mercoledì 4 aprile 2018

pc 4 aprile - Piacenza - operai in lotta e azione del sindacalismo di base e di classe

Crediamo sia importante provare a sviluppare qualche ragionamento in merito a quello che sta succedendo a Piacenza  in particolar modo nel magazzino GLS , su  quello che è successo nel magazzino Leroy Merlin e gli strascichi riprodottisi anche in altri contesti.  
Crediamo sia necessario provare a riflettere in profondità  sulla gravissima situazione  venutasi a creare  a Piacenza e che vede una contrapposizione molto pesante tra  gruppi di lavoratori  e funzionari sindacali aderenti ad una organizzazione sindacale che sta cercando di insediarsi nel territorio piacentino ed una realtà di migliaia di lavoratori, da anni radicata a Piacenza che ha cambiato con le lotte in quel territorio,  così come da altre parti, il mondo della logistica. 

Un primo dato che va rilevato è  che, a memoria, non ci risulta che in passato si sia mai verificata una situazione del genere tra sigle sindacali che dovrebbero ispirarsi a principi di eticità e di senso del
rispetto comuni.
Contrasti così pesanti  sfociati in aggressioni  e scontri fisici,  con conseguenze anche  dal punto di vista sanitario, ci fanno venire in mente altri momenti storici nei quali lo scontro politico, davanti alle fabbriche e nelle piazze con il PCI e con la CGIL in particolare si trasformava spesso in scontro fisico.


Ma i contrasti all’interno della galassia del cosiddetto “sindacalismo di base” non  avevano mai avuto risvolti di questo tipo.
E allora, prima di inoltrarci nei fatti che hanno prodotto questa situazione, forse è bene fare alcune premesse e  chiarire, non solo alla luce di quello che è successo e sta succedendo a Piacenza,  ma anche in virtù delle profonde diversità che caratterizzano le varie sigle sindacali dell’arcipelago sindacale esterno alla triplice, che non ha più senso oggi parlare di “sindacalismo di base”.

Oggi, semplicemente esistono molteplici sigle sindacali, ognuna delle quali si muove secondo un proprio impianto di natura  politica, teorica e ideologica  e, al di là delle petizioni di principio circa il fatto di essere contro il governo ed i padroni e di riferirsi genericamente al postulato teorico dell’esistenza  della lotta di classe, non sono più nemmeno accomunate  da valori di natura etica sul come rapportarsi  nei posti di lavoro, contro quello che dovrebbe essere un comune nemico.

Certo nessuno, noi compresi, è immune da  errori e sbavature che possono portare a far prevalere il senso di appartenenza ad una determinata sigla sindacale, ma pensiamo che nel caso di Piacenza e di USB si siano superati tutti i limiti della decenza nel tentativo di irrompere, da parte di USB, con estremo ritardo e con grande spregiudicatezza nel mondo della logistica, nella supponente convinzione e nella  spropositata  presunzione  di essere l’unico sindacato in grado di impostare una vera lotta di classe contro i padroni, a differenza  del le altre realtà sindacali preesistenti in quel determinato territorio o magazzino che avrebbero sbagliato tutto nella migliore delle ipotesi, o sarebbero addirittura colluse con il padrone nella peggiore.

Se così non fosse, sicuramente l’approccio con chi era ed è presente in questi territori e in questi impianti sarebbe stato completamente diverso.
Un’altra importante premessa va fatta nella ricostruzione di quello che è successo in questi ultimi 10 anni in Italia in un comparto del lavoro che ha assunto  sempre di più un ruolo centrale dal punto di vista capitalistico: la logistica.

Se da un lato, sul piano della produzione abbiamo assistito a enormi  processi di ristrutturazione tradottisi anche in inarrestabili piani  di delocalizzazione che hanno notevolmente indebolito la classe operaia tradizionale, via via, la logistica, in tutti i suoi aspetti, è andata ad assumere un ruolo centrale dal punto di vista capitalistico.

L’assurgere a ruolo centrale della logistica  nell’economia globalizzata, ha coinciso con il fenomeno migratorio che  è diventato fondamentale per alimentare le necessità del mercato del lavoro in questo settore strategico.

