Esclusivo: caccia ai soldi della
Lega
Il denaro investito in modo
illegale. E la onlus “Più voci” per sfuggire ai giudici. Quel che non dice
l’uomo che vuole l’incarico di governo
DI GIOVANNI TIZIAN E STEFANO VERGINE
03 aprile 2018
Un’associazione senza scopo di
lucro. Una onlus usata per ricevere finanziamenti dalle aziende e girarli
subito dopo a società controllate dalla Lega. La porta girevole è stata creata da tre commercialisti fedelissimi a
Matteo Salvini nell’ottobre del 2015, nel pieno del processo per truffa che
ha poi mandato sul lastrico il partito imponendo il sequestro dei conti
correnti. Ma questo non è l’unico segreto finanziario del nuovo leader della
destra italiana, in corsa per diventare capo del governo. Al riparo da occhi indiscreti ci sono anche milioni di euro investiti
in obbligazioni
societarie e titoli derivati. Scommesse proibite per un partito politico, stabilisce la legge. Eppure la Lega le ha fatte. I documenti ottenuti da L’Espresso permettono di andare oltre i bilanci ufficiali e ricostruire un pezzo delle trame finanziarie architettate dal Carroccio negli ultimi sei anni, quelli cioè che vanno dalla cacciata di Umberto Bossi a oggi. Il risultato è che alla narrazione legalitaria sostenuta pubblicamente da Salvini si sovrappone una gestione economica opaca, che richiama il passato bossiano, tempi che “il capitano” vuole far cadere nell’oblio al più presto.
societarie e titoli derivati. Scommesse proibite per un partito politico, stabilisce la legge. Eppure la Lega le ha fatte. I documenti ottenuti da L’Espresso permettono di andare oltre i bilanci ufficiali e ricostruire un pezzo delle trame finanziarie architettate dal Carroccio negli ultimi sei anni, quelli cioè che vanno dalla cacciata di Umberto Bossi a oggi. Il risultato è che alla narrazione legalitaria sostenuta pubblicamente da Salvini si sovrappone una gestione economica opaca, che richiama il passato bossiano, tempi che “il capitano” vuole far cadere nell’oblio al più presto.
Ripartiamo dunque dall’inizio.
Dov’è finito il tesoro della Lega? Dove
sono spariti i 48 milioni di euro messi sotto sequestro dal tribunale di Genova
dopo la condanna di Bossi per truffa ai danni dello Stato? Da mesi i
giudici di Genova sono a caccia di quei denari: soldi pubblici, perché frutto dei rimborsi elettorali. Finora sui conti
del Carroccio sono stati però rinvenuti poco più di 2 milioni. Gli altri?
Usati, spesi, spariti: questo hanno sempre sostenuti i massimi dirigenti del
Carroccio. «Oggi sul conto corrente della Lega nazionale abbiamo 15 mila euro»,
ha detto lo scorso 3 gennaio Salvini, che non perde occasione per ricordare
come il suo partito sia senza un quattrino. La stessa cosa si legge sui bilanci
ufficiali.
Alcuni documenti bancari aiutano
però a comprendere meglio che fine ha fatto la ricchezza leghista. Facendo
emergere un fatto inedito: sia sotto la gestione di Roberto Maroni, sia in
seguito sotto quella di Salvini, parecchi milioni sono stati investiti
illegalmente. Una legge del 2012 vieta infatti ai partiti politici di
scommettere i propri denari su strumenti finanziari diversi dai titoli di Stato
dei Paesi dell’Unione europea. Il partito che si batte contro «l’Europa serva
di banche e multinazionali» (copyright di Salvini) ha cercato di guadagnare
soldi comprando le obbligazioni di alcune delle più famose banche e
multinazionali. Colossi come l’americana General Electric, la spagnola Gas
Natural, le italiane Mediobanca, Enel, Telecom e Intesa Sanpaolo. Una fiche da
300mila euro è stata messa anche sul corporate bond di Arcelor Mittal, il
gruppo siderurgico indiano che ha acquistato l’Ilva promettendo di lasciare a
casa circa 4mila lavoratori.
