Una famiglia costeggia il muro di frontiera tra il porto di Beni Ensar e Melilla © Lorenzo De Blasio
Alle primissime luci dell’alba il posto di frontiera tra Beni Ensar e Melilla è gremito di lavoratori giornalieri in coda per recarsi nell’enclave spagnola e guadagnare qualche dirham in più rispetto alla paga offerta in Marocco. A loro fanno compagnia le centinaia di donne che si recano in Europa per fare il pieno di prodotti da rivendere poi nelle épiceries locali a prezzo maggiorato. Sono gli abitanti della provincia di Nador, i soli cittadini insieme a quelli di Tetouan a cui è permesso recarsi nelle limitrofe énclaves di Melilla e Ceuta senza bisogno di passaporto. Per tutti gli altri, marocchini e migranti provenienti da paesi terzi, scavalcare le quattro barriere che delimitano il confine rappresenta la sola alternativa all’attraversamento del mare di Alboran per raggiungere l’Europa.
LA MILITARIZZAZIONE della frontiera – lungo la quale ogni 50 metri si alternano tra filo spinato,
telecamere e sensori notturni gabbiotti di guardia marocchini e torrette di avvistamento spagnole – ha reso il passaggio via terra sempre più difficoltoso, vedendo crescere esponenzialmente il numero delle partenze via mare, delle morti di chi tenta di attraversarlo e dei furti e violenze ai danni dei migranti.
telecamere e sensori notturni gabbiotti di guardia marocchini e torrette di avvistamento spagnole – ha reso il passaggio via terra sempre più difficoltoso, vedendo crescere esponenzialmente il numero delle partenze via mare, delle morti di chi tenta di attraversarlo e dei furti e violenze ai danni dei migranti.
È quanto denuncia nel suo rapporto annuale l’Association Marocaine des Droits de l’Homme (Amdh) di Nador, che da anni si occupa di rilevare e combattere le violenze che avvengono nei 15 accampamenti situati nella foresta che si estende attorno alla città di confine, e in cui trovano rifugio circa 3000 persone in transito.
«DAL 2015, anno in cui lungo il versante marocchino della frontiera è stata installata la quarta barriera di filo spinato, i tentativi di passaggio via terra – che avvenivano in maniera autorganizzata e spontanea – si sono ridotti drasticamente in favore di quelli via mare, organizzati per la quasi totalità da trafficanti che chiedono ai migranti cifre che possono raggiungere i 5mila euro. Questo cambiamento ha attirato molta delinquenza nella foresta, in quanto i migranti adesso non sono più visti come dei nulla tenenti ma un facile bersaglio per commettere furti ed estorsioni» dichiara Omar Naji, affermando che nel 2018 è stato registrato un aumento vertiginoso delle aggressioni ai danni dei migranti. Dalle 40 del 2015, si è passati alle 90 del 2016, 92 del 2017 fino alle 340 nel 2018.
SECONDO AMDH, le nuove politiche «hanno favorito il passaggio a una migrazione a pagamento permettendo la crescita di una rete di trafficanti che beneficiano di questo nuovo mercato, facendo diventare il diritto alla libera circolazione un bene che può essere comprato». È per questo motivo, continua Naji, che «abbiamo denunciato più volte queste organizzazioni, fornendo alle autorità anche le foto, i nomi e i numeri di telefono dei trafficanti che agiscono nella regione, contribuendo a una serie di arresti che però non hanno intaccato minimamente le organizzazioni, che dirigono indisturbate il loro traffico da Rabat, Casablanca e Tangeri».
Come se non bastasse, i migranti sono vittime allo stesso tempo di ripetute incursioni negli accampamenti da parte delle forze ausiliarie e della gendarmerie royale, rimanendo vittime di reiterati episodi di racial profiling, arresti effettuati sulla base del colore della pelle. L’ultimo episodio in questo senso è stato denunciato dalla ong Droit et Justice il 20 giugno, quando un suo membro di origine guineana è stato arrestato nonostante fosse in possesso di regolare carta di soggiorno.
QUESTO TIPO DI ARRESTI secondo Amdh non sono il solo sopruso compiuto dalle forze dell’ordine, in quanto gli arresti effettuati non vengono mai notificati ai diretti interessati, andando contro le disposizioni previste dall’articolo 23 della legge 02/03, secondo il quale «chi è oggetto di una decisione di allontanamento alla frontiera può, nelle 48 ore successive alla notifica, domandarne l’annullamento», e impedendo quindi ai destinatari del provvedimento di presentare regolare ricorso. Situazione resa ancora più grave se i diretti interessati sono donne incinta o minori, vittime anche loro di arresti e deportazioni alle frontiere nonostante l’articolo 28 indichi esplicitamente che «nessuna donna incinta o minore può essere condotto alla frontiera per l’espulsione».
Non sono queste però le notizie che giungono in Europa, per la quale il Marocco resta un partner affidabile nella gestione del dossier migrazione.
A dimostrarlo ci sono le cifre che il Regno invia annualmente a Bruxelles per giustificare i fondi investiti nella cosiddetta prevenzione della migrazione irregolare. Poco importa che questi dati non rispecchino del tutto la realtà: degli 89 mila arresti dichiarati da Rabat nel 2018, 9mila (e 700 espulsioni) sono stati effettuati nella sola Nador, a fronte però di solo 3000 migranti presenti nella provincia.
L’ARCANO È PRESTO SVELATO: molte persone vengono arrestate e deportate anche 6 volte in un anno, ritornando poi puntualmente nel nord del paese in attesa di ritentare la traversata. «Qual è l’utilità di questi refoulements?» si domanda Omar Naji, concludendo che si tratta «di provvedimenti di facciata che servono a far numero per giustificare all’Ue l’ingente quantità di finanziamenti annualmente versati» e illustrando come questa situazione permetta al Marocco di continuare a giocare al ruolo del gendarme che vigila con successo alla sicurezza della frontiera sudoccidentale dell’Unione europea. A farne la spesa, ancora una volta, sono i migranti
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