L'intervista è tratta dal giornale Resistenza
Con la linea di decidere di non decidere e lasciare le cose al loro corso, le autorità giudiziarie si sono infilate in un vicolo cieco che conduce direttamente a una sorta di “condanna morte” di fatto del prigioniero Alfredo Cospito. Pretendono una dissociazione politica anche solo per considerare la revoca del 41bis. Stante l’indisponibilità di Alfredo a dissociarsi – e considerando che la questione è prima di tutto politica – al punto in cui si è giusti sembra che non esista alcuna strada legale per risolvere la situazione. È così, oppure anche dal punto di vista legale ci sono strade da percorrere?
Più che dissociazione io direi che quello che richiedono in realtà è proprio una collaborazione, perché per poter uscire dal 41bis il detenuto, in questo caso Alfredo, dovrebbe fornire un vero e proprio contributo atto a chiarire magari la storia della FAI (Federazione Anarchica Italiana, ndr) in un’ottica accusatoria, per cui quello che si richiede a Alfredo sostanzialmente, al pari di tutti gli altri detenuti, è quello di sostituire la propria persona con un amico, un parente, un compagno o chiunque sia, per cui certamente questo Alfredo non lo fornirà mai.
Ci sarebbero altre strade da percorrere ma l’unica questione, l’elemento centrale nella valutazione sono i tempi di Alfredo, quanto potrà effettivamente continuare uno sciopero della fame che oggi (l’11 marzo, ndr) è arrivato al centoquarantunesimo giorno, per cui qual è l’aspettativa di vita per un uomo che ha intrapreso una battaglia così importante, come lui la definisce per la vita ma non per la morte, ma che ormai si approssima ai cinque mesi.
Noi sicuramente nei prossimi giorni, anche forti della decisione del Comitato per i diritti umani che è
organo del Patto internazionale per i diritti politici e civili dell’ONU presenteremo un ricorso alla CEDU (Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, ndr).La differenza tra la CEDU e l’ONU è che l’ONU può al più dare indicazioni non vincolanti al governo. Abbiamo visto che il governo, ovvero il Ministero della giustizia, ha immediatamente diffuso una nota nella quale dice che sostanzialmente non ritiene di dover compiere alcun passo a favore di Alfredo o che possa attenuare effettivamente la sua condizione detentiva.
È però un’arma importante perché politicamente è oggettivamente una “bomba”: è infatti la prima volta, per quello che noi sappiamo e che ci confermano gli esperti di diritto internazionale, che un Comitato dell’ONU si misura con un regime detentivo e non con la pena di morte o con la tortura, che sono normalmente l’oggetto dell’intervento di questi organismi. Quando uno Stato sottopone o intende sottoporre alla pena di morte un detenuto o quando intende espellerlo verso un altro paese che pratica la tortura, lì interviene normalmente questo Comitato per i diritti umani. Nel nostro caso invece, è la prima volta che il Comitato si esprime su quelle che possono essere le conseguenze di trattamenti inumani e degradanti, della violazione dell’umanità della pena nei confronti di un detenuto. È chiaro che se si è espresso in questi termini per Alfredo il giudizio è estendibile agli altri 749 uomini e donne che sono sottoposti allo stesso regime detentivo, per cui è estremamente importante.
Forti di questa pronuncia, quello che vorremