lunedì 11 luglio 2016

pc 11 luglio - EXCURSUS SULLA FORMAZIONE OPERAIA: RAPPORTO PRODUTTIVITA' E SALARIO - UNA QUESTIONE OGGI MOLTO CENTRALE NELLO SCONTRO DI CLASSE OPERAI/PADRONI

RIPRENDIAMO E RISPONDIAMO AD UN INTERVENTO FATTO TEMPO FA DA UNA COMPAGNA, DURANTE IL PRIMO CICLO DELLA FORMAZIONE OPERAIA SU MARX E SOPRATTUTTO SUL 1° LIBRO DE 'IL CAPITALE'

La compagna aveva scritto:
"Se una parte della giornata lavorativa dell'operaio è caratterizzata dal tempo di lavoro necessario per la produzione dei mezzi per la sua esistenza e riproduzione, il plusvalore si realizza nell'altra parte della giornata, quella in cui la forza-lavoro crea appunto un surplus di valore che non appartiene all'operaio. Marx spiega che se a un operaio occorrono 6 ore per riprodurre il proprio valore, le altre 6 ore costituiscono plusvalore pieno. Per ottenere più plusvalore il padrone deve prolungare la giornata di lavoro ma ciò può avvenire solo entro un limite massimo, un operaio non può lavorare 24 ore al giorno, ma i padroni cercano sempre di allungare il tempo di lavoro degli operai oltre quello necessario per fare più profitto, vedi alla Fiat per esempio la questione della riduzione delle pause o della flessibilità negli orari...
La riduzione delle ore giornaliere di lavoro è stata una conquista delle lotte operaie...
I padroni, quindi, come continuano a fare profitto, visto che le ore complessive della giornata per esempio sono diminuite, da 12 a 8? Facendo riprodurre all'operaio il proprio valore (la parte che serve per dargli mensilmente i mezzi di sussistenza) in modo più concentrato, non in 6 ore ma ad es. in 4. Si accorcia,pertanto, la parte relativa al tempo di "lavoro necessario", per esempio ricorrendo ad innovazioni tecnologiche che aumentano la produttività degli operai, così che viene prodotto in meno tempo l’equivalente del valore della forza lavoro.
Ma in questo caso esso corrisponde sempre al salario percepito dall'operaio quando lavorava più ore?"

Risposta:
Gli ingredienti della risposta sono già nella domanda e riguardano l'importanza nello studio del capitale del concetto di limite e dello scontro tra le classi.

Facendo un passo alla volta.
Marx ci dice: “Il valore della forza-lavoro è determinato dal valore dei mezzi di sussistenza che per consuetudine sono necessari all’operaio medio”. Tale valore, espresso in denaro, è il prezzo della forza-lavoro.
E poi continua: “in un’epoca determinata di una società determinata, la massa di questi mezzi di sussistenza è data, benché la sua forma possa variare, e va quindi trattata come grandezza costante. Quello che varia è il valore di questa massa”. Quindi la massa dei mezzi di sussistenza (cibo, vestiti, casa, ecc...) è data (anche se, si badi bene, storicamente
data); la forma di tale massa ovviamente è differente da caso a caso e il valore di tale massa è variabile.

Cos'è il salario?
Rappresenta il valore espresso in prezzo delle merci necessarie per il mantenimento e la riproduzione della forza-lavoro del lavoratore. Il valore di tali merci, come per ogni merce, è dato dal tempo di lavoro necessario per produrle.
Con l'aumento della produttività si abbassa il valore della forza-lavoro che per reintegrarsi ha bisogno della stessa massa di merci, ma con un valore ridotto.
Cosa succede quando aumenta la produttività nel processo lavorativo e di valorizzazione?
Poniamo che in una giornata di otto ore si è prodotto un valore complessivo in merci di 100 euro, grazie all'aumento della forza produttiva nello stesso tempo si sono prodotte più merci, il valore complessivamente prodotto in otto ore rimane sempre 100 euro, però distribuito su una massa più grande di merci (che infatti valgono ognuna meno, meno tempo di lavoro), facendo così diminuire tendenzialmente il prezzo della merce singola a seguito della diminuzione del suo valore.
Con un esempio schematico, se prima l'operaio in 4 ore produceva 10 vestiti, ora i 10 vestiti li produce in 2 ore. Ogni singolo vestito ora costa la metà.