Ma lasciamo stare per un attimo
gli investimenti e torniamo al momento in cui tutto è cambiato. Il 16 maggio
del 2012, poco dopo che la notizia dell’inchiesta per truffa ha costretto Bossi
a dimettersi da segretario federale, la Lega apre un conto corrente presso la
filiale Unicredit di Vicenza. Nel giro di sei mesi vi trasferisce buona parte
della liquidità parcheggiata in altre banche: 24,4 milioni di euro in totale. È
l’inizio di una frenetica girandola di bonifici e giroconti che porteranno, nel
giro di quattro anni, al prosciugamento delle risorse finanziarie padane. O
almeno di quelle registrate sul conto della Lega nazionale.
Degli oltre 24 milioni arrivati
in Unicredit, una decina sparisce quasi subito: prelievi in contanti, pagamenti
non meglio specificati, investimenti finanziari, trasferimenti sui conti delle
sezioni locali del partito, bonifici a favore di società di capitali
controllate dalla stessa Lega come Pontida Fin, Media Padania ed Editoriale
Nord. A gennaio del 2013 un altro colpo di scena. Il partito, allora guidato da
Maroni, apre un nuovo conto corrente. Dove sposta una buona fetta del tesoretto
custodito in Unicredit. Questa volta la scelta ricade sulla Sparkasse, la cassa
di risparmio di Bolzano. Non un istituto a caso.
L’attuale leader della Lega e
Bobo Maroni hanno utilizzato una parte dei 48 milioni di euro frutto della
truffa orchestrata dal Senatur e dall’ex tesoriere. Lo dimostrano le carte del
partito tra la fine del 2011 e il 2014 che abbiamo consultato
Il presidente della banca
altoatesina è infatti Gerhard Brandstätter, già socio d’affari dell’avvocato
della Lega di quel momento, il calabrese Domenico Aiello. Sul conto della
Sparkasse arrivano, oltre a 4 milioni di titoli finanziari, 6 milioni di
liquidità. Bastano solo sei mesi, però, e i soldi spariscono. La maggior parte
del denaro viene usata per finanziare la campagna elettorale di Maroni alla
presidenza della regione Lombardia: decine di bonifici a società di
comunicazione e organizzazione eventi, tra cui spiccano i quasi 400 mila euro
diretti alla sede irlandese di Google, punto di passaggio obbligato per
chiunque voglia farsi pubblicità sul motore di ricerca più usato al mondo.
Anche in questo caso non mancano
i trasferimenti alle sedi locali del partito, ma la parte del leone - come
avvenuto pochi mesi prima con il conto Unicredit - la fanno le società di
capitali della Lega. Radio Padania: 250 mila. Editoriale Nord: 600 mila.
Pontida Fin: 206 mila. Fin Group: 360 mila. Una volta prosciugato il conto
Sparkasse, si torna a puntare tutto su Unicredit. Ed è qui che vengono a galla
i dettagli sugli investimenti finanziari. Nel dicembre del 2013, quando Maroni
è ancora il segretario federale, il Carroccio ha in pancia titoli per 11,2
milioni di euro. Due terzi della somma equivalgono a buoni del tesoro italiani,
mentre il resto sono obbligazioni societarie. Ci sono anche 380 mila euro
investiti in un derivato, un titolo basato sull’andamento del Ftse Mib, il principale
indice azionario della Borsa di Milano. Insomma una Lega che, a dispetto della
legge e delle dichiarazioni ufficiali contro la finanza speculativa, ha scelto
di rischiare parecchio con i soldi dei rimborsi elettorali.
Strategia che non è cambiata quando
a Maroni è succeduto Salvini. Alcuni documenti bancari riassumono il saldo del
conto corrente del Carroccio presso Unicredit il 19 maggio del 2014, quando
Matteo è ormai da qualche mese in plancia di comando. Le carte raccontano due
fatti. Il primo è che anche Salvini ha investito i denari del partito in
obbligazioni societarie. Nello specifico, Matteo ha puntato 1,2 milioni su
Mediobanca, Arcelor Mittal e Gas Natural. Il secondo fatto salta all’occhio
confrontando i saldi del conto corrente leghista a distanza di soli cinque
mesi. Da dicembre del 2013 al maggio del 2014 il patrimonio è crollato,
passando da 14,2 milioni a 6,6 milioni. Non è dato sapere in che modo siano
stati spesi così rapidamente tutti quei soldi. Di certo Salvini fino a qualche
tempo fa poteva disporre di parecchie risorse, mentre oggi i conti della Lega
sono ufficialmente a secco. Tant’è che lo Stato italiano, attraverso i giudici
di Genova, si è dovuto accontentare di sequestrare solo 2 milioni sui 48
teorici.
