TARANTO – Operai del siderurgico morti o ammalatisi gravemente per
l’esposizione all’amianto, arriva al capolinea un’altra inchiesta della
Procura di Taranto.
Il sostituto procuratore Marina Mannu ha firmato il canonico avviso di conclusione delle indagini preliminari nei confronti di 34 persone, accusate di cooperazione in omicidio colposo, lesioni personali gravissime e inosservanza delle norme sull’igiene sul luogo di lavoro.
Sono cinque gli operai morti o ammalatisi di cancro per i quali la Procura ritene esserci un nesso di casualità tra gli anni passati nello stabilimento siderurgico di Taranto, a cavallo tra la gestione
pubblica (Italsider) e quella dei Riva (Ilva) e il mesotelioma pleurico causa del decesso. Tra gli indagati ci sono gli ex direttori dell’acciaieria Giambattista Spallanzani, Sergio Noce, Attilio Angelini, Girolamo Morsillo, Francesco Chindemi, Nicola Muni, Ettore Salvatore e Luigi Capogrosso, quest’ultimo arrestato il 26 luglio del 2012 in occasione del sequestro degli impianti dell’area a caldo operato nell’ambito dell’inchiesta «Ambiente svenduto».
Poi nella lista ci sono il medico aziendale Giancarlo Negri e tutta una serie di capi turno che hanno operato negli ultimi 15-20 anni nel reparto tubi e nei due tubifici dei quali è dotata la fabbrica di Taranto. La dottoressa Mannu ha anche firmato un invito a comparire, stabilendo l’avvio degli interrogatori per il prossimo 21 luglio. La nuova inchiesta riunisce cinque singoli fascicoli che erano stati aperti a seguito dei decessi degli operai Eligio Infantino, Guglielmo Di Bella, Antonio Conte e dei tumori contratti tra il 2012 e il 2013 da altri due loro colleghi.
Il nuovo filone giudiziario sul fronte amianto-Ilva coincide con i giorni nei quali dovrebbe definirsi il processo d’appello che vede alla sbarra 27 tra dirigenti ed ex proprietari di Italsider e Ilva, processo per il quale il 23 maggio del 2014 il giudice monocratico Simone Orazio ha condannato gli imputati a pene comprese tra i 9 anni e 6 mesi (a Sergio Noce, indagato anche nella nuova inchiesta) e i 4 anni, ritenendoli responsabili di aver esposto gli operai all’amianto presente nello stabilimento siderurgico ionico. Secondo il dottor Bruno Murer, anatomopatologo di Venezia nominato consulente dalla corte d’appello, è stato proprio il mesotelioma ad uccidere 14 dei 18 operai Ilva al centro del procedimento in questione. Sono stati esaminati invece venerdì scorso gli altri due periti nominati dalla corte d’appello. Si tratta degli epidemiologi Paolo Crosignani (direttore dell’unità operativa complessa del «Registro Tumori e Epidemiologia ambientale» presso l’istituto nazionale per lo studio e la cura dei tumori di Milano) e Leonardo Bai (dirigente sanitario pubblico di igiene ed epidemiologia). Entrambi sono stati ricusati dai difensori di alcuni imputati, in quanto membri del comitato scientifico di Legambiente. Ricusazione respinta dalla corte d’appello e sulla quale la Cassazione si esprimerà il prossimo 15 luglio. Se la richiesta sarà respinta, il prossimo 21 luglio il procuratore generale farà la requisitoria, con la sentenza attesa per la fine luglio. Se invece la ricusazione sarà accolta, i tempi del processo si allungheranno sensibilmente.
Il sostituto procuratore Marina Mannu ha firmato il canonico avviso di conclusione delle indagini preliminari nei confronti di 34 persone, accusate di cooperazione in omicidio colposo, lesioni personali gravissime e inosservanza delle norme sull’igiene sul luogo di lavoro.
Sono cinque gli operai morti o ammalatisi di cancro per i quali la Procura ritene esserci un nesso di casualità tra gli anni passati nello stabilimento siderurgico di Taranto, a cavallo tra la gestione
pubblica (Italsider) e quella dei Riva (Ilva) e il mesotelioma pleurico causa del decesso. Tra gli indagati ci sono gli ex direttori dell’acciaieria Giambattista Spallanzani, Sergio Noce, Attilio Angelini, Girolamo Morsillo, Francesco Chindemi, Nicola Muni, Ettore Salvatore e Luigi Capogrosso, quest’ultimo arrestato il 26 luglio del 2012 in occasione del sequestro degli impianti dell’area a caldo operato nell’ambito dell’inchiesta «Ambiente svenduto».
Poi nella lista ci sono il medico aziendale Giancarlo Negri e tutta una serie di capi turno che hanno operato negli ultimi 15-20 anni nel reparto tubi e nei due tubifici dei quali è dotata la fabbrica di Taranto. La dottoressa Mannu ha anche firmato un invito a comparire, stabilendo l’avvio degli interrogatori per il prossimo 21 luglio. La nuova inchiesta riunisce cinque singoli fascicoli che erano stati aperti a seguito dei decessi degli operai Eligio Infantino, Guglielmo Di Bella, Antonio Conte e dei tumori contratti tra il 2012 e il 2013 da altri due loro colleghi.
Il nuovo filone giudiziario sul fronte amianto-Ilva coincide con i giorni nei quali dovrebbe definirsi il processo d’appello che vede alla sbarra 27 tra dirigenti ed ex proprietari di Italsider e Ilva, processo per il quale il 23 maggio del 2014 il giudice monocratico Simone Orazio ha condannato gli imputati a pene comprese tra i 9 anni e 6 mesi (a Sergio Noce, indagato anche nella nuova inchiesta) e i 4 anni, ritenendoli responsabili di aver esposto gli operai all’amianto presente nello stabilimento siderurgico ionico. Secondo il dottor Bruno Murer, anatomopatologo di Venezia nominato consulente dalla corte d’appello, è stato proprio il mesotelioma ad uccidere 14 dei 18 operai Ilva al centro del procedimento in questione. Sono stati esaminati invece venerdì scorso gli altri due periti nominati dalla corte d’appello. Si tratta degli epidemiologi Paolo Crosignani (direttore dell’unità operativa complessa del «Registro Tumori e Epidemiologia ambientale» presso l’istituto nazionale per lo studio e la cura dei tumori di Milano) e Leonardo Bai (dirigente sanitario pubblico di igiene ed epidemiologia). Entrambi sono stati ricusati dai difensori di alcuni imputati, in quanto membri del comitato scientifico di Legambiente. Ricusazione respinta dalla corte d’appello e sulla quale la Cassazione si esprimerà il prossimo 15 luglio. Se la richiesta sarà respinta, il prossimo 21 luglio il procuratore generale farà la requisitoria, con la sentenza attesa per la fine luglio. Se invece la ricusazione sarà accolta, i tempi del processo si allungheranno sensibilmente.
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