Dal punto di vista capitalistico l’avere inserito nel comparto della logistica una forza lavoro di origine straniera intrecciando la tipologia contrattuale con la forma societaria della cooperativa,  ha avuto lo stesso significato, per i padroni, di vedere cadere la manna dal cielo. Quando abbiamo definito  la condizione del socio lavoratore come condizione di tipo schiavistico, sicuramente non stavamo esagerando.

La condizione del socio lavoratore consentiva  all’intero mondo della logistica di avere a disposizione una forza lavoro alla quale non venivano applicate nemmeno le norme più elementari delle normative in materia di lavoro in vigore, attuando costantemente una azione di rapina nei confronti  dei lavoratori  oltre che dello Stato, con evasioni contributive e fiscali impressionanti.

Salari da fame, orari di lavoro senza limiti, nessun riconoscimento della malattia e dell’infortunio, istituti contrattuali inesistenti, truffe legalizzate nei confronti dei lavoratori, dell’Inps e dell’Agenzia delle entrate, grazie alla programmazione scientifica del cambio di appalto.
A partire dal 2006/7 in Lombardia ed Emilia Romagna come Sicobas e come Adl Cobas nel Veneto e in Friuli, abbiamo dato vita ad un ciclo formidabile di lotte (che sta durando ancora oggi)  che ha  spazzato via specialmente all’interno dei principali corrieri  a livello nazionale (BRT, TNT, GLS, SDA, DHL e in moltissimi altri magazzini di logistica anche del settore alimentare e non solo) le forme odiose dello sfruttamento di tipo schiavistico.  A partire dall’interno dei magazzini sono partite le prime iniziative di lotta che, attraverso lo sciopero e il blocco dei camion, sono riuscite ad imporre i primi accordi che mettevano in discussione  quel mondo.

Giorni, a volte settimane di presidi davanti ai cancelli per rivendicare diritti e dignità contro un apparato di potere che andava dal padrone, per lo più multinazionali che non volevano assolutamente trattare con i “Cobas”, alla polizia, alla Prefettura, ai sindacati collusi che avevano promosso loro stessi le cooperative fornendone in molti casi anche il personale di direzione.

Blocchi dei cancelli con i facchini seduti per terra a resistere agli attacchi della polizia, scontri con la sicurezza privata, picchetti e barricate  sono state le forme di lotta che hanno caratterizzato questo formidabile movimento di lotta.
Le lotte si sono allargate a macchia d’olio coinvolgendo tutti i principali poli della logistica, da Milano a Torino, a Verona, Padova, Treviso, Udine, Piacenza, Bologna, Modena, Brescia, Parma, arrivando sempre più giù, toccando Firenze, Roma e Napoli.

Decine di migliaia di facchini, di drivers e autisti hanno capito che esisteva una unica via per disarticolare questo sistema di sfruttamento ed era quella di lottare insieme, di costruire  coordinamenti di lotta a livello di territori e di filiere.

In una prima fase il movimento si è dato obiettivi di magazzino, imponendo il rispetto minimo del CCNL, contrastando la pratica diffusa del caporalato e dei cambi di appalto. In tutta questa prima fase di crescita del movimento di lotta non vi era mai stato alcun contatto tra le nostre due organizzazioni sindacali, in quanto si sono sviluppate in modo simmetrico in regioni contigue.

Nel momento in cui si è evidenziata la necessità di verificare  se esistevano terreni comuni da percorrere, si sono avviati i primi approcci e si è iniziato ad individuare una comune strategia volta ad impostare battaglie su un piano nazionale e non più solo di magazzino.

Nel 2014 ha inizio il percorso di lotta che ha portato alla firma di accordi di filiera (BRT, TNT, GLS, SDA) che impongono alle aziende fornitrici di applicare tutta una serie di aspetti migliorativi del CCNL che segnano una svolta netta  nello scontro tra  grandi aziende del trasporto merci e lavoratori.

Tutto quello che stava alla base del sistema di sfruttamento basato sulla forma del socio lavoratore viene praticamente smantellato, a partire dalla fondamentale conquista della clausola sociale (in caso di cambio di appalto, tutti i lavoratori hanno diritto al passaggio alla nuova azienda, mantenendo invariata la busta paga e  l’anzianità maturata), degli istituti contrattuali al 100 %, di un orario di lavoro corrispondente al contratto di lavoro, un ticket restaurant da 5,29 €, il pagamento dell’integrazione per malattia ed infortunio, il prolungamento di due giorni di permessi retribuiti, i passaggi automatici di livello, dal 6° J  fino al 4° J, la conquista di pieni diritti sindacali.

Insomma si è trattato di una vera piccola rivoluzione per l’intero mondo della logistica che ha cambiato la vita di decine di migliaia di lavoratori. Nel rapporto che abbiamo costruito tra Si Cobas  e  Adl Cobas non vi sono mai stati problemi di contrasti o di concorrenza di sigle, proprio perché l’obiettivo comune è sempre stato quello di  combattere contro i padroni e non quello di ingrandire la propria “bottega”.

Anche perché il settore è talmente esteso che risulta anche molto difficile pestarsi i piedi, a meno che non vi sia un preciso intento nel  farlo.

Siamo riusciti, nonostante anche diversità di impostazione politica  e di riferimenti  teorici, a costruire un percorso comune che si è basato su una visione condivisa  in merito al fatto che non è l’ideologia che fa cambiare il mondo, ma è quel  “movimento reale che abolisce lo stato di cose presente”.

Parliamo di un movimento che ha effettivamente cambiato sotto mille profili lo stato di cose presente, dal salario, alla salute, al rapporto con la gerarchia del comando, al tempo di vita rapportato a quello del lavoro.

Certo abbiamo sempre saputo che non esistono punti di arrivo nel percorso di liberazione dallo sfruttamento, ma sappiamo distinguere in modo molto chiaro e netto quando una lotta produce importanti conquiste e quando invece non produce nulla o, peggio, fa tornare indietro ciò che si è conquistato.

È quindi evidente che abbiamo ottenuto questi risultati proprio perché siamo riusciti a cogliere nel momento opportuno la contraddizione esplosiva che un determinato processo di riorganizzazione capitalistica aveva prodotto, trasformando quella contraddizione in un grande movimento di lotta.  

È in un contesto di questo tipo che si inserisce l’intervento di USB nel mondo della logistica ed in particolare a Piacenza alla GLS, dove da tempo si erano conquistate condizioni  migliorative sia rispetto al CCNL, sia addirittura rispetto allo stesso accordo di filiera che abbiamo sottoscritto con GLS.

Altro che schiavitù vi era all’interno del magazzino GLS di Piacenza quando USB  ha cominciato ad intervenire in questo magazzino.

Un primo commento sorge spontaneo: al di là delle presunte o vere motivazioni che hanno portato USB ad andare a bloccare dall’esterno il magazzino GLS di Piacenza, il risultato ottenuto non è stato quello di conquistare nuovi importanti obiettivi, ma ha portato ad una divisione pesantissima tra lavoratori che si è tradotta nella costruzione di un muro all’interno dello stesso magazzino che separa gli iscritti ad USB (una trentina circa) dagli iscritti al Si Cobas (una settantina).

Non abbiamo memoria che in Italia, ma forse anche in Europa, esista una situazione del genere.

Ma questa è la realtà.

GLS ha dovuto costruire un muro che separa i lavoratori per evitare il rischio di uno scontro fisico permanente.
E’ allora importante interrogarsi su come sia stato possibile che si arrivasse ad una situazione così grave e quasi surreale che ha prodotto una separazione fisica, non rispetto ad iscritti alla triplice, ma tra lavoratori che fanno riferimento appunto a quel mondo sindacale  cosiddetto “di base”, i cui presupposti sono evidentemente negati dalla situazione creatasi a Piacenza.

Ma è anche importante ricostruire quello che ha consentito a USB di intervenire a Piacenza all’interno di GLS.

A volte succede che le vere  cause di  eventi gravi  si perdano per la strada e che, a posteriori, non si capisca più niente del perché si sia arrivati ad un certo punto.

La storia è piena di fatti, le cui motivazioni vengono annacquate, modificate o stravolte.

Pensiamo che sulla questione GLS Piacenza sia importante invece ribadire con estrema chiarezza quello che è successo e far capire a tutti dove vanno ricercate le responsabilità della attuale situazione.
Prima di ripercorrere i fatti che hanno dato origine allo scontro tuttora in atto, è bene chiarire un altro importante aspetto.