Perché la Lega ha investito soldi
violando una legge dello Stato? E come mai i finanziamenti delle imprese sono
arrivati sui conti di una sconosciuta associazione no profit invece che su
quelli ufficiali? Alle domande de L’Espresso, il partito guidato da Salvini ha
preferito non rispondere. Scelta che alimenta un dubbio: la onlus è stata
creata per evitare il sequestro dei soldi da parte dei magistrati? In mancanza
di risposte da parte dei diretti interessati, non resta che attenersi ai fatti
documentabili.
L’associazione si chiama Più
Voci, esiste dall’autunno del 2015. All’apparenza sembra una rivisitazione in
salsa padana della fondazione renziana Big Bang. Con la differenza che la onlus
sovranista non ha nemmeno un sito internet, figuriamoci una lista pubblica dei
finanziatori. A tenerne le redini sono tre commercialisti lombardi che Salvini
ha voluto al suo fianco nel nuovo partito: Giulio Centemero, tesoriere,
assistito dai colleghi Alberto Di Rubba e Andrea Manzoni. Se è vero che la
onlus Più Voci finora non ha pubblicizzato alcuna attività politica o sociale,
il conto corrente di riferimento mostra una certa vitalità. Soldi - 313 mila
euro in pochi mesi - che entrano, fanno una sosta e poi ripartono per altri
lidi. O meglio, verso altri conti intestati a società della galassia leghista:
aziende in cui i commercialisti preferiti da Salvini hanno incarichi di
rilievo.
Per chiarire meglio il ruolo
dell’associazione Più Voci è necessario tornare tra la metà del dicembre 2015 e
i primi mesi del 2016, quando sul conto della onlus piovono due bonifici per un
totale di 250 mila euro. La causale è la classica usata per i contributi ai
partiti: “erogazione liberale”. I versamenti sono stati disposti dalla
Immobiliare Pentapigna srl. Un nome che ai più non rivela molto. Scavando sulla
proprietà si arriva a uno dei più noti costruttori della Capitale: Luca
Parnasi, titolare del 100 per cento delle azioni dell’immobiliare. Già, proprio
l’uomo che dovrebbe costruire il nuovo stadio della Roma, erede di una dinastia
di palazzinari (lui preferisce il termine “sviluppatore di progetti”) che con
il potere ha sempre flirtato. Il padre Sandro, era un comunista convinto, ha
gettato le basi dell’impero, oggi con le finanze scricchiolanti e con i debiti
in mano a Unicredit. Il figlio Luca preferisce il basso profilo, anche se
qualche anno fa ha tentato di far rivivere lo storico quotidiano di sinistra
Paese Sera, ma si è dovuto arrendere poco dopo. Nella sua carriera non ha
disdegnato affari con personaggi equivoci. Come quello proposto dal capo della
famigerata “Cricca”, Diego Anemone, di recente condannato in primo grado a 6
anni per associazione a delinquere. Una decina di anni fa, Parnasi acquistò da
Anemone per 12 milioni un complesso residenziale di pregio dietro il Pantheon,
un tempo nella disponibilità del Vaticano.
Perché Parnasi ha versato almeno
250 mila euro all’associazione leghista? L’immobiliarista romano non ha
risposto alle domande de L’Espresso. Di certo il primo contributo versato
all’associazione Più Voci si concretizza il 12 dicembre di tre anni fa. Nel
pieno dunque della retorica sovranista di Salvini, che già in quel momento può
contare sul movimento Noi con Salvini per fare proselitismo sotto il Po. E
sempre a cavallo tra il primo e il secondo bonifico il leader leghista annunciava
la presenza della Lega-Noi con Salvini alle Comunali poi vinte dai Cinque
Stelle e Virginia Raggi. Insomma, il sostegno “liberale” offerto dal re del
mattone Parnasi potrebbe essere letto in questa ottica locale-Capitale. Un
luogo dove il costruttore ha bisogno di mantenere buoni rapporti con tutti, se
vuole davvero sperare di costruire lo stadio della Roma.
