Per il giudice con la mancata iscrizione "verrebbe impedito l'accesso a tutti i servizi ad essa connessi"
di ISABELLA MASELLI
Il Comune di Bari dovrà
provvedere alla iscrizione anagrafica di un cittadino originario del
Bangladesh, richiedente asilo, residente in Italia dal luglio 2016. Lo
ha stabilito il Tribunale di Bari, prima sezione civile (giudice
Giuseppe Marseglia) con una ordinanza con la quale ha accolto il ricorso
del richiedente asilo, assistito dall'avvocato Felice Patruno. Per il
giudice con la mancata iscrizione "verrebbe impedito l'accesso a tutti i
servizi ad essa connessi".
Il provvedimento adottato dal giudice ordina l'iscrizione "disapplicando le norme del decreto Salvini (dl 113/2018) - spiega il legale - di cui si riserva di rimettere la questione alla Corte di Giustizia Ue e alla Corte costituzionale per contrasto con le norme europee e nazionali".
Il cittadino bengalese si era visto negare l'asilo dalla Commissione
territoriale per la protezione
internazionale di Bari e la richiesta è attualmente pendente in Cassazione. "Il Comune di Bari ha rigettato la sua istanza di iscrizione nel registro dell'anagrafe comunale, - spiega l'ordinanza - sostenendo che" sulla base del decreto Salvini "il suo permesso di soggiorno per richiesta asilo, in quanto temporaneo, non fosse 'titolo' valido a legittimare la richiesta"
Per il giudice, però, "il diritto all'iscrizione richiede due requisiti necessari: uno oggettivo consistente nella permanenza in un certo luogo ed uno soggettivo", e cioè "l'intenzione di abitarvi stabilmente". "E' ragionevole ritenere che il ricorrente, - motiva il Tribunale - avendo proposto richiesta di asilo ed ancor piu avendo sottoscritto volontariamente un contratto di locazione regolare della durata di due anni per un immobile a Bari, abbia integrato entrambi i requisiti, trovandosi di fatto stabilmente sul territorio italiano ormai dal 2016, circostanza che dimostra il carattere non episodico e di non breve durata".
Inoltre "la mancata iscrizione nel registro dell'anagrafe rappresenta fonte di pregiudizio non risarcibile per equivalente e dunque irreparabile" perché impedirebbe l'accesso ad una serie di servizi. Infatti, sebbene il decreto Salvini "abbia previsto che anche in caso di mancata iscrizione nei registro anagrafico, - spiega il giudice - il richiedente possa accedere a diversi servizi essenziali quali ad esempio l'assistenza sanitaria, l'istruzione dei minori richiedenti protezione internazionale e dei minori figli di richiedenti protezione internazionale, la possibilita? 'di svolgere l'attivita? lavorativa', la partecipazione 'ad attivita? di utilita? sociale', l'iscrizione anagrafica nel registro della popolazione residente resta comunque necessaria per poter accedere ai servizi e alle misure di politica attiva del lavoro, per poter richiedere e ottenere un numero di partita Iva, ai fini della determinazione del valore Isee richiesto per poter accedere alle prestazioni sociali agevolate (ad esempio l'assegno di natalita?), ai fini della decorrenza del termine di 9 anni per ottenere la cittadinanza italiana, per poter ottenere il rilascio del permesso di soggiorno Ue per soggiornanti di lungo periodo, ai fini del rilascio della patente di guida".
"Non puo? dunque dubitarsi - conclude l'ordinanza - che il divieto di iscrizione anagrafica per il richiedente asilo finirebbe per compromettere il godimento di diritti fondamentali di rilevanza costituzionale".
Il provvedimento adottato dal giudice ordina l'iscrizione "disapplicando le norme del decreto Salvini (dl 113/2018) - spiega il legale - di cui si riserva di rimettere la questione alla Corte di Giustizia Ue e alla Corte costituzionale per contrasto con le norme europee e nazionali".
internazionale di Bari e la richiesta è attualmente pendente in Cassazione. "Il Comune di Bari ha rigettato la sua istanza di iscrizione nel registro dell'anagrafe comunale, - spiega l'ordinanza - sostenendo che" sulla base del decreto Salvini "il suo permesso di soggiorno per richiesta asilo, in quanto temporaneo, non fosse 'titolo' valido a legittimare la richiesta"
Per il giudice, però, "il diritto all'iscrizione richiede due requisiti necessari: uno oggettivo consistente nella permanenza in un certo luogo ed uno soggettivo", e cioè "l'intenzione di abitarvi stabilmente". "E' ragionevole ritenere che il ricorrente, - motiva il Tribunale - avendo proposto richiesta di asilo ed ancor piu avendo sottoscritto volontariamente un contratto di locazione regolare della durata di due anni per un immobile a Bari, abbia integrato entrambi i requisiti, trovandosi di fatto stabilmente sul territorio italiano ormai dal 2016, circostanza che dimostra il carattere non episodico e di non breve durata".
Inoltre "la mancata iscrizione nel registro dell'anagrafe rappresenta fonte di pregiudizio non risarcibile per equivalente e dunque irreparabile" perché impedirebbe l'accesso ad una serie di servizi. Infatti, sebbene il decreto Salvini "abbia previsto che anche in caso di mancata iscrizione nei registro anagrafico, - spiega il giudice - il richiedente possa accedere a diversi servizi essenziali quali ad esempio l'assistenza sanitaria, l'istruzione dei minori richiedenti protezione internazionale e dei minori figli di richiedenti protezione internazionale, la possibilita? 'di svolgere l'attivita? lavorativa', la partecipazione 'ad attivita? di utilita? sociale', l'iscrizione anagrafica nel registro della popolazione residente resta comunque necessaria per poter accedere ai servizi e alle misure di politica attiva del lavoro, per poter richiedere e ottenere un numero di partita Iva, ai fini della determinazione del valore Isee richiesto per poter accedere alle prestazioni sociali agevolate (ad esempio l'assegno di natalita?), ai fini della decorrenza del termine di 9 anni per ottenere la cittadinanza italiana, per poter ottenere il rilascio del permesso di soggiorno Ue per soggiornanti di lungo periodo, ai fini del rilascio della patente di guida".
"Non puo? dunque dubitarsi - conclude l'ordinanza - che il divieto di iscrizione anagrafica per il richiedente asilo finirebbe per compromettere il godimento di diritti fondamentali di rilevanza costituzionale".
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