da contropiano
Nell’omicidio di Roberto Scialabba, “grazie” alle confessioni del fascista “pentito” Cristiano Fioravanti, abbiamo appreso con quale “cura” i Nar andassero in cerca dei propri obiettivi.
La descrizione dell’omicidio figura anche nella richiesta di archiviazione (!) presentata dalla Procura di Roma per l’omicidio di Valerio Verbano.
“Quel 28 febbraio 1978, come confessato da Fioravanti Giuseppe Valerio nell’interrogatorio del 5 aprile 1986, e riportato nella citata sentenza della 5^ sezione della Corte d’Assise di Roma, ‘L’azione di ritorsione doveva avvenire
(…) contro gli occupanti abusivi, forse attivisti di Democrazia Proletaria, di una casa in via Calpurnio Fiamma, ma giunti sul posto constatarono [constatammo] che il fabbricato era stato sgomberato dalle forze dell’ordine’.‘I componenti dei Nar fecero allora un giro del quartiere e videro in piazza Don Bosco tre o quattro ragazzi vestiti da compagni’ 53La Corte rileva inoltre che l’evento ‘non esplose improvvisamente (…) ma fu freddamente preparato, e si raggiunse un luogo distante da quello abitualmente frequentato non per difendersi con le armi, ma per porre in essere con le armi l’evento-morte’A uccidere materialmente Roberto Scialabba fu Fioravanti Giuseppe Valerio, che ‘ferì con la propria rivoltella, una 38 Franchi Llama 6 pollici, un giovane (Roberto Scialabba) che cadde a terra: si pose a cavalcioni del corpo e gli sparò in testa una o due volte; si girò in direzione di un altro ragazzo che scappava esplodendo contro di lui altri colpi, senza però attingerlo’55
Inoltre nella sentenza veniva anche precisato che ‘Valerio Fioravanti aveva preteso che Alibrandi non sparasse perché non gli stava bene che questi avesse già ucciso un compagno, cioè Walter Rossi, mentre lui ancora non poteva vantarsi di un simile gesto’ 56
A svolgere l’azione di fuoco, mentre altri militanti effettuavano una cornice di sicurezza a distanza variabile su due altre autovetture, furono Fioravanti Giuseppe Valerio, Fioravanti Cristiano e Anselmi Franco.
L’omicidio di Roberto Scialabba venne rivendicato con la sigla ‘Giustizia nazionale rivoluzionaria o qualcosa di simile’.
Da ricordare sempre – per capire la contiguità strettissima tra fascisti con la pistola e quelli in doppiopetto – che l’autista di una delle auto usate per l’omicidio di Roberto, tal Francesco Bianco, fu poi fatto assumere all’Atac durante la sindacatura di Gianni Alemanno.
Qui di seguito uno dei volantini dedicati a Roberto dal Movimento d’allora:.
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28 febbraio bandiere Rosse al vento, è morto un Partigiano,ne nascono altri cento
Nei giorni precedenti all’anniversario della morte di Mantakas, Fioravanti e i suoi accoliti discutono molto su quale azione mettere in atto per ricordare il camerata ucciso, fino a quando un neofascista appena uscito dal carcere riporta la notizia che a sparare ad Acca Larentia, il 7 gennaio, sono stati quelli del centro sociale di Via Calpurnio Fiamma. Detto, fatto: quella sera in otto salgono su tre macchine e si dirigono verso il quartiere Tuscolano. Arrivano davanti all’edificio occupato, ma lo trovano chiuso, perché la mattina stessa è stato sgomberato da un’operazione di polizia.
Il gruppetto comincia a perlustrare la zona, entra in un parchetto e vede un gruppo di ragazzi, che dal vestiario sembrano appartenere alla sinistra extraparlamentare. I neofascisti scendono da una delle macchine, e cominciano subito a sparare. Le pistole però si inceppano, ma per terra rimane, ferito, Roberto Scialabba, colpito al torace, mentre gli altri ragazzi, alcuni feriti, riescono ad allontanarsi. L’agguato potrebbe concludersi senza vittime, ma Valerio Fioravanti salta addosso a Roberto e gli spara: uno, due colpi alla testa. È il primo omicidio di Valerio Fioravanti, ma lui stesso si rende conto che i ragazzi di Piazza San Giovanni Bosco non avevano nulla a che fare con Acca Larentia.Alcune ore dopo, una telefonata all’Ansa rivendica l’omicidio: “La gioventù nazional rivoluzionaria colpisce dove la giustizia borghese non vuole. Abbiamo scoperto noi chi ha ucciso Ciavatta e Bigonzetti. Onore ai camerati caduti.” Ci vorranno però quattro anni, dopo le dichiarazioni del pentito Cristiano Fioravanti, perché la magistratura riconosca la matrice politica del delitto, che fino allora era stato considerato un “regolamento di conti tra piccoli spacciatori”.
In una scritta, quando il 30 settembre di un anno prima era stato ucciso Walter Rossi, Roberto, pur non conoscendolo direttamente, lo aveva così ricordato: «Una lacrima scivola sul viso, una lacrima che non doveva uscire, il cuore si stringe, si ribella, i suoi tonfi accompagnano slogan che si alzano verso il cielo “non basta il lutto pagherete caro pagherete tutto”». Così, all’indomani della morte, i compagni di Cinecittà lo ricordavano: «Roberto era un compagno che lottava, come tutti noi, contro un’emarginazione che Stato e polizia gli imponevano. E’ caduto da partigiano sotto il fuoco fascista».
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