sabato 7 marzo 2020

pc 7 marzo - Imperialismo e colonizzazione nei contributi di Fanon e Memmi - un intervento dalla Tunisia

La “follia” della colonizzazione e le sue ricadute sul colonizzatore e sul colonizzato nei contributi di Frantz Fanon e Albert Memmi

Introduzione

La lettura dei due autori che ha ispirato questo intervento ci mostra alcuni punti di contatto tra loro: entrambi provengono dal mondo coloniale francese, entrambi accademici, entrambi analizzando il fenomeno del Colonialismo e utilizzando il metodo dialettico, considerano come punto di partenza la struttura economica e materiale del mondo coloniale, per sfociare su un piano sovrastrutturale nelle ricadute intime e psicologiche del colonizzatore e del colonizzato.
Nella sua principale opera “I dannati della Terra”, Frantz Fanon partendo dall’esperienza algerina analizza le dinamiche della cosiddetta “decolonizzazione” analizzandone molteplici aspetti: politici, economici, psicologici, artistici e così via.
I popoli oppressi che intraprendono il cammino della propria liberazione, che secondo Fanon può avvenire solo tramite la violenza rivoluzionaria, sono in primo luogo costretti a “fare i conti con sé stessi” o meglio con l’identità che per secoli il colonizzatore ha imposto al popolo colonizzato
rendendolo una “bestia” ammansita, privo delle qualità “umane” (dell’uomo bianco europeo).
La liberazione del colonizzato avviene tramite un processo dialettico in cui la “bestia” dapprima si ribella restando ancora nel recinto della sua bestialità per poi riappropriarsi della propria umanità comprendendo che, in realtà, è proprio il colonizzatore a non avere nulla di “umano”.

Questo processo di riscatto avviene nel quadro di una ribellione violenta anche interiore su cui l’autore aveva scritto il suo primo lavoro: “Pelle nera, maschere bianche”.
Memmi nel suo “Ritratto del colonizzato e del colonizzatore” restando nel solco di questo tipo di analisi, riferendosi al colonizzatore, parla di “complesso di Nerone” ovvero di un processo di autoesaltazione del proprio ruolo.
I due autori coevi, è come se avessero intrapreso un dialogo sulla questione coloniale arrivando a simili conclusioni, pur non essendosi mai incontrati personalmente o tramite scambio epistolare, quest’ultime a nostro avviso sono quanto mai attuali in una fase post-coloniale di neocolonialismo.

Dialettica della liberazione in Fanon e spunti analitici in Memmi

L’ambientazione in cui si sviluppano le contraddizioni della società coloniale, è un mondo che si compone di due spazi: la metropoli europea e lo spazio indigeno.
Queste due componenti sono contrapposte per quanto riguarda ad esempio l’attività umana: nella società indigena si svolge “l’economia coloniale” che prevede l’estrazione di risorse da parte del popolo colonizzato a favore del colonizzatore.
In tal senso Fanon definisce il mondo colonizzato “a scomparti”, “scisso in due”.
Tutto ciò è imposto con la violenza di una forza senza veli: l’uomo bianco colonizzatore afferma sé stesso e giustifica tutto ciò in quanto portatore di valori civilizzatori umani ma per assurdo, in questo processo nega l’essenza umana del colonizzato che è assimilabile ad una bestia o ad un subumano, i principi universalistici dell’umanesimo occidentale nelle loro varianti illuministiche e cristiane sono negate alla sfera del colonizzato.
A ciò si aggiunge la pretesa del colono di cancellare anche la Storia e quindi la memoria indigena che si pretende essere immutabile, si afferma che la Storia inizia in Colonia con l’arrivo dell’uomo bianco con tutto il corollario valoriale, religioso ecc. da lui portato.
Infatti per il colonizzatore il concetto di umanità è applicabile solo all’uomo bianco europeo cristiano. Secondo il colonizzatore la “civiltà” è nata nella culla mediterranea greco-romana. I popoli al di fuori del paradigma greco-romano sono destinati a fare la fine di Cartagine: essere assoggettati e, nel migliore dei casi, assimilati per negazione (ovvero negandone l’essenza, storia, cultura, valori della società indigena).
Dice Memmi:
“il colonizzato sembra condannato a perdere progressivamente la memoria”, se ha un’istruzione (coloniale) è obbligato a imparare la storia, la cultura, le tradizioni ecc. del colonizzatore, “la storia che gli si insegna non è la sua. Egli sa chi fu Colbert o Cromwell, ma non chi fu Khaznadar o Kahena”.
Questa negazione si perpetua quotidianamente, per decenni, talvolta per secoli: il popolo colonizzato non ha diritti ed è giusto che sia così in quanto “non ha valori” (i valori dell’uomo bianco) “non ha una religione” (la religione cristiana) “non ha una storia” (la storia greco-romana) non ha una civiltà (la civiltà occidentale).
Inoltre, al lusso della metropoli europea si contrappone, oltre la cortina di filo spinato e posti di blocco, la miseria dello spazio indigeno:
“la causa è conseguenza e viceversa: si è ricchi perché si è bianchi si è bianchi perché si è ricchi”.
Più il colono afferma l’essenza che vuole rappresentare più nega quindi l’essenza umana del colonizzato:

