Questo
ricordo della famose “schedature Fiat” illumina sui rapporti tra
industriali e apparati dello Stato, al basso livello dei rapporti con
sbirri e questurini, premiati con un “fuori busta” per le informazioni
raccolte sui lavoratori al di fuori della loro vita
aziendale. Il rapporto dei padroni con lo Stato, al livello delle politiche economiche e industriali, è ovviamente più organico, complesso, e anche i “fuori busta” – quando devono andare a ministri e parlamentari – hanno tutt’altra consistenza.
aziendale. Il rapporto dei padroni con lo Stato, al livello delle politiche economiche e industriali, è ovviamente più organico, complesso, e anche i “fuori busta” – quando devono andare a ministri e parlamentari – hanno tutt’altra consistenza.
Ma
la natura “organica” di questo rapporto è assolutamente identica. Poi,
naturalmente, ci sono da considerare i cambiamenti introdotti
dall’evoluzione delle tecnologie. Oggi la Fiat avrebbe risparmiato molto
firmato un contrattino di servizio con Facebook, Twitter, Telegram e
altri social.
Perché oggi ci schediamo tutti da soli…
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350.000
SCHEDE SULLE OPINIONI POLITICHE E LA VITA PRIVATA DEI DIPENDENTI:
QUANDO LA FIAT SPIAVA ILLEGALMENTE I LAVORATORI OTTENENDO INFORMAZIONI A
PAGAMENTO DAGLI APPARATI DELLO STATO
Il
24 settembre 1970 Caterino Ceresa intenta causa alla Fiat sostenendo di
avere, per anni interi, portato a termine mansioni ben diverse rispetto
a quelle previste dal contratto con cui era stato assunto. Inquadrato
come fattorino, egli giurava di essere stato occupato prevalentemente
come informatore dell’azienda, compito che prevedeva la stesura di
relazioni scritte che dovevano servire ad inquadrare “le qualità morali,
i trascorsi penali, la rispettabilità delle persone con le quali la
società stessa era o doveva entrare in relazione”.
Insomma Caterino faceva la spia.
Il
9 luglio dell’anno seguente il pretore del lavoro di Torino Angelo
Converso gira alla pretura penale gli atti del processo, che per Ceresa
si chiuse con una sconfitta. Diede però avvio ad un’indagine penale che
portò, il 5 agosto, il magistrato Raffaele Guariniello a presentarsi
davanti ai cancelli della FIAT con un atto che prevedeva l’accesso
all’archivio dei servizi generali. Mancando i funzionari in grado di
aprire la cassaforte, Guariniello portò via la parte disponibile e tornò
ad inizio settembre.
Nonostante
alcuni testimoni avessero notato un particolare affollamento nei giorni
precedenti presso l’archivio aziendale, al suo ritorno il magistrato
trovò ben 350.000 schede relative ai dipendenti. Molti documenti
contenevano dati che potevano provenire esclusivamente dalla procura
della Repubblica e dagli uffici di polizia e carabinieri.
Si
evinceva che l’attività di spionaggio andava avanti da un ventennio e
aveva come scopo quello di valutare l’appartenenza ideologica dei
lavoratori (assunti o potenziali), oltre alla loro vita privata, in modo
da scartare, isolare e marginalizzare gli individui politicizzati e
conflittuali.
Sul
banco degli imputati finì subito Mario Cellerino, ex colonnello dei CC,
e responsabile della sicurezza aziendale insieme al colonnello Enrico
Stettermjer del Sid di Torino, che dalla FIAT percepiva 150.000 lire al
mese. Insieme a loro numerosi funzionari della questura di Torino che
ricevano puntualmente elargizioni e regali in cambio di informazioni.
Gli
imputati si difesero sostenendo che per alcuni reparti era necessario
assumere informazioni particolari perché si richiedeva il Nulla Osta di
sicurezza, un’abilitazione speciale al trattamento di informazioni e
documenti riservati. In realtà il Nos non era richiesto per molti
lavoratori, e soprattutto perché pagare per avere dati che a quel punto
sarebbero stati dovuti?
I
magistrati chiesero di esaminare i dipendenti che effettivamente
avevano bisogno del Nos, ma a quel punto il Presidente del consiglio
Andreotti oppose il segreto di stato. Nel 1978 la sentenza di primo
grado condannò 36 imputati, nessuno di loro però scontò la pena perché
prima dell’appello scattò la prescrizione.
da CONTROPIANO
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