sabato 16 luglio 2016

pc 16 luglio - Fermo una città sommersa dallo schifo, con ultras vigliacchi e razzisti che difendono il loro capo assassino e il sindaco che disonora la città prendendosela con i media

Emmanuel, già finite le lacrime. Il sindaco si scaglia contro i media

di marco de vito Manifesto
Fermo . Il primo cittadino accusa la stampa di «massacrare» il territorio e di nascondere sotto il tappeto il «problema nazionale dei migranti». A difesa dell’assassino, Mancini, si schiera parte della tifoseria della FermanaDopo l’ondata della solidarietà, ecco che arriva a Fermo il riflusso del giustificazionismo, talvolta addirittura dell’apologia dell’aggressione a Emmanuel Chidi Namdi da parte di Amedeo Mancini, 39enne allevatore molto vicino agli ambienti dell’estrema destra cittadina, a Casapound in particolare.
Ci si aggrappa al dettaglio, alla complicata ricostruzione giudiziaria dei fatti, alla guerra di perizie e
di testimonianze, evitando di citare il particolare da cui è partito il tutto – l’insulto razzista («scimmia africana») rivolta a Chimiary, la moglie della vittima – e soprattutto dimenticando il finale della storia: a morire è stato il nigeriano, mentre il suo aggressore non ha avuto bisogno nemmeno del ricovero ospedaliero.
Per ricostruire la rissa andata in scena nel pomeriggio di martedì 5 luglio, la procura ha ascoltato diversi testimoni: dopo la frase razzista di Mancini, Emmanuel gli avrebbe scagliato contro un cartello stradale, colpendo l’uomo che a quel punto sarebbe caduto a terra. Così è cominciata la rissa e ad essere fatale, infine, sarebbe stato un pugno dato dall’italiano al nigeriano, che poi avrebbe sbattuto violentemente la testa sul marciapiede. Gli investigatori hanno a questo punto un unico dubbio, cioè se Mancini abbia colpito Emmanuel quando era di spalle, a scontro già finito. La differenza tra omicidio preterintenzionale ed eccesso di legittima difesa è tutta qui. Sui social network e sui blog specializzati in bufale razzistoidi e complottarde il dito è puntato dritto contro Chimiary, che in un primo momento aveva dichiarato che a prendere il cartello stradale era stato per primo Mancini. Per lei c’è chi ventila addirittura l’accusa di falsa testimonianza, anche se è evidente che la sua ricostruzione sia stata fatta in una fase di profondo choc, mentre suo marito stava lottando tra la vita e la morte con il cranio sfondato.
La Curva Duomo dei tifosi della Fermana, intanto, si schiera compatta con Mancini, elogiando «i ragazzi della curva per come hanno gestito la gogna mediatica di questi giorni», perché «ultras è soprattutto questo: non abbandonare un amico in difficoltà. Amedeo, la Curva Duomo è con te». Il sindaco Paolo Calcinaro, sia pure con toni più istituzionali, si muove sulle stesse coordinate, e in un lungo post su Fb se l’è presa con chi avrebbe lanciato contro la città «un assalto che di difese non ne voleva e che cercava solo ulteriori motivi di scontro per sacrificare la nostra realtà sull’altare della coscienza sporca dell’Italia intera di fronte al problema dei migranti». La colpa, dunque, sarebbe «di alcuni media» che, per qualche motivo, vorrebbero «massacrare Fermo e nascondere il problema nazionale sotto il tappeto».
A uscire massacrato da questa storia, in realtà, è stato Emmanuel, e se è vero che quello del razzismo è un problema che non coinvolge solo la provincia marchigiana e che un fatto del genere sarebbe potuto avvenire ovunque, la difesa a oltranza del territorio ha il sapore amaro che porta con sé ogni tentativo di minimizzare un omicidio palesemente razzista. La conclusione di Calcinaro, in questo senso, è un manifesto ambientale, una specie di lezione di benaltrismo, perché se si evidenza l’esistenza di un problema di «insofferenza e razzismo strisciante e subdolo», la responsabilità di tutto questo viene attribuita esclusivamente alla «mancanza di risposte legislative nazionali ed europee».
L’analisi dei fatti fa male: la manifestazione antirazzista di domenica scorsa è stata sì partecipata (un migliaio abbondante i presenti), ma la gran parte degli intervenuti è arrivata da fuori e i fermani di fatto erano una minoranza. D’altra parte basta fare un giro nei bar per comprendere che quello che più turba l’umore degli abitanti non sia tanto l’omicidio di Emmanuel quanto il fatto che da tutta questa storia a uscire malconcio sia il supposto buon nome della città di Fermo. Il problema qui non è il razzismo ma chi lo denuncia, non l’intolleranza ma chi la combatte, non la febbre ma il termometro.

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