Ma, forse, non si tratta solo di
questioni romane. Perché i Parnasi si stanno giocando partite decisive per il
futuro del loro gruppo anche oltre il Tevere e il raccordo. C’è per esempio il
caso Ferrara. Qui la famiglia di costruttori è proprietaria del Palaspecchi, un
grande complesso immobiliare che versa da anni in stato di abbandono. La
politica locale, con in testa la Lega, per diversi anni ha sostenuto l’idea di
demolire tutto. Un’ipotesi rischiosa per Parnasi. Per sua fortuna, però, le
cose sono cambiate. Dopo anni di tira e molla, all’inizio dell’anno scorso la
situazione sembra essere stata risolta con un intervento finanziato
principalmente da Cassa depositi e prestiti. L’ente che gestisce i risparmi
postali degli italiani dovrebbe permettere di riqualificare l’intera area e
realizzare duecentosessanta alloggi sociali, affiancati da attività
commerciali, servizi e spazi verdi. Un bel sospiro di sollievo per il gruppo
Parnasi, che intanto sta facendo parlare di sé anche nell’altra capitale
d’Italia, quella economica, Milano. Un mese e mezzo fa, infatti, il Milan ha
affidato al quarantenne Luca Parnasi il compito di individuare un’area adatta a
realizzare il futuro campo di proprietà rossonera.
L’immobiliarista ha dunque
contribuito in maniera massiccia alla causa di questa sconosciuta associazione
leghista. Non è il solo, però. Con 40 mila euro si piazza Esselunga, la catena
di ipermercati della famiglia Caprotti. Del resto Salvini stesso non ha mai
nascosto l’ammirazione per il gruppo concorrente per eccellenza delle Coop.
«Grande uomo, mai servo di nessuno», scriveva nel suo addio su Facebook il
giorno della scomparsa di Umberto Caprotti. La causale del bonifico di 40 mila
euro versato a giugno 2016 recita “contributo volontario 2016”. Quasi a voler
sottolineare che anche per quell’anno sono in regola con l’attestazione di
fiducia verso la Lega sovranista. Esselunga è stata l’unica a rispondere alle
nostre domande. La catena di supermercati non ha spiegato perché abbia scelto
di versare almeno 40 mila euro all’associazione leghista invece che donarli
direttamente al partito. Si è limitata a farci sapere che quella cifra «è stata
destinata a Radio Padania nell’ambito della pianificazione legata agli
investimenti pubblicitari su oltre 70 radio». Ma allora perché le aziende non
versano il loro contributo direttamente alla Lega o a Radio Padania? È un modo
per confondere le acque ed evitare il sequestro dei soldi? E per quale motivo
scrivere nella causale “Contributo volontario” se di pubblicità si trattava?
Domande a cui non è possibile dare risposta. Il loquace Salvini, questa volta,
ha preferito il no comment.
C’è da dire, però, che in
effetti, poco dopo essere arrivati sul conto della onlus i soldi, non solo
quelli di Esselunga, vengono girati a società di capitali del gruppo leghista.
In quattro mesi 265 mila finiscono proprio alla cooperativa Radio Padania,
quella della storica emittente del Carroccio, mentre altri 30 mila euro vengono
versati sul conto della Mc srl, società leghista che controlla il giornale
online Il Populista, diventato lo strumento principe della propaganda
salviniana in rete. Insomma, l’operazione ha tutta l’aria di essere una partita
di giro. Anche perché l’amministratore unico sia della Mc che di Radio Padania
è lo stesso Giulio Centemero, tesoriere del partito, che siede nella onlus da
cui partono i denari.
Le azioni della Mc sono
saldamente in mano alla Pontida Fin, altra cassaforte storica del Carroccio
ormai caduta in disgrazia, il cui 1 per cento continua a essere in mano al
Senatur Umberto Bossi. Frammenti di un passato che Salvini vorrebbe rottamare,
ma che non riesce a tenere fuori dalla porta. Anche se una cosa Matteo Salvini
l’ha cambiata davvero. Roma per i sovranisti cresciuti tra le valli di Pontida
non è più ladrona. Ai tempi di Umberto Bossi era proibito frequentare i
salotti. Il Senatur aveva avvertito i parlamentari padani, guai a mischiarsi
con il potere romano, tra manager, stelle dello spettacolo e palazzinari. Con
la Lega modello Front National, certe rigidità appartengono al passato
secessionista.
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