Nel corso di questi  ultimi anni di grandi lotte abbiamo anche assistito al tentativo da parte di singoli lavoratori, o anche di gruppi di lavoratori, di usare il sindacato a scopi personalistici o  nepotistici nel tentativo di piegare il sindacato in termini strumentali ai propri  biechi interessi personali, familiari o di appartenenza  nazionale.

In certe circostanze abbiamo dovuto intervenire energicamente per impedire che si potesse usare il sindacato in questo modo.

E, si badi bene, non stiamo parlando di un sacrosanto uso operaio del sindacato, così come è avvenuto anche in tempi passati,  stiamo parlando di un uso esclusivamente di  tipo strumentale.

A volte è anche successo che certe forzature in termini di lotta si rivelavano essere forme di pressione per raggiungere obiettivi che nulla avevano a che vedere con l’interesse di tutti i lavoratori.

Ebbene, in tutto questo, ci siamo visti costretti, sia come Si Cobas che come Adl Cobas, ad intervenire pesantemente, a volte anche perdendo quote di iscritti,  per ripristinare i principi fondanti delle nostre organizzazioni sindacali, cacciando figure che tramite ricatti tentavano di far pesare la loro influenza su altri lavoratori per far passare i propri tornaconti.
È quindi bene ribadire che la vicenda GLS di Piacenza si inserisce in questo contesto.

Succede infatti che un gruppo di lavoratori, capeggiato da un delegato, stava cercando di costruirsi un proprio centro di potere all’interno del magazzino con finalità che nulla avevano a che vedere con quelle del sindacato.

Ad un certo punto, dopo vari tentativi di far rientrare nell’alveo delle idealità del sindacato il suddetto gruppo, ma non trovando disponibilità ad accettarne i principi,  veniva deciso di espellere dal sindacato questo gruppo in quanto non più degno di far parte del Si Cobas.

Su precisa indicazione di GLS e del fornitore tre delegati su quattro passano con armi e bagagli alla CGIL e aprono  immediatamente una campagna per la fuoriuscita della maggioranza dei lavoratori dal Si Cobas, con relativa iscrizione alla CGIL. 

L’operazione viene concepita per far fuori il Si Cobas e inizialmente funziona portando un certo numero di lavoratori, ingannati dagli espulsi,  a  iscriversi  alla CGIL.

Nel giro di poco tempo  gli stessi che avevano creduto al gruppetto degli espulsi capiva la gravità di quello che stava succedendo e rientrava tra le file del Si Cobas, lasciando da solo il gruppo.

È in quel contesto che questi signori, ispirati da nobili e  sicuramente rivoluzionari principi, cercavano attivamente di far fallire lo sciopero generale della logistica che avevamo proclamato, telefonando in altri magazzini per convincere altri delegati e lavoratori a non scioperare.  

Quella azione non produceva alcun effetto in quanto negli altri magazzini GLS, in particolare Bologna, Roma, Padova e Verona, respingevano al mittente la provocazione.

Vista la mala parata, e in preda ad una rabbiosa disperazione, quello stesso gruppetto, capeggiato sempre dal delegato, metteva in atto una gravissima provocazione all’interno del magazzino organizzando un agguato in pieno stile mafioso contro altri lavoratori, “colpevoli” secondo costoro di non averli seguiti nella scelta  di iscriversi alla CGIL per luridi calcoli di tornaconto personale,  facendo finire in coma uno dei lavoratori del Si Cobas tra quelli aggrediti a sprangate.

A seguito di questo episodio il gruppo veniva licenziato, veniva scaricato anche dalla CGIL e dove andava a chiedere aiuto?

A USB!!

La quale USB non si preoccupava minimamente di contattare il Si Cobas per capire quello che era successo e se queste degne persone dovevano essere tutelate o se, al contrario, in nome della condivisione di valori e principi comuni, sarebbe stato molto più opportuno mandarle affanculo.
Da  questa ignobile vicenda nasce l’intervento sindacale di USB a Piacenza e all’interno di GLS.

USB inizia a mettere in campo una serie di blocchi con il pretesto di voler stabilizzare un gruppo di lavoratori assunti con contratti a tempo determinato, senza minimamente porsi il problema di confrontarsi con chi lavorava all’interno del magazzino e da anni portava avanti le battaglie per migliorare le condizioni di tutti e anche per  fare tutto il possibile per stabilizzare i lavoratori a tempo determinato.

