mercoledì 26 giugno 2019

pc 26 giugno - Sea Watch - Dai portuali di Genova un appello e indicazione di lotta

Una nave con 42 esseri umani a bordo attende da due settimane al largo dell'isola di Lampedusa. Sono persone in fuga dalla guerra, dalla miseria, dalla prigionia. I responsabili di quelle guerre e di quella miseria siedono nei Parlamenti e negli uffici aziendali italiani ed europei. Gli stessi che ora si rimbalzano, da Roma a Strasburgo, la responsabilità di farli scendere a terra.
Noi non siamo degli eroi, né dei politici. Qualcuno ci ha definito “piantagrane”. Siamo semplici lavoratori del porto di Genova ma proprio perché lavoratori, non possiamo che riconoscerci nei valori fondanti del movimento operaio: la fratellanza tra esseri umani, la solidarietà internazionale. Perché
sappiamo bene, come lo sanno tutti, che quegli uomini e quelle donne in fuga e in cerca di speranza finiranno, in Italia come altrove, a fare i lavori più sfruttati e per quattro soldi, braccati, arricchendo proprio quelli che gridano ai 4 venti che non li vogliono e che “devono tornarsene al loro paese”.
Ebbene, loro vengono qui proprio perché i nostri governi hanno distrutto i loro paesi.
Crediamo che se la Sea Watch 3 forzerà il blocco che il Governo vuole mantenere, essa dovrà trovare una solidarietà concreta e attiva e tutta la forza di cui i lavoratori e gli antirazzisti saranno capaci. Per quanto ci riguarda, la Sea Watch 3 può fare rotta verso il nostro porto, per noi saranno i benvenuti. Possiamo bloccare i porti, ma anche aprirli.
Nelle ultime settimane abbiamo bloccato, non da soli certamente, per due volte il carico di una compagnia - la Bahri - specializzata in traffico d'armamenti, così come siamo stati in piazza per “spiegare” ai fascisti e a chi li proteggeva che nella nostra città non hanno alcuna speranza.
Mentre s'avvicina il 30 giugno e Salvini pensa di fare un'altra visita a Genova noi non possiamo che ricordare a tutti, e innanzi tutto a noi stessi, che un altro caposaldo della tradizione operaia è la lotta.
Sappiamo come bloccare i porti, possiamo farlo ancora.
CONTRO IL RAZZISMO DI STATO E DELLA FORTEZZA EUROPA
PORTI CHIUSI ALLE GUERRE
PORTI CHIUSI AL RAZZISMO
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A ship with 42 human beings on board waited two weeks off the coast of Lampedusa. They're people fleeing the war, from misery, from captivity. Those Responsible for those wars and the misery sit in the European parliaments and in the Italian and European management offices. The same people who are now bouncing back, from Rome to Strasbourg, the responsibility of letting them down.
We are not heroes, not politicians. Someone called us "troublemakers”. We are simple workers at the port of Genoa, but precisely because workers, we can only recognize ourselves in the founding values of the working class: The brotherhood between human beings, international solidarity. Because we know well, as everyone knows, that those men and women on the run and in search of hope will end up, in Italy as elsewhere, to do the most exploited work and for few money, hunted, enriching the same who shout loudly: “We don't want you and go back to your country.”
Well, they come here because our governments have destroyed their countries.
We believe that if the Sea Watch 3 is going to force the blockade that the government wants to maintain, it should find a real and active solidarity and all the strength that workers and anti-racists will be able to develop. As far as we are concerned, the Sea Watch 3 can set its course towards our port, they are welcome here. We can block the ports, but we can also open them.
In recent weeks, we have blocked twice, not alone, the load of a company - the Bahri - specialized in weapons traffic, as we were in the street to "explain” to the fascists and to those who protect them that in our city they have no hope.
While the 30th of June is arriving and Salvini is planning to come again to Genoa, we can only remind to everyone, and first of all to ourselves, that another strong point of the working class tradition is the struggle.
We know how to block the ports, we can do it again.

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