E ci ricorda che domani Renzi e Hollande “si incontreranno
… al palazzo Ducale di Venezia” e “guardandosi negli occhi dovrebbero farsi una
domanda: per quali ragioni facciamo la guerra in Libia?” Il giornalista ha
voglia di scherzare, dato che Renzi e Hollande sanno benissimo perché fanno la
guerra in Libia, ma anche in altre parti del mondo! Vediamo però dove ci porta
il suo ragionamento. “La risposta più ovvia - il Califfato - è quella di
comodo.”, dice. Quindi l’obbiettivo di questa guerra non è la “guerra al
terrorismo” che questa volta veste i panni dell’Isis e che in questa “analisi”
passa addirittura all’ultimo posto!
“La guerra di
Libia è partita nel 2011 con un intervento francese, britannico e americano
che con la fine di Gheddafi è diventato conflitto tra le tribù, le milizie e
dentro l’Islam, che però è sempre rimasto una
guerra di interessi geopolitici ed economici. L’esito non è stato l’avvento della democrazia ma è sintetizzato in
un dato: la Libia era al primo posto in
Africa nell’indice Onu dello sviluppo umano, adesso è uno stato fallito.”
L’esito non poteva essere la “democrazia” visto che
non è per questo che gli imperialisti fanno la
guerra, anzi. E veniamo al dunque: il bottino. “La guerra è in realtà un regolamento di conti e una spartizione della torta tra gli attori esterni e i due poli libici principali, Tripoli e Tobruk, che hanno due canali paralleli e concorrenti per l’export di petrolio.”
guerra, anzi. E veniamo al dunque: il bottino. “La guerra è in realtà un regolamento di conti e una spartizione della torta tra gli attori esterni e i due poli libici principali, Tripoli e Tobruk, che hanno due canali paralleli e concorrenti per l’export di petrolio.”
Il giornalista chiama regolamento di
conti la guerra tra potenze imperialiste per la spartizione del mondo con le
sue materie prime! E infatti,
continua: “Qui si possono liberare
alcune delle più importanti risorse dell’Africa: il 38% del petrolio del
continente, l’11% dei consumi europei. È un greggio di qualità, a basso
costo, che fa gola alle compagnie in tempi di magra. In questo momento a
estrarre barili e gas dalla Tripolitania è soltanto l’Eni: una posizione, conquistata manovrando tra fazioni e mercenari,
che agli occhi dei nostri alleati deve finire e, se possibile, con il
nostro contributo militare.”
Il giornalista soffre per il proprio imperialismo e
attacca, e se la prende con gli Stati Uniti: “Per loro, anche se l’Italia ha
perso in Libia 5 miliardi di commesse, stiamo già accantonando risorse per un
contingente virtuale in barili di oro nero. Non è così naturalmente, ma “deve”
essere così: per questo l’ambasciatore
Usa azzarda a chiederci spudoratamente 5mila uomini. La dichiarazione di
John Phillips, addolcita dalla promessa di un comando militare all’Italia,
sottolinea la nostra irrilevanza.”
L’imperialismo italiano sarà “irrilevante” come pensa
il pennivendolo ma “La Libia è un
bottino da 130 miliardi di dollari subito e tre-quattro volte tanto nel caso
che un ipotetico Stato libico, magari confederale e diviso per zone di influenza, tornasse a esportare come ai tempi di
Gheddafi. Sono stime che sommano la produzione di petrolio con le riserve della
Banca centrale e del Fondo sovrano libico che sta a Londra dove ha studiato per
anni il prigioniero di Zintane, Seif Islam, il figlio di Gheddafi, un tempo
gradito ospite di Buckingham Palace al pari di tutti gli arabi che hanno il cuore
nella Mezzaluna e il portafoglio nella City. Oltre alla Bp e alla Shell in Cirenaica - dove peraltro ci sono
consorzi francesi, americani tedeschi e cinesi - gli inglesi hanno da difendere
l’asset finanziario dei petrodollari.”
Come si vede ogni paese imperialista ha i suoi motivi
ben fondati per tenere gli artigli ben piantati sul suolo libico. Perfino i
russi e l’Egitto…! “Anche i russi, estromessi nel 2011 perché contrari ai
bombardamenti, vogliono dire la loro: lo faranno attraverso l’Egitto del
generale Al Sisi al quale vendono armi a tutto spiano insieme alla Francia. Al
Sisi considera la Cirenaica una storica provincia egiziana, alla stregua di re
Faruk che la reclamava nel 1943 a Churchill: «Non mi risulta», fu allora la
secca risposta del premier britannico. Ma
ce n’è per tutti gli appetiti: questo è il fascino tenebroso della guerra
libica.”
Ed ecco la spartizione: “Il bottino libico, nell’unico
piano esistente, deve tornare sui mercati, accompagnato da un sistema di
sicurezza regionale che, ignorando Tunisia e Algeria, farà della Francia il guardiano del Sahel nel Fezzan, della Gran Bretagna quello della Cirenaica, tenendo a bada le ambizioni
dell’Egitto, e dell’Italia quello
della Tripolitania. Agli americani la supervisione strategica.”
E la parte finale dell’articolo riepiloga gli interessi
in campo di questa “guerra mondiale in piccolo”, come qualcuno ha chiamato
quella in Siria, dei paesi imperialisti e dei loro lacchè, usando però parole
piene di comprensione e di “democrazia” per le vite dei libici e di tante altre
vite che purtroppo per loro si trovano ad abitare sul petrolio! “Rivelando” i
motivi urgenti dell’attacco della Francia nel 2011, e cioè la necessità di
mantenere le proprie “colonie” che sono l’altra faccia della medaglia dell’imperialismo.
“Ai libici, divisi e frammentati, messi insieme in un
finto governo di “non unità nazionale”, il piano non piacerà perché hanno fatto
la guerra a Gheddafi e tra loro proprio per spartirsi la torta energetica senza
elargire “cagnotte” agli stranieri e finire sotto tutela. E insieme ai litigi
libici ci sono le trame delle potenze
arabe e musulmane. Sono “i pompieri incendiari” che sponsorizzano le loro
fazioni favorite: l’Egitto manovra
il generale Khalifa Haftar, il Qatar
seduce con dollari sonanti gli islamisti radicali a Tripoli, gli Emirati si sono comprati il precedente
mediatore dell’Onu Bernardino Leòn per appoggiare Tobruk; senza contare la
Turchia, che dalla Siria ha rispedito i jihadisti libici a fare la guerra santa
nella Sirte.”
“La lotta al Califfato è solo un aspetto del
conflitto, anzi l’Isis si è inserito
proprio quando si infiammava la guerra per il petrolio. Ma gli interessi occidentali, mascherati da
obiettivi comuni, sono divergenti dall’inizio quando il presidente francese
Nicolas Sarkozy attaccò Gheddafi senza neppure farci una telefonata. Oggi
sappiamo i retroscena. In una mail inviata a Hillary Clinton e datata 2 aprile
2011, il funzionario Sidney Blumenthal rivela che Gheddafi intendeva sostituire
il Franco Cfa, utilizzato in 14 ex colonie, con un’altra moneta panafricana. Lo
scopo era rendere l’Africa francese indipendente da Parigi: le ex colonie hanno
il 65% delle riserve depositate a Parigi. Poi naturalmente c’era anche il
petrolio della Cirenaica per la Total. È
così che prepariamo la guerra: in compagnia di finti
amici-concorrenti-rivali, esattamente come faceva la repubblica dei Dogi.”
http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2016-03-06/la-grande-spartizione-114530.shtml?refresh_ce=1
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