È in quello sciagurato contesto che avviene la tragedia della morte di Abd Elsalam che, ovviamente complica ulteriormente la situazione, acuendo lo scontro in atto, cambiandone  il segno e facendo diventare quel gruppo di opportunisti disposti a qualsiasi nefandezza pur di imporre il proprio tornaconto, grazie al risalto mediatico che ha avuto la vicenda, l’unica realtà sindacale che lottava contro la schiavitù.

È  bene dire, a distanza di tempo dalla morte di questo nostro fratello, che le cose non stavano affatto così, che all’interno di GLS sicuramente la schiavitù era stata da tempo sconfitta e che il terreno sul quale si stavano impostando le vertenze era di tutt’altra natura e comprendeva, ovviamente, nei tempi e con le modalità che venivano decise dalle assemblee dei lavoratori, anche la questione della precarietà. 

Così come stiamo facendo in centinaia di altri magazzini, all’interno dei quali  il percorso per la stabilizzazione dei precari va vagliato attentamente e va inserito all’interno delle battaglie più generali che si conducono.

Non esiste che in magazzini dove vi sono  forti  realtà sindacali conflittuali, qualcuno dall’esterno si ritenga legittimato ad imporre tramite blocchi il proprio punto di vista.

È un’ottica che non ci appartiene e che, laddove venga messa in atto, rischia di creare contrapposizioni pesanti tra gli stessi lavoratori.

Questo è quello che è successo a Piacenza a partire dalla vertenza GLS a seguito dell’intervento esterno di USB, la quale sta cercando ora di riproporre lo stesso schema anche in altri magazzini, così come è successo alla Leroy Merlin, dove 300 lavoratori sono usciti dal magazzino per andare a contrastare un picchetto organizzato da USB con motivazioni pretestuose senza tenere in minima considerazione il fatto che all’interno di questo magazzino c’era stata una grande lotta che aveva migliorato enormemente le condizioni di questi lavoratori.
Qual è allora lo scopo di USB, qual è la sua strategia?

È quella di andare ad intervenire dall’esterno proprio là dove si sono già conquistate con la lotta condizioni dignitose di lavoro, creando contrapposizione tra lavoratori e puntando a far costruire tanti muri divisori tra lavoratori appartenenti a sigle sindacali  diverse?

È questa la loro strategia?  

Certo ci risponderanno che loro sono quelli che lottano contro la precarietà e per i diritti, che sono l’unico sindacato che sa cosa vuol dire lotta di classe e via discorrendo.

Ma la realtà è un’altra: la realtà è che in GLS a Piacenza, a seguito del loro intervento con i "personaggi" squalificati di cui abbiamo detto prima, è stato costruito un muro divisorio, che lo scontro tra lavoratori iscritti a due sigle sindacali continua ad essere sempre all’ordine del giorno, che non si intravvedono soluzioni a medio termine e che in quel magazzino il vero rischio è che la palese ingovernabilità  venga usata strumentalmente  per prendere decisioni drastiche che colpirebbero tutti i lavoratori.
Dove sta la soluzione, se mai ce n’è una?

A nostro avviso USB dovrebbe proprio fare un cambio di paradigma.

Deve cominciare a pensare che il nemico sta da un’altra parte;  deve  cercare di capire che quando si assecondano comportamenti strumentali e opportunistici di gruppi  di lavoratori, ci si avventura in un terreno estremamente scivoloso e non si sa dove si va a parare.

Siamo consapevoli che quando si decide di percorrere una certa strada è difficile tornare indietro, specialmente se  si ha la presunzione di non avere sbagliato nulla.

Noi, dal canto nostro, consapevoli certo che si possono fare molti errori e sicuramente ne abbiamo fatti nel corso della nostra vita, di una cosa siamo certi: abbiamo fatto bene ad allontanare dal sindacato chi pensava di poterlo usare per fini privati.

Se USB pensa che sia legittimo mettere la propria organizzazione a disposizione anche di chi intende piegarla ai propri interessi privatistici, perché in qualche modo crescono i clienti della bottega, beh? Lo faccia pure, ma troverà in noi sempre degli strenui oppositori a queste logiche.

S.I. COBAS   -   ADL COBAS

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