Venendo alla domanda. Grazie all'aumento della forza produttiva anche il valore dei mezzi di sussistenza per riprodurre la forza-lavoro si è abbassato, perché prodotti in minor tempo di lavoro, la massa di tali beni necessari è rimasta invariata.

A fronte di ciò, il salario nominativamente non diminuisce ma relativamente (all'intera giornata lavorativa e conseguenzialmente al plusvalore) invece sì. Il salario rimane identico e il valore della forza-lavoro è diminuito, pur senza una immediata e conseguenziale caduta della sua espressione in prezzo. Ma il plusvalore estorto dal padrone è aumentato di gran lunga, dato che ha, nell'esempio di prima, guadagnato due ore di lavoro gratuito da parte del lavoratore.
Tenendo a mente ciò, continuiamo.

Ma il nuovo valore della forza-lavoro, abbassatosi dall'aumento della forza produttiva, pur non avendo un corrispettivo immediato nella sua espressione in denaro (il salario), rappresenta per il sistema capitalista il nuovo “limite” a cui tendere inesorabilmente.
Il capitale tende sempre al costante raggiungimento e superamento dei suoi limiti, però, essendo questi posti da lui medesimo (come nell'esempio che stiamo trattando), ne fa un sistema contraddittorio. La contraddizione in processo.
Il limite postosi è da un lato la nuova base del capitale: il valore della forza-lavoro che gli permette di valorizzarsi come capitale.
Il limite è dall'altro lato un ostacolo del capitale: il valore oltre il quale tende ad andare, ma non può andare.
Per il capitale, infatti, è impossibile spingere il salario al di sotto del nuovo “limite” (l'attuale valore “svalorizzatosi” della forza-lavoro) perché ciò significherebbe l'impossibilità per il lavoratore di avere un salario che gli consente il giorno dopo di tornare a lavorare (e quindi l'impossibilità per il capitalista di avere ogni giorno a disposizione la forza-lavoro necessaria per la riproduzione di se stesso come capitale) ma, allo stesso tempo, non può fare a meno che tendere verso questo limite e, anzi, soffrire la continua tensione a superarlo.

Detto ciò, proseguendo, il valore del salario è, quindi, minore della sua espressione in prezzo e il nuovo valore segna il limite al quale il capitalista tenderà inesorabilmente.
Come?
Su questo ogni giorno i telegiornali ci offrono qualche esempio, per farne uno qualsiasi prendendo una qualunque notizia a caso.
Secondo i dati Eurostat l’Italia è il solo grande paese europeo che vede diminuire la retribuzione oraria del lavoro (-0,5% nel primo trimestre 2016 sullo stesso periodo del 2015). […] Il calo è maggiore nel settore privato e in particolare nell’industria che segna una diminuzione dell’1,4%”.
Nel primo libro del capitale ci sono numerosissimi esempi di come la nuova introduzione del lavoro delle donne e del lavoro minorile (reso possibile proprio dalla modificazione del sistema di produzione attraverso l'introduzione delle macchine al fine di aumentare la produttività del lavoro e il plusvalore) sia stata un'arma efficace per la contrazione dei salari. Attualmente questo ruolo possono averlo in maniera evidente la forza-lavoro immigrata e\o più in generale lo ha sempre l'esercito industriale di riserva (i disoccupati, le varie figure di precariato).
Ma sono molti gli strumenti concreti attraverso i quali si incarna la tendenza del capitale all'abbassamento dei salari verso il nuovo limite. Per fare qualche esempio, la rottamazione di operai anziani qualificati con giovani lavoratori (che magari, assunti con le agenzie interinali, non hanno più bisogno di essere così qualificati, dato che proprio grazie all'introduzione di macchine il lavoro è stato reso più automatizzato o semplice), il declassamento (anch'esso reso possibile dall'informatica e dall'automazione, quindi, ancora una volta, dall'aumento della produttività del lavoro grazie all'introduzione delle macchine) di funzioni che prima erano considerate qualificate, a funzioni lavorative routinarie e semplificate (esempio, molti dei servizi che prima venivano forniti da lavoratori con salari più alti agli sportelli delle banche sono adesso forniti da lavoratori non qualificati attraverso i call-center).
Eccetera, eccetera, eccetera.

