Questo
documento
è una base
di discussione
aperta
per il movimento
sardo.
Sarà strumento
di dibattito nel
contesto di un
tour di assemblee
e incontri nei
più disparati
centri dell'isola
per organizzare
le prossime
fasi del movimento sul territorio.
è una base
di discussione
aperta
per il movimento
sardo.
Sarà strumento
di dibattito nel
contesto di un
tour di assemblee
e incontri nei
più disparati
centri dell'isola
per organizzare
le prossime
fasi del movimento sul territorio.
E'
possibile costruire un movimento di massa contro l'occupazione
militare in Sardegna? Il documento in questione è stato creato
dopo settimane di discussione all’interno del comitato
studentesco contro l’occupazione militare, vuole essere un’occasione
di dibattito per lanciare insieme un’assemblea generale
in cui confrontarsi e costruire un lavoro coordinato e
continuativo. Abbiamo suddiviso il documento in paragrafi
in modo da affrontare in maniera analitica ciascun aspetto
e riuscire ad offrire una piattaforma di discussione da cui partire.
militare in Sardegna? Il documento in questione è stato creato
dopo settimane di discussione all’interno del comitato
studentesco contro l’occupazione militare, vuole essere un’occasione
di dibattito per lanciare insieme un’assemblea generale
in cui confrontarsi e costruire un lavoro coordinato e
continuativo. Abbiamo suddiviso il documento in paragrafi
in modo da affrontare in maniera analitica ciascun aspetto
e riuscire ad offrire una piattaforma di discussione da cui partire.
ANALISI DEL MOMENTO STORICO
La
lotta contro l'occupazione militare in Sardegna non è
recente, da decenni nei quattro angoli dell'isola si lotta
contro poligoni, esercitazioni, espropri. Lotta che ha vissuto
differenti cicli con i relativi punti alti e bassi. Pagine importanti
sono state scritte, pagine che rimarranno nei libri di storia.
Alcune, come quella di Pratobello, hanno effettivamente
raggiunto l'obiettivo che si prefissavano. Dal punto di vista
dell'opinione pubblica si può dire che ci sia una consistente fetta
di popolazione che si esprime contro la presenza dei militari
in Sardegna, d'altro canto il mancato sviluppo economico
porta centinaia di sardi ad arruolarsi per mancanza di alternative.
Per quanto quindi siano stati fatti dei passi in avanti
la liberazione della Sardegna dall’occupazione militare,
è un processo ancora tutto da costruire.
recente, da decenni nei quattro angoli dell'isola si lotta
contro poligoni, esercitazioni, espropri. Lotta che ha vissuto
differenti cicli con i relativi punti alti e bassi. Pagine importanti
sono state scritte, pagine che rimarranno nei libri di storia.
Alcune, come quella di Pratobello, hanno effettivamente
raggiunto l'obiettivo che si prefissavano. Dal punto di vista
dell'opinione pubblica si può dire che ci sia una consistente fetta
di popolazione che si esprime contro la presenza dei militari
in Sardegna, d'altro canto il mancato sviluppo economico
porta centinaia di sardi ad arruolarsi per mancanza di alternative.
Per quanto quindi siano stati fatti dei passi in avanti
la liberazione della Sardegna dall’occupazione militare,
è un processo ancora tutto da costruire.
Con
la manifestazione di Capo Frasca del settembre 2014 possiamo idealmente
sancire l'inizio di un nuovo ciclo di lotte, diverso dai precedenti per
composizione, mezzi e pratiche. Una manifestazione differente dalle
precedenti per la volontà dei partecipanti di riprendersi gli spazi
sottratti con la forza dagli eserciti e le industrie belliche. L'entrata
di centinaia di persone all'interno del poligono, dopo il taglio delle
reti è il simbolo di una giornata che vide tra le 5 e le 10000 persone
partecipare attivamente.
Una
manifestazione con chiamata allargata indetta dalla componente
indipendentista assieme ai comitati gettiamo le basi e su giassu, che è
riuscita a raccogliere un più ampio spettro della società sarda. Il
successo in quella giornata è stato con buona probabilità dovuto a
eventi fortuiti (l'incendio causato dall'esercito tedesco) e dalla
capacità di saper cogliere la palla al balzo per rilanciare la
mobilitazione. Dopo quella gloriosa giornata, l'iniezione di fiducia ha
determinato la nascita di numerosi comitati, collettivi e reti. Il
comitato studentesco contro l’occupazione militare è nato all'indomani
di quella giornata allo scopo di tenere alta l’attenzione sull’argomento
e di essere punto di riferimento della componente studentesca.