Da ciò ne consegue una quotidiana disumanizzazione oggettiva del colonizzato da parte del colonizzatore che si ripete per anni, per decenni e talvolta per secoli.
Più il colono afferma l’essenza che vuole rappresentare più nega l’essenza umana del colonizzato:

“il colonizzato è solo forza lavoro a basso costo ed è carico di ‘qualità’ negative […] è disumanizzato da una serie di negazioni” insomma “è posto al di fuori della storia e al di fuori dello Stato”.
L’impatto è devastante, per dirla con Fanon:
“Come conseguenza di una negazione continua, il colonizzato è continuamente obbligato a porsi una domanda: ‘chi sono io in realtà?’”.

Memmi si riferisce allo stesso concetto dicendo che: “il razzismo riassume e simboleggia la relazione fondamentale che unisce il colonialista al colonizzato”.

Secondo Fanon, in questo primo momento dialettico in cui il colonizzatore afferma sé stesso, la sottomissione del colonizzato avviene con una violenza tale che inizialmente quest’ultimo “se ne fa una ragione” e accetta passivamente il ruolo che il colonizzatore gli relega nella società coloniale e a rispettarne l’ordine costituito; l’unica valvola di sfogo del colonizzato è di esercitare la violenza non verso il colonizzatore ma verso i propri pari.
Questo processo di sradicamento ontologico del colonizzato va ben oltre quanto descritto, egli sa comunque di non essere una bestia bensì un uomo ma ormai ha interiorizzato il concetto che uomo significa “uomo bianco”, allora “per il nero non vi è che un destino, ed è bianco”, per questo motivo “alcuni neri vogliono dimostrare ai bianchi costi quel che costi la ricchezza del loro pensiero, l’eguale potenza del loro spirito.”
Ma in questo mondo costruito ad immagine e somiglianza del bianco, tutto è pervaso da mistificazione, non importa il grado di cultura ed il valore oggettivo del nero, egli si scontrerà sempre con dei problemi legati alla sua essenza corporale, a partire dagli sguardi e dai giudizi.
Entrambi gli autori individuano un’altra forma che contribuisce a questa crisi d’identità ovvero nell’imposizione e uso della lingua del colonizzatore nella società coloniale.
Inoltre il bilinguismo coloniale rende il colonizzato straniero nel suo paese, vive un vero e proprio dramma linguistico.
Fanon nella sua prima opera svela un altro aspetto di questa faccenda: Il nero che possiede il linguaggio del bianco colonizzatore colma la distanza e si allontana dal suo essere nero, e riporta come esempio il fatto che certe famiglie vietano l’uso del creolo ai figli e li obbligano a parlare francese (per inciso il francese dei francesi).
Alla perdita d’identità del colonizzato corrisponde l’interpretazione del proprio ruolo da parte del colonialista, essendo a conoscenza che esso deriva da un’ingiustizia. Convincerà sé stesso del paradigma razzista e così facendo trasformerà magicamente l’ingiustizia in giustizia perché essa può essere esercitata solo tra gli Uomini ed il colonizzato come abbiamo visto uomo non è. In cuor suo sa che il proprio privilegio garantito dal suo essere Colonialista deriva dal ruolo del Colonizzato, sarà quindi consapevole di ciò che Memmi chiama “illegittimità doppia”, non è quindi un semplice sfruttatore, di più: un “usurpatore”.
Il colonialista è quindi titolare secondo Memmi di profitto, privilegio e anche usurpazione.
