Baraccopoli senza acqua,
riscaldamento né corrente elettrica nel mezzo delle campagne, turni di lavoro
nei campi di 10/12 ore al giorno, paghe da fame e contratti veri solo sulla
carta, continue aggressioni, morti sulle strade o bruciati vivi in tende e
baracche. Questi sono solo alcuni aspetti delle durissime condizioni in cui
sono costrette a vivere (e morire) in Italia, e in particolare al Sud, migliaia
di persone che provengono da altri paesi, dalla Romania al Senegal. Le loro
condizioni lavorative assomigliano a quelle di molti italiani e italiane,
aggravate però dalla mancanza di reti sociali e familiari e dal fatto di non
essere cittadini, con tutto ciò che questo comporta in termini di accesso a
servizi e tutele.
Da molti anni chi vive e lavora
nelle campagne del Made in Italy, in particolare nella provincia di Foggia e
nella Piana di Gioia Tauro, ha iniziato un processo di rivendicazione con le
istituzioni - Comuni, Prefetture, Questure, Regioni, fino ad arrivare al
Ministero dell’Interno. Obiettivo principale: avere un permesso di soggiorno,
con il quale poter ottenere un contratto e magari poter cambiare lavoro, avere
la possibilità di vivere in una casa oppure spostarsi altrove, e mille altre
cose che molti danno per scontate. La sordità delle istituzioni davanti alla
pur banale richiesta di garanzie minime, peraltro in gran parte previste dalla
legge, ha spinto lavoratori e lavoratrici delle campagne e solidali ad
intraprendere azioni di protesta, consapevoli che soltanto l'unione e la
determinazione possono portare risultati.
Lo scorso 6 dicembre, con la
solidarietà di decine di persone venute da diverse parti d’Italia, sono
nuovamente scesi in strada, con un massiccio sciopero che ha portato al blocco
sia dell’ingresso del porto di Gioia Tauro che della zona commerciale di Foggia
e del vicino casello autostradale. Nonostante l’ulteriore inasprimento delle
condizioni generali causate dai Decreti Sicurezza, è stata costruita una forte
e coraggiosa giornata di lotta, importante e necessaria per tutti, non solo per
le persone immigrate: perché ogni miglioramento ottenuto da chi lotta è
contagioso; così come ogni peggioramento delle condizioni di qualcuno è usato
da chi sfrutta e trae profitto da questo stato di cose come deterrente,
minaccia, gioco al ribasso per tutti gli altri. Quel giorno sia in Puglia che
in Calabria ci sono state cariche e pestaggi da parte della polizia: a Foggia
una persona è stata arrestata e rilasciata solo dopo essere stata violentemente
picchiata, mentre a Gioia Tauro un'automobile ha investito diverse persone per
forzare il blocco. Tra queste il più grave, dopo essere stato sommariamente
visitato, è stato portato direttamente dall'ospedale al commissariato di
polizia e denunciato.
Dopo qualche settimana è partita
una martellante azione repressiva che continua tutt'ora. Chi vive nei ghetti ha
subito schedature di massa, ogni volta con un pretesto diverso, con decine di
volanti che hanno circondato le loro abitazioni. Chi ha portato solidarietà ai
lavoratori delle campagne ha ricevuto fogli di via di tre anni da diversi
comuni, denunce, avvisi orali e multe che vanno dai 1000 ai 4000 euro, oltre a
continue forme di intimidazione nella vita quotidiana. Questa storia, come
tante altre che accadono in Italia e non solo, racconta chiaramente la violenza
del sistema: vivi da precario e sfruttato, ad un certo punto ti organizzi con
quelli che stanno male come te per stare meglio e in tutta riposta non solo
ignorano le tue richieste, ma vieni anche punito in diversi modi.
Evidentemente fa paura chi lotta
per ottenere ciò che gli spetta, trovando la forza di non arrendersi nonostante
lo sfruttamento, la violenza e l'isolamento. Fa paura chi affianca e sostiene
queste lotte, perché capisce che sono anche le sue, sul lavoro e per la casa,
che si portano avanti anche altrove. Ma fanno ancora più paura l’unione e il
dialogo tra italiani e immigrati. Sono anni che questi ultimi vengono descritti
come Il Problema, portatori di criminalità e ladri di case e lavoro (e magari
anche di donne, trattate come merce di scambio e proprietà di qualcuno), mentre
ci affossano con un mercato del lavoro tra i più precari d’Europa, l’assenza di
servizi in molte zone del paese e un sistema scolastico e universitario
lasciato senza fondi e strutture. Dobbiamo muoverci adesso perché ci stanno
togliendo tutto, anche la possibilità di dire quello che pensiamo. I decreti
sicurezza sono solo l'ultimo di una serie di provvedimenti che mira a dividerci
ed impaurirci. E' necessario abolirli, come è necessario abolire tutte quelle
leggi che impediscono a chi è più vulnerabile di potersi cercare una vita
migliore, rendendolo un criminale per il solo fatto di volersi spostare, che
puniscono chi dà a queste persone solidarietà e più in generale chi si ribella.
Mentre il nuovo governo balbetta di modifiche ancora tutte da capire ai
cosiddetti decreti Salvini, quasi nessuno dice che questi decreti, oltre a
punire i migranti e chi cerca di salvarli in mare, puniscono anche chi protesta
per migliorare le proprie condizioni di lavoro e di vita, italiani o stranieri
che siano.
Organizziamoci e sosteniamoci a
vicenda, la solidarietà ha tante forme. Le lotte nei ghetti in Calabria e in
Puglia, come altrove, vanno avanti e le persone che le animano si continuano a
confrontare ed organizzare. Esiste da anni la Cassa di Solidarietà La Lima che
sostiene e supporta economicamente e non solo, attraverso iniziative in tutta
Italia, chi lotta, ma anche chi vivendo ai margini viene colpito dalla
repressione. Inoltre, per fronteggiare le ingenti spese legali che dobbiamo
affrontare c’è anche la possibilità di dare un contributo direttamente sul
nostro sito campagneinlotta.org, attraverso il pulsante DONAZIONE.
È il momento di unire le forze,
facciamo appello alla nostra rabbia, alziamo la voce per farci ascoltare
davvero. No ai decreti Sicurezza! No alla repressione, no alla
criminalizzazione della solidarietà!
Documenti e libertà di movimento
per tutti!
Comitato Lavoratori e Lavoratrici delle Campagne
Rete Campagne in Lotta
Rete Campagne in Lotta
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