Successivamente si è costituita la rete no basi, con svariati nodi in
differenti parti dell'isola.
Da
quel momento vi sono stati svariati momenti di lotta il cui apice è
stato raggiunto in occasione dell'esercitazione NATO Trident Juncture:
due manifestazioni molto partecipate si sono svolte a Cagliari (31
ottobre) e a Teulada (3 novembre) con il blocco delle esercitazioni e il
rifiuto della criminalizzazione della Questura cagliaritana nei
confronti del movimento.
Contro
la Trident Juncture la consapevolezza è stata ancora maggiore. Se la
manifestazione di Capofrasca era stata cavalcata sulla spinta emotiva
causata dall’incendio scoppiato all'interno del poligono e alla campagna
mediatica dell’Unione Sarda dei giorni che hanno preceduto quella
manifestazione, la data del 3novembre invece è stata anticipata dai
fogli di via e dalle cariche dell’11 ottobre, in occasione del campeggio
organizzato dalla rete no basi. Un clima reso ancora più pesante dai
tentativi di stampa e questura di separare i manifestanti in buoni e
cattivi.
Nonostante
ciò gli sforzi profusi nell’occupazione dell’università, nella presenza
mediatica che si è riuscita a strappare nei giorni immediatamente
precedenti, nei tour fatti in giro per la Sardegna per coinvolgere il
maggior numero di persone, nell'impegno per l’organizzazione della
difesa del corteo, hanno dato i risultati sperati. Più di un migliaio di
persone hanno dimostrato la loro determinazione nel voler interrompere
la più grande esercitazione militare dal dopoguerra ad oggi.
Pensiamo
che occorra fare tesoro dell’esperienza di Teulada e replicarla laddove
possibile. Pensiamo che ci si debba rivolgere all’intera società sarda e
non ai soli militanti.
Pensiamo che occorra disporre una piattaforma di dibattito dove tutte le componenti possano elaborare assieme strategie e unire le energie per un unico scopo.
Pensiamo che i tempi siano maturi per un cambio di passo e una nuova organizzazione che abbia come obiettivo dichiarato liberare la nostra terra dall’occupazione militare della Nato e di tutti gli eserciti imperialisti.
Pensiamo che occorra disporre una piattaforma di dibattito dove tutte le componenti possano elaborare assieme strategie e unire le energie per un unico scopo.
Pensiamo che i tempi siano maturi per un cambio di passo e una nuova organizzazione che abbia come obiettivo dichiarato liberare la nostra terra dall’occupazione militare della Nato e di tutti gli eserciti imperialisti.
FORZA E LIMITI
Sono
stati degli anni impegnativi, caratterizzati dallo spontaneismo e dal
protagonismo popolare, anni in cui si è riusciti a produrre risultati
significativi sul lato delle singole battaglie, a mantenere i nostri
radicali punti fermi, ma non a scalfire un quadro generale di
sottomissione della Sardegna alle esigenze del complesso
militare-industriale. Senza disconoscere i grandi successi ottenuti
anche in anni recenti, crediamo che il navigare a vista debba ora
lasciare il posto ad un movimento organizzato e allo stesso tempo
decentralizzato, fortemente radicato nei territori. Un movimento
orizzontale che si prenda carico di trovare soluzioni e che si ponga
l'ambizione di rompere l'assedio attraverso la forza popolare. Bisogna
essere in grado di dare maggiore continuità alle azioni, mantenendo una
alta capacità di mobilitazione popolare su un ampio spettro del
territorio. Attualmente riusciamo a produrre una pluralità di piccole
azioni portate avanti da zoccoli duri di militanti e momenti di
mobilitazione di massa di scadenza annuale o semestrale, la cui
organizzazione richiede grande tempo e dispendio di energie. La
pressione che produciamo sta ponendo qualche problema all'edificio
dell'occupazione, ma non è ancora bastante a raggiungere l'obiettivo di
una totale dismissione e bonifica delle aree occupate.