I migliori colonialisti, quelli che hanno qualità intellettive, culturali, imprenditoriali, superiori alla media lasciano per vari motivi dalla Colonia preferendo l’ambiente naturale della Madrepatria, hanno quindi la reale possibilità di rifiutare sia i privilegi che l’usurpazione: in una parola di negarsi in quanto colonialisti ed uscire dalla scena coloniale.
Restano principalmente i mediocri, spesso falliti nella madrepatria ma che in una società coloniale detengono il potere, vi è quindi una sorta di innalzamento della mediocrità che provoca un contraccolpo psicologico anche al colonialista che Memmi chiama “complesso di Nerone”.
Ovvero l’esaltazione del proprio ruolo di usurpatore: l’usurpatore vuole la negazione morale e fisica dell’usurpato, ma non può perché la propria usurpazione nasce dall’esistenza dell’usurpato stesso. Questo è il “dramma” del colonialista, tanto più crede nella negatività del colonizzato, tanto più desira il suo annichilimento totale anche fisico, quanto si rende conto che la scomparsa dell’usurpato significherebbe specularmente la scomparsa dell’usurpatore.
Ciò è la follia della colonizzazione incarnata principalmente dai due protagonisti dello spazio coloniale.
Memmi in un passo della sua opera dice:
“la colonia fabbrica i colonialisti, come fabbrica i colonizzati”.
Com’è possibile distruggere questo “manicomio” rappresentato dallo spazio coloniale nell’analisi dei due autori?

Per entrambi l’unica via da imboccare per dar vita ad una reale decolonizzazione è identificata esplicitamente nella Rivoluzione. Soprattutto nell’analisi di Fanon essa assume contorni più nitidi in cui si intravede il richiamo e Engels sull’importanza e necessità del ruolo della violenza levatrice della Storia per il suo sviluppo e avanzamento.

Nel secondo momento dialettico il colonizzato, a causa della violenza subita per troppo tempo, intraprende un moto di ribellione interna e si riappropria della propria umanità (cioè dei propri valori e Storia negati dal colonizzatore), ma in realtà lo fa in maniera idealistica ovvero si ricostruisce una propria umanità all’ombra del mito dei suoi antenati, non affermando ciò che lui è realmente qui ed ora.
In questo processo è presente una totale negazione dell’uomo bianco, del suo mondo, dei valori di cui è portatore, per dirla alla Fanon: “dopo aver attraversato diverse fasi e stati d’animo alla fine il nemico è stato identificato”, il nero smetterà di voler essere bianco ma al contrario viene affermato il valore della negritudine contrapposta alla società bianca. Affermando il proprio passato mitico afferma anche l’unita della causa nera a livello internazionale decontestualizzando le singole lotte di liberazione dal continente americano a quello africano, com’è ben descritto dal film Panther a proposito della lotta dei neri americani negli USA tra gli anni ’60 e ’70.
Infine il popolo indigeno approderà alla terza fase dialettica di sintesi (negazione della negazione) negando dapprima il suo sé colonizzato, secondariamente il suo falso sé mitologico, infine “svegliandosi” e riconoscendo sé stesso “qui ed ora” nella realtà coloniale. Questo “risveglio” avviene secondo Fanon quando il popolo colonizzato si arma iniziando la lotta di liberazione nazionale tramite la guerriglia.

“Per loro, militare in un partito nazionale, non è far politica, è scegliere il solo mezzo di passare dallo stato animale allo stato umano.”
Quando gli imperi coloniali furono sull’orlo del collasso, la loro esistenza non era più sostenibile soprattutto economicamente, l’avvio delle lotte di liberazione nazionali spinse le potenze coloniali a intraprendere un processo di transizione alla decolonizzazione di medio periodo, in questo cambio di paradigma cambia anche il discorso dell’uomo bianco, diventa disperatamente conciliatorio, affermando infine: “io e te siamo uguali”. È proprio in quel momento che il colonizzato è ormai convinto che il bianco “non capisce che il linguaggio della violenza” e solo così potrà essere cacciato dalla terra che non è sua.
“Alla teoria dell’indigeno male assoluto corrisponde quella del colono male assoluto, per il colonizzato la vita non può sorgere che dalla putrefazione del cadavere del colono”.

Entrambi gli autori sono concordi nell’analisi nell’individuare la nascita di una sorta di razzismo per reazione da parte del colonizzato verso il colonizzatore, dice Memmi: “per il colonizzato, tutti gli europei delle colonie sono dei colonizzatori di fatto”, ma sottolinea: “se la xenofobia e il razzismo del colonizzato contengono un immenso risentimento e una evidente negatività, possono però essere il preludio di un movimento positivo, e cioè la ripresa del colonizzato promossa da lui stesso”.
Fanon va pure oltre e indica come il nuovo gruppo nazionale nascente in certi casi vada oltre il “nazionalismo” sfociando in “ultranazionalismo” con la parola d’ordine di “via tutti gli stranieri” compresi quelli che appartengono alla classe lavoratrice e che non erano direttamente impiegati nell’amministrazione coloniale.

Gli italiani di Tunisia durante il Protettorato francese: colonizzati o colonizzatori?

Giunti fin qui è impossibile non pensare alla sorte della numerosa collettività italiana in Tunisia passata da oltre 100.000 membri a poche migliaia proprio durante il processo di indipendenza formale del paese nel 1956. Un fenomeno ancora oggetto di dibattito su cui può venirci in aiuto proprio Albert Memmi che nella sua prima opera aveva definito le nazionalità europee in Tunisia (ad esempio italiani, maltesi) i candidati all’assimilazione come la maggior parte degli ebrei, i “recentemente assimilati” come i corsi e anche gli indigeni collaborazionisti come appartenenti ad una fascia intermedia della popolazione, tutti da lui definiti: “né colonizzatori né colonizzati”.
Per capire a fondo questa definizione bisogna ritornare sulla classificazione che Memmi fa tra coloniale, colonizzatore e colonialista.
Il primo è un ipotetico europeo che vive in colonia ma senza privilegi avendo lo stesso tenore di vita indigeno, dice Memmi: “il coloniale che risponda a quei requisiti non esiste, poiché tutti gli europei delle colonie sono privilegiati”.
Il secondo è quindi il colonizzatore europeo che, in quanto tale in colonia è titolare di privilegi rispetto all’indigeno, anche se appartenente a classi lavoratrici.
Il terzo invece, il colonialista, corrisponde all’usurpatore descritto su.
Memmi però in un paragrafo intitolato “altri inganni della colonizzazione” descrive questa fascia intermedia che pur non appartenendo né agli oppressi né ai colonizzatori è titolare di privilegi e tende quindi a stabilire un rapporto simile a quello colonizzatore-colonizzato: le sfumature tra una categoria e l’altra sono qui di fondamentale importanza.
Gli italiani pur essendo più vicini ai colonizzati, se paragonati ai francesi, perché parlavano la loro lingua e contraevano rapporti di amicizia e matrimoniali godevano di grandi privilegi giuridici che il colonizzato non aveva, stabiliti dalle Convenzioni consolari tra Regno di Italia e Reggenza tunisina nel 1896. A ciò si aggiunge anche la comune religione dell’oppressore colonizzatore che favoriva oggettivamente gli italiani di Tunisia.
A tal proposito Fanon ci ricorda che: “la Chiesa in colonia è una Chiesa per bianchi, una chiesa di stranieri. Non chiama l’uomo colonizzato alla via del Signore, ma alla via del bianco, alla via del padrone, alla via dell’oppressore. È com’è noto in questa faccenda ci sono molti chiamati e pochi eletti”
Da questo principio generale, da noi condiviso, è necessario specificare che nel Protettorato francese, dato il contesto particolare, la Chiesa non solo era bianca ma anche francese: vi fu infatti uno scontro sulla nomina delle gerarchie ecclesiastiche le quali inizialmente erano di provenienza italiana e successivamente durante il Protettorato vennero francesizzate, tale scontro si palesò inoltre durante l’importante evento del Congresso Eucaristico tenutosi a Cartagine nel maggio del 1930 presieduto dal Cardinale francese Lépicier, la sua nomina provocherà scontri tra italiani e francesi.
Oltre all’importante elemento dell’appartenenza religiosa, lo è ancor di più la questione della proprietà della terra. Molti italiani (ovvero siciliani) erano diventati proprietari terrieri proprio in seguito allo stravolgimento dei diritti di proprietà ad opera dei francesi a danno della proprietà indigena, con gli anni da piccoli, divennero medi proprietari, impiegando contadini indigeni. Nelle proprietà agricole italiane vi fu la tendenza ad una divisione nazionale del lavoro ricalcante quella coloniale: italiano padrone della terra, indigeno lavoratore nel podere posseduto dall’europeo.
Nell’analisi della questione coloniale Fanon evidenzia che in ultima analisi la questione fondamentale è proprio quella della proprietà della terra: “I colonizzati, nella loro immensa maggioranza, vogliono il podere del colono.”
Da ciò si spiega quindi la decisione del nuovo Stato tunisino di nazionalizzare la totalità delle terre in mano a proprietari stranieri (in gran parte italiani) pochi anni dopo l’indipendenza formale. Se poi la destinazione di queste terre non coincidesse proprio con l’idea di Fanon, è un altro discorso che non è possibile affrontare qui per ovvi motivi.
Il Corriere di Tunisi, organo italiano nel paese, il 12 giugno del ’65 scrisse a tal merito nel suo editoriale (come ricordato da Silvia Finzi in appendice ad una pubblicazione di Brondino): “la Tunisia è un paese nuovo che deve dotarsi di strutture nuove e cosi vuole sbarazzarsi e spolverare le tante strutture economiche inadeguate imposte nella maggior parte dei casi da un lungo periodo di dipendenza per servire da completamento ad un’economia colonialista di cui lo sguardo andava dalla colonia alla Metropoli...; cosa dovevano fare i dirigenti della Repubblica? Quello che hanno fatto.”

Per tutte queste ragioni condividiamo generalmente la definizione di Memmi di fascia intermedia anche se a nostro avviso gli italiani, in questa fascia intermedia coloniale, erano fortemente tendenti alla “fascia superiore” del colonizzatore piuttosto che alla “fascia inferiore” del colonizzato. Certo questa banda era continuamente cangiante come conseguenza dei rapporti bilaterali tra Francia e Italia in cui vi fu un’influenza negativa giocata dal regime fascista e dalla sua politica estera aggressiva che irrigidì le autorità coloniali nei confronti della collettività italiana, a cui seguì un maggiore irrigidimento con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale.
Proprio per questo motivo la comunità antifascista in Tunisia e in particolare i settori più proletari di essa, andando controcorrente, auspicavano l’abolizione delle Convenzioni e la naturalizzazione degli italiani, distinguendosi però dalla posizione e dalla pratica colonialista, richiedevano equi diritti ai lavoratori di tutte le nazionalità, compresi quelli della collettività italiana salvo che per gli aderenti al regime fascista in Colonia i quali avevano contribuito alla divisione della classe lavoratrice nel Protettorato e in particolare dei lavoratori italiani dai lavoratori arabi, francesi ed ebrei.

