In questo
senso la notizia che la Corte permanente di arbitrato dell’Aja, chiamata dalle
Filippine ad esprimersi in merito allo scontro in atto sul controllo delle
isole del Mar Cinese Meridionale, Spratly, abbia dato torto alla Cina, getta
benzina sul fuoco, è di fatto un tentativo di intimidazione, di pressione
politica che non lascia nessuno spazio alla retorica dei discorsi di “pace”
alla Obama o di altri capi di stato.
Quel che c’è veramente in contesa nel Mar Cinese
Meridionale lo spiega e sintetizza il Sole 24 Ore dei ieri: “Per la Cina, intanto, quello che passa per
le Spratly resta un punto chiave, la porta di accesso verso tutti gli altri
mari, un ponte preziosissimo verso il Pacifico, l’Oceano indiano. Un crocevia
di traffici commerciali con ben 5 miliardi di dollari via nave che ogni anno passano
da lì, sopra fondali ricchi di giacimenti di gas che rappresentano un’ulteriore
attrattiva, nonostante i problemi legati alla salvaguardia dell’ecosistema
marino.”
E, proprio per questo, infatti,
per tutta risposta alla notizia della “condanna”: “la Cina ha detto di non riconoscere
il verdetto (d’altronde ha boicottato il processo, sin dall’inizio, ed è stata
“bacchettata” per questo dai giudici dell’Aja) e di voler invece difendere
fermamente la sua sovranità. L’Agenzia
Nuova Cina ha rivelato che appena prima del verdetto un aereo civile ha
condotto operazioni su due dei nuovi scali costruiti nelle isole Spratly,
proprio quelle oggetto della contesa. Mentre il ministero della Difesa ha
annunciato il varo, nella base navale di Hainan che sovrintende al Mar Cinese
Meridionale, di un nuovo cacciatorpediniere lanciamissili.”
Dato che le
Filippine sono di fatto un protettorato degli Stati Uniti, che sono presenti
non soltanto con i miliardi investiti dalle multinazionali, ma con basi navali
e militari per il controllo strategico di tutta l’area, la presa di posizione
dopo la “sentenza” a favore delle Filippine in questa contesa è stata molto smaccata.
Il titolo del Sole 24 ore, ne è un esempio: “Pechino perde la battaglia legale
con Manila”, ed è falso. Primo perché questa “legalità” non sta da nessuna
parte. E infatti, prosegue il giornalista: “Come si è detto, non esiste enforcement per
questa pronuncia, non c’è alcun vincolo che i giudici possano mettere nero su
bianco… ”, e poi somiglia a quella legalità
che si attribuiscono i paesi imperialisti quando hanno invaso paesi stranieri,
dall’Iraq all’Afghanistan... e ancora perché la Cina, appunto, ha deciso di non
tenerne conto.
Il tentativo del tribunale
di sembrare neutrale è così vergognoso che neanche il giornalista se la sente
di passarlo sotto silenzio e infatti, dice: “Ciò che manca, in questa pronuncia lunga 11 pagine, è
una chiara presa di posizione sul futuro dell’area stessa oggetto della
contesa. A leggere l’ultimo paragrafo c’è un generico invito alle parti ad
adottare comportamenti più idonei e rispettosi per il futuro. Quasi un tentativo finale della Corte di
fugare dubbi sull’imparzialità nei confronti dei due contendenti…”
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