Dal
lato della comunicazione non ci si può certo adagiare sugli allori:
dobbiamo essere in grado di pressare costantemente le autorità militari e
statali, rispondere colpo su colpo alle loro azioni propagandistiche e
ai loro costanti soprusi. Intensificare la produzione dal basso della
documentazione riguardo al danno ambientale, sanitario, economico,
sociale che le basi rappresentano, allo scopo di dettare l'agenda
politica e alimentare il dibattito pubblico. Altresì denunciare il danno
che la presenza militare rappresenta per la pace e la stabilità nel
mediterraneo, nel quadro di una politica che impone alla Sardegna il
ruolo internazionale di portaerei, centro di addestramento e
sperimentazione ad uso degli eserciti della NATO e dei suoi alleati,
bastione nella muraglia della Fortezza Europa contro gli immigrati.
OBIETTIVI
Possiamo
suddividere gli obiettivi che ci poniamo in differenti categorie, gli
obiettivi finali, che caratterizzano l'orizzonte strategico di tutte le
azioni che intendiamo intraprendere, e obiettivi intermedi utili al
perseguimento degli obiettivi finali. Gli obiettivi finali sono:
Chiusura e dismissione delle basi militari, restituzione dei territori alle popolazioni
Obiettivo
principale del movimento è certamente la restituzione alla popolazione
sarda dei territori occupati dall'esercito italiano, e dunque la
chiusura e dismissione di tutti i poligoni e i centri militari presenti
nell'isola. I territori sottomessi all'amministrazione militare vanno
restituiti ai legittimi proprietari, alle comunità locali e alle
emanazioni della volontà popolare.
Bonifiche dei siti e riconversione
Una
semplice chiusura e dismissione, tuttavia, non è obiettivo sufficiente.
50 anni di occupazione militare hanno prodotto un inquinamento profondo
e pervasivo sia nelle aree direttamente interessate dalle attività
militari che nelle aree contigue. Successivamente alla chiusura delle
basi è necessario provvedere alla bonifica dei siti inquinati e allo
smantellamento e smaltimento delle infrastrutture d'uso militare che non
ricoprono interesse per un riutilizzo ad uso civile. Il problema delle
bonifiche è un problema importante sul quale il movimento deve garantire
una presenza maggiore, nuove forme di accaparramento e sfruttamento del
territorio successive a quelle militari trovano già nell'opera delle
bonifiche terreno fertile per dispiegarsi, caso emblematico è quello
degli affari intorno all'organizzazione del G8 alla Maddalena. L'uso a
scopo propagandistico delle mancate bonifiche alla Maddalena in funzione
della perpetuazione del sistema delle basi negli altri luoghi occupati,
è una vera e propria beffa che si aggiunge al danno; il sistema
affaristico degli accaparratori dei fondi per le bonifiche e quello
dell'occupazione militare vanno posti in relazione e combattuti insieme,
come parte dello stesso meccanismo sistemico di sottomissione
dell'interesse collettivo all'interesse di pochi.
Le
bonifiche, d'altronde, vengono banalizzate e utilizzate
propagandisticamente dalle stesse forze armate, periodicamente, con
lavori la cui ridicola insufficienza è sotto gli occhi di chiunque
voglia vedere. Ciò tuttavia non esime molti rappresentanti politici,
anche di quelli formalmente contro la presenza dei poligoni in Sardegna,
dall'accettare uno schema di bonifiche posto in essere dalle forze
armate prima della dismissione dei poligoni, secondo l'idea della
"riconversione ad usi civili". La chiusura, la dismissione e la
restituzione dei territori all'amministrazione civile emanazione della
volontà popolare locale va posta obbligatoriamente come atto precedente
le bonifiche e qualsiasi progetto futuro di riconversione.
Da
questo punto di vista, la necessità, sentita da più parti, di muovere
un discorso che non sia soltanto oppositivo, ma anche propositivo, si
scontra con l'evidente impossibilità di costruire scenari progettuali
credibili di riconversione, in mancanza di studi indipendenti (e della
possibilità di eseguirne in un clima sereno) sullo stato di alterazione
ambientale dei luoghi. Le proposte di riconversione, allo stato attuale,
si devono gioco forza limitare all'elencazione di un ventaglio di
possibilità di sviluppo autocentrato e di opportunità lavorative,
possibilità certamente precluse dall'occupazione militare.
