguito bene il ragionamento: c’è un legame tra Saint-Denis, i furti con scasso, la droga e il terrorismo di Daesh! È lo stesso ragionamento che ritroveremo quando scopriremo che la giovane donna che si è fatta saltare in aria aveva dei precedenti per traffico di droga.
“All’inizio c’era una vera mescolanza qui. Ma in questi ultimi anni tutti partono, poco a poco. E le poche giovani coppie che vengono ad abitare qui sono sconvolte. Dopo questa notte, credo che anche noi dovremo partire. La gente vuole sempre meno girare da queste parti, allora domani anche i collaboratori non vorranno più venire”.  Per la tua sanità mentale e la nostra, hai effettivamente il diritto di andartene. Chi sono “tutti”? Chi sono “le giovani coppie”? Ci sono delle giovani coppie a Saint-Denis e c’è sempre più gente. Dunque di cosa stiamo parlando? Dei bianchi un po’ agiati? Eppure ce n’è anche molti a Saint-Denis.
In filigrana si capisce l’idea che gli abitanti di Saint-Denis se la sono meritata così come quelli di Molenbeek. Tutti lascerebbero fare e proliferare, o addirittura sosterrebbero gli jihadisti. La cosa più impressionante di questo articolo è che il giorno prima c’era tutto un discorso sull’importanza di rimanere a Parigi, tutti volevano lottare andando a bersi una birra... Al contrario, quando si tratta di Saint-Denis s’invoca l’abbandono di queste zone.
Parigi plurale e multiculturale? Luogo di resistenza della birra e della festa? Saint-Denis e Molenbeek totalitarie e miserabili? Zone di guerra da bombardare?
Questo doppio trattamento fa parte dell’apatia intellettuale. La solidarietà deve essere reale e non riservata solo a certi quartieri, a certe classi, a certi colori. Lo vedremo ma temo che i media non si interessino al seguito degli avvenimenti di Saint-Denis e all’avvenire delle persone. Gli studenti sudafricani gridavano qualche mese fa “decolonizziamo i nostri saperi”. Ecco una parola d’ordine: “decolonizziamo i nostri spiriti

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