Detto con la formula precisa di Marx (ed è questa la risposta alla domanda):
la variazione di grandezza del plusvalore presuppone un movimento di valore della forza-lavoro causato dalla variazione nella forza produttiva del lavoro. Il limite di tale variazione è dato dal nuovo limite di valore della forza-lavoro. Ma possono aver luogo movimenti intermedi anche se le circostanze consentono che la legge agisca” [grassetto nostro].
Cioè la legge agisce (il valore della forza-lavoro è calato) ma ci sono movimenti intermedi che producono la non-esatta corrispondenza tra salario e limite (valore). Il valore può scendere di un tot e il prezzo della forza-lavoro scendere di un tot minore.

Ma come mai? Qui entra in campo la lotta!
Sempre Marx: “Il grado della diminuzione, il cui limite minimo è costituito da tre scellini [nell'esempio che Marx fa nel testo], dipende dal peso relativo che la pressione del capitale da un lato e la resistenza degli operai dall'altro gettano sulla bilancia” [grassetto nostro].
Infatti, come già detto “Il valore della forza-lavoro è determinato dal valore di una determinata quantità di mezzi di sussistenza. Quello che varia con il variare della forza produttiva del lavoro, è il valore di questi mezzi di sussistenza, non la loro massa” […]. E ancora: “un raddoppiamento della forza produttiva del lavoro, rimanendo immutata la ripartizione della giornata lavorativa, lascerebbe immutati il prezzo della forza-lavoro e il plus-valore. Entrambi si rappresenterebbero semplicemente in una quantità di valori d'uso raddoppiata, ma relativamente più a buon mercato. Benché immutato, il prezzo della forza-lavoro sarebbe salito al di sopra del valore di quest'ultima [grassetto nostro]. Se il prezzo della forza-lavoro scendesse, ma non sino al limite minimo […] che è dato dal suo nuovo valore […] questo prezzo in diminuzione rappresenterebbe ancor sempre una massa crescente di mezzi di sussistenza.”
Ma Marx ovviamente aggiunge che comunque, in tal caso, “si allargherebbe l'abisso tra le condizioni di vita dell'operaio e quelle del capitalista”.
Il capitale, infatti, pone sul piatto la possibilità (grazie all'incredibile aumento della forza produttiva del lavoro) di accedere alle merci in una quantità storicamente inedita (oggi in numero maggiore rispetto al passato possiamo, teoricamente e concretamente, essere dotati di apparecchi per la comunicazione a distanza o di apparecchi per l'acqua calda e l'aria fredda; cosa che prima non era possibile perché per le comunicazioni serviva una quantità di lavoro vivo e\o di lavoro oggettivato, enorme che ne rendeva oggettivamente impossibile l'accesso a tutti) ma, il capitale, si diceva, dialetticamente, nega tale possibilità aumentando appunto “l'abisso” tra l'uso sociale delle forze produttive e quindi le grandi potenzialità di buone condizioni di vita degli operai e l'appropriazione privata, che fa sì che invece che ricchezza sociale vi sia relativamente (dato la ricchezza possibile per il livello raggiunto e raggiungibile della forze produttive) più povertà – accompagnata anche dalla distruzione delle stesse forze produttive (nonché spesso della produzione) da parte del capitale.

Ribadendo.
Se la parte del tempo di lavoro necessario per la riproduzione della forza-lavoro diminuisce grazie all'aumento forza produttiva, allora diminuisce anche il valore della forza-lavoro, cioè ci vuole meno tempo per la sua riproduzione, ma fino ad un certo limite, che diventa il nuovo limite di valore della forza-lavoro oltre il quale il capitalista non può andare ma vuole andare.
La forza produttiva aumentata, quindi, permette il variare del valore della forza-lavoro, cioè dei mezzi di sussistenza necessari a reintegrarla, ma non della massa di questi mezzi, perché questa massa può “crescere contemporaneamente e nella stessa proporzione per l’operaio e per il capitalista, senza che si abbia una variazione di grandezza fra prezzo della forza-lavoro e plusvalore”.
Ancora una volta, il valore della forza-lavoro con l'aumento della produttività si abbassa.
Il prezzo della forza-lavoro è così superiore al valore della forza-lavoro ma, nel capitalismo, tale prezzo, seppur non istantaneamente né in maniera meccanica, tende ad adeguarsi al valore, al suo nuovo limite.

Vladimir

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