Risarcimento dei danni
I
danni di 50 anni di occupazione militare, intesi come danni materiali
determinati dall'inquinamento dei luoghi, dalla deportazione delle
popolazioni, l'abbattimento delle case e il sequestro dei terreni, ma
anche come danni determinati dal mancato sviluppo del territorio,
dall'inibizione delle capacità della società di costituire un'economia
autonoma, determinato dall'asservimento delle infrastrutture e delle
strutture del territorio alla presenza militare, vanno risarciti alle
popolazioni. Non basta riottenere la disponibilità dei territori, senza
la possibilità di studiarne le condizioni con i dovuti strumenti
scientifici, operarne le bonifiche e creare le condizioni per un loro
utilizzo in funzione delle esigenze delle comunità locali. Questo
processo è un processo costoso, il cui finanziamento deve essere in capo
allo stato italiano, e in particolare al Ministero della Difesa,
all'Esercito, alle industrie che per 50 anni hanno utilizzato la
Sardegna come campo di sperimentazione per sistemi d'arma dagli impatti
ambientali pesantissimi, ma il cui controllo deve spettare alla
popolazione sarda. Per questo va mossa una battaglia affinché il
pagamento delle bonifiche e delle riconversioni successive sia inserito
in una più ampia pretesa di risarcimento dei danni da parte dello stato
nei confronti della popolazione e del territorio sardo, in forme sulle
quali è necessario costruire un dibattito. L'affidamento delle bonifiche
alla stessa mano governativa che ha prodotto il danno ha già dimostrato
la sua inaffidabilità, non solo nel caso della Maddalena, ma in tutto
il penoso capitolo delle bonifiche industriali nei SIN della Sardegna,
occorre che le bonifiche siano organizzate secondo gli interessi dei
sardi, non delle cordate affaristiche più vicine al governo del momento.
MEZZI
Costruzione di un movimento di massa organizzato
La
battaglia contro le basi richiede un salto di qualità
nell'organizzazione dei comitati e dei gruppi che sino ad ora si sono
impegnati nel movimento. E' necessaria una maggiore unità d'azione, una
maggiore capacità di mantenere una presenza costante e diffusa sul
territorio. Ci poniamo come obiettivo la creazione di un movimento
unitario e allo stesso tempo plurale e articolato.
Per
fare ciò è necessario innanzitutto che tutte le componenti
politicamente più avanzate e organizzate facciano un passo indietro
rispetto alle proprie posizioni ideologiche, in modo da evitare la
costruzione di muri o steccati in cui cittadini e persone, che si
vogliono inserire nella lotta, debbano per forza infilarsi. Allo stesso
tempo dal nostro punto di vista è imprescindibile sottolineare il
carattere, antirazzista, antifascista e antisessista della mobilitazione
che vogliamo portare avanti.
Il
movimento dev'essere radicato e la sua presenza capillare in tutto il
territorio e in tutti i paesi della Sardegna. Bisogna fare il grande
sforzo di creare dei nuclei di informazione e avere il coraggio di
scommettere sui paesi e località in cui non ci siamo mai avventurati. Un
movimento di massa organizzato deve farsi carico di molteplici proposte
e le deve accogliere sotto la stessa bandiera della lotta contro
l'occupazione militare. Rifiutiamo la divisione tra buoni o cattivi,
violenti e non violenti perché l'unica violenza che sopportiamo è quella
causata dai militari nei territori occupati e inquinati. Quella degli
aborti spontanei e delle malformazioni, quella di un addestramento alla
morte che parte dai nostri aeroporti militari per colpire in Yemen,
quanto in Libia o Palestina. Nel movimento non devono esistere
dissociazioni e polemiche pubblicate mezzo stampa, che fanno solo il
gioco di scribacchini, militari e politicanti. Ognuno secondo le sue
possibilità e sensibilità può dare un grande contributo all'enorme
obiettivo a cui aspiriamo.
CONCLUSIONI
Con
questo documento il Comitato Studentesco Contro l’Occupazione Militare
della Sardegna, intende offrire un contributo al dibattito sull’analisi
del momento storico. Dall’altra parte cerca di analizzare i limiti che
hanno caratterizzato questa fase e si propone di superarli. Come? l’idea
è quella di poter trovare una sintesi per far si che tutti i soggetti
in campo possano unirsi in questa lotta. Non sappiamo quando questo
avverrà, quando questi soggetti saranno maturi per poterlo fare senza
frizioni, pensiamo che sia però giunto il momento di iniziare questo
percorso. L'assemblea generale che vorremmo organizzare dopo questo tour
pensiamo che possa essere un punto di partenza a cui si aggregheranno
tante altre iniziative, dalle azioni contro le esercitazioni, ad altre
da proporre e discutere insieme in quest'anno di lotta.
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