Conclusioni

Gli imperi coloniali sono stati sostituiti da un dominio imperialista e neo-coloniale nelle ex-colonie (salvo poche eccezioni) la dipendenza evidente degli ex popoli colonizzati è quella economica ma riguarda anche il dominio della sovrastruttura.
Fanon in particolare anticipava questo tipo di analisi quando ne “I dannati della terra” si spingeva nella critica alle elites nazionali, che avevano appena proclamato l’indipendenza formale, di replicare il meccanismo coloniale di dipendenza del popolo verso le potenze imperialiste e di essersi sostituite al Colonialista non solo come sfruttatore economico, ma anche come replicante dei suoi schemi mentali, di pensiero, linguistici, a detrimento sia del popolo e in forme maggiori verso le sue minoranze.
Non è un caso che ancora oggi tra le buone borghesie di questi paesi i figli vengono educati utilizzando la lingua dell’ex colonialista, giusto per fare un esempio, oltre che a scimmiottarne le abitudini “occidentali” in cui quest’ultimo termine è carico di una potenza valoriale positiva (democrazia, libertà individuale, diritti umani ecc.).
Per questo motivo Fanon applica parallelamente questa sua “dialettica della liberazione” a due soggetti particolari interni al colonizzato: gli intellettuali e l’elites nazionale. Per quanto concerne i primi invece, Fanon criticherà sia gli adoratori della Cultura occidentale che abiureranno le proprie origini ( e che sono appendice diretta di quelle elites) sia chi come Césaire affermeranno il valore della negritudine non andando oltre la seconda fase dialettica della negazione;
Nel 1961, anno in cui fu pubblicata la sua opera più conosciuta, “I dannati della terra”, si spense a causa di un cancro, il suo pensiero ebbe un’influenza in diversi movimenti di liberazione nazionale tra cui le Pantere Nere negli U.S.A. e in quello palestinese.
Albert Memmi al contrario, nella seconda parte della sua vita, si allontanò dall’analisi di “Ritratto del Colonizzato e del Colonizzatore”, appoggiò il Sionismo facendolo rientrare a torto tra i “movimenti di liberazione nazionale” definendosi un “sionista di sinistra”, auspicando uno stato di Israele secolare e un “diritto all’autodeterminazione sia per i palestinesi che per gli israeliani”, arrivò a parlare di “due nakba” vissute da “due popoli”: i palestinesi e gli israeliani!
In contrasto con la nostra introduzione a questo intervento in cui si marcavano i vari punti di contatto, adesso va rilevato l’abisso profondo tra i due autori:
il primo ha dedicato tutta la propria vita al servizio dei popoli oppressi, non solo nel mondo delle idee ma nella pratica quotidiana aderendo al F.LN. algerino ricalcando le caratteristiche dell’intellettuale organico per dirla alla Gramsci.
Il secondo, tutt’ora vivente, al contrario, è lo stereotipo dell’intellettuale embedded, oggettivamente al servizio dell’establishment dell’ex madrepatria, che giustifica, con analisi totalmente incongruenti e contradditorie, la follia e l’esistenza di un regime razzista, che non ha nessuna legittimazione storica e politica, la cui affermazione è la sistematica negazione del popolo palestinese.
Viva Frantz Fanon!

Bibliografia

Fanon Frantz, Le damne de la Terre, Ouvres,
Fanon Frantz, Peau noire, masques blanques, Ouvres,
Brondino Michele, La stampa italiana in Tunisia. Storia e società 1838-1956, Milano, Editoriale Jaca Books SpA, 1998.
Melfa Daniela, Migrando a Sud. Coloni italiani in Tunisia (1881-1939), Roma, Aracne Editrice S.r.l., 2008.
Memmi Albert, Ritratto del colonizzato e del colonizzatore, Napoli, Anthropos Liguori Editore, 1979.

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