Ho
conosciuto il volto peggiore della Cgil, da militante di questa organizzazione e
da compagna che ha animato tante lotte sociali e per il lavoro. Eppure, insieme
a tanti compagni ho provato a resistere ad un potente apparato politico e
burocratico che, nel tempo, ne ha snaturato i valori fondativi, fino a
consegnarci una Cgil interdittiva del conflitto di classe e che, davanti
all’acutizzarsi dello scontro tra capitale e lavoro e dentro uno scenario
internazionale di ridefinizione degli assetti politici, sostanzialmente arretra
e ne dichiara la resa. Con molti di questi compagni ho condiviso il progetto
che, più strutturalmente di quanto non avesse rappresentato l’esperienza
sindacale della rete 28 aprile, ha posto e rappresentato all’ultimo congresso la
necessità di mantenere aperto uno spazio politico di pratica del conflitto, di
ricomposizione delle lotte e di opposizione contro la deriva autoritaria e
compatibilista della Cgil. Del resto questa stessa necessità mi aveva portato in
Cgil anni prima, quando a rappresentarla era proprio la rete 28
aprile.
Da
allora, e negli anni a seguire, i segni di un disfacimento identitario nella
linea e nella pratica della
Cgil sono diventati sempre più evidenti.
Cgil sono diventati sempre più evidenti.
Modello di rappresentanza, jobs act e modello
contrattuale sanciscono di fatto il regime, l’ordine di Marchionne: una
condizione di lavoro permanentemente precaria, senza diritti e senza dignità, o
si è schiavi o si è fuori. Il ricatto permanente sulle nostre vite, il nostro
tempo, sulla salute, sul futuro che non ci appartiene più. Chi non ci sta è
sanzionato, colpito, cacciato.
I dispositivi di repressione del dissenso ed il restringimento degli spazi di democrazia sono ormai entrati in ogni luogo di lavoro, privato e pubblico, ma hanno pervaso anche luoghi che tradizionalmente e per natura erano vocati all’esercizio della democrazia, della partecipazione alla costruzione di processi decisionali collettivi.
Persino la scuola, attraversata da un brutale processo di aziendalizzazione introdotto dalla controriforma cosiddetta “La buona scuola”, ne è colpita.
Un attacco senza precedenti di governo e padroni al quale la Cgil non ha dato nessuna vera risposta di mobilitazione generale, preoccupata più alla conservazione di uno spazio residuale di sopravvivenza che a promuovere e coordinare le lotte.
Anche la Fiom che pure aveva intercettato i bisogni e le speranze nei tanti luoghi di lavoro e nella società, chiudeva lo spazio di praticabilità del conflitto ed avviava un processo di normalizzazione al suo interno.
Il “nuovo” corso della Cgil e la ritrovata unità con Cisl e Uil non consentono alcun dissenso reale dentro e fuori dall’organizzazione. La nostra esperienza di opposizione ha invece praticato realmente quel dissenso.
Per la prima volta un’area interna all’organizzazione, costituita e diretta dal basso, ha osato sfidare l’organizzazione, la sua linea, le sue regole.
I dispositivi di repressione del dissenso ed il restringimento degli spazi di democrazia sono ormai entrati in ogni luogo di lavoro, privato e pubblico, ma hanno pervaso anche luoghi che tradizionalmente e per natura erano vocati all’esercizio della democrazia, della partecipazione alla costruzione di processi decisionali collettivi.
Persino la scuola, attraversata da un brutale processo di aziendalizzazione introdotto dalla controriforma cosiddetta “La buona scuola”, ne è colpita.
Un attacco senza precedenti di governo e padroni al quale la Cgil non ha dato nessuna vera risposta di mobilitazione generale, preoccupata più alla conservazione di uno spazio residuale di sopravvivenza che a promuovere e coordinare le lotte.
Anche la Fiom che pure aveva intercettato i bisogni e le speranze nei tanti luoghi di lavoro e nella società, chiudeva lo spazio di praticabilità del conflitto ed avviava un processo di normalizzazione al suo interno.
Il “nuovo” corso della Cgil e la ritrovata unità con Cisl e Uil non consentono alcun dissenso reale dentro e fuori dall’organizzazione. La nostra esperienza di opposizione ha invece praticato realmente quel dissenso.
Per la prima volta un’area interna all’organizzazione, costituita e diretta dal basso, ha osato sfidare l’organizzazione, la sua linea, le sue regole.
Per
questo le compagne e i compagni FCA di Termoli e Melfi pagano con
l’incompatibilità e la destituzione pendente di ogni titolarità alla
rappresentanza dei lavoratori in fabbrica, l’opposizione vera al modello
Marchionne.
E con loro paga per tutti Sergio Bellavita, portavoce nazionale dell’area, licenziato Fiom/Cgil.
E con loro paga per tutti Sergio Bellavita, portavoce nazionale dell’area, licenziato Fiom/Cgil.
La
statuizione dell’incompatibilità nel nuovo ordine della Cgil cambia di fatto il
corso e l’agire dell’opposizione interna, sicchè nulla è più come prima.
Cionostante abbiamo provato a verificare la possibilità di mantenere uno spazio
aperto, ma evidentemente il veleno inoculato era già arrivato ai gangli vitali
dell’organismo. E così all’unica vera area di opposizione mai esistita in Cgil è
mancato il coraggio del conflitto, della lotta.
Un’area di opposizione che dice di praticare il conflitto, non può non partire da sé e provare ad organizzare la difesa della sua identità e dignità attraverso il suo portavoce, che, come dovrebbe essere ovvio, non è consentito considerare alla stregua di uno strillone o di un piazzista, pena la credibilità e la sopravvivenza stessa dell’area. Né è pensabile che sul punto si avvii al nostro interno una contrattazione definendo aprioristicamente le condizioni per poter organizzare una risposta di lotta. Chi si pone con questa modalità sa bene che si presenta con le armi già spuntate, specie se la condizione è rimanere “a prescindere” in Cgil.
Non è questa l’opposizione che ho conosciuto e praticato dentro e fuori la Cgil.
Un’area di opposizione che dice di praticare il conflitto, non può non partire da sé e provare ad organizzare la difesa della sua identità e dignità attraverso il suo portavoce, che, come dovrebbe essere ovvio, non è consentito considerare alla stregua di uno strillone o di un piazzista, pena la credibilità e la sopravvivenza stessa dell’area. Né è pensabile che sul punto si avvii al nostro interno una contrattazione definendo aprioristicamente le condizioni per poter organizzare una risposta di lotta. Chi si pone con questa modalità sa bene che si presenta con le armi già spuntate, specie se la condizione è rimanere “a prescindere” in Cgil.
Non è questa l’opposizione che ho conosciuto e praticato dentro e fuori la Cgil.
Mi
riesce difficile comprendere, dentro una cultura ed una pratica di solidarietà e
di lotta, come nella prima assemblea nazionale dell’area dopo i fatti gravi
delle compagne e dei compagni di FCA e la ritorsione seguita con il
licenziamento di Bellavita, ci si possa presentare ai compagni dei territori con
due documenti che già guardano al prossimo congresso, di fatto derubricando
l’intera e dolorosa vicenda.
In realtà la precipitazione di tali ultimi accadimenti e la gestione politica dell’area stessa impattava su visioni politiche ed identitarie diverse e già presenti in seno all’area ed alla sua direzione.
In realtà la precipitazione di tali ultimi accadimenti e la gestione politica dell’area stessa impattava su visioni politiche ed identitarie diverse e già presenti in seno all’area ed alla sua direzione.
Visioni e posizioni che invece di tradursi in
ricchezza politica da finalizzare al progetto comune hanno finito per
articolarsi in schemi rigidi e precostituiti che non hanno aiutato la
discussione e l’hanno fatta ulteriormente precipitare fino alle reciproche
interdizioni.
Per parte mia posso dire di aver vissuto intensamente questa esperienza sindacale in Cgil e di essermi messa al servizio fino in fondo del suo progetto di opposizione alla deriva della Cgil e di difesa strenua dei diritti sociali e del lavoro.
Lungo il percorso ho rinvenuto le tracce di un faticoso e difficile cammino e mi sono riconosciuta in tanti volti e storie che, nazionalmente e localmente, parlano e attingono allo stesso alfabeto politico.
Non sempre, è il dato di bilancio che pure affiora, la teoria politica ha orientato con sagacia l’azione; non sempre lo sguardo è apparso proiettato lungo e fermo sulle direttrici di un progetto comune.
Umane debolezze che in qualche caso rivelano un’antica malattia….
Per parte mia posso dire di aver vissuto intensamente questa esperienza sindacale in Cgil e di essermi messa al servizio fino in fondo del suo progetto di opposizione alla deriva della Cgil e di difesa strenua dei diritti sociali e del lavoro.
Lungo il percorso ho rinvenuto le tracce di un faticoso e difficile cammino e mi sono riconosciuta in tanti volti e storie che, nazionalmente e localmente, parlano e attingono allo stesso alfabeto politico.
Non sempre, è il dato di bilancio che pure affiora, la teoria politica ha orientato con sagacia l’azione; non sempre lo sguardo è apparso proiettato lungo e fermo sulle direttrici di un progetto comune.
Umane debolezze che in qualche caso rivelano un’antica malattia….
Abbiamo ancora tanto da imparare per uscire indenni
dalla tagliola del padrone di turno; tanto
il cammino da fare insieme a vecchi e nuovi compagni per rompere le nostre
catene.
Sono certa che con molti compagni/e ci ritroveremo nelle lotte comuni a difesa dei diritti dei lavoratori e dei più deboli.
Alle tante compagne e compagni che ho conosciuto e con i quali ho condiviso questa straordinaria esperienza, va il mio saluto affettuoso,
Alle compagne e ai compagni di Napoli e della Campania che mi hanno accompagnata nella difficile e faticosa costruzione di questa esperienza anche a livello locale, un caloroso abbraccio ed un arrivederci.
Sono certa che con molti compagni/e ci ritroveremo nelle lotte comuni a difesa dei diritti dei lavoratori e dei più deboli.
Alle tante compagne e compagni che ho conosciuto e con i quali ho condiviso questa straordinaria esperienza, va il mio saluto affettuoso,
Alle compagne e ai compagni di Napoli e della Campania che mi hanno accompagnata nella difficile e faticosa costruzione di questa esperienza anche a livello locale, un caloroso abbraccio ed un arrivederci.
Maria
Pia Zanni
Direttivo Nazionale Cgil – Direttivo Nazionale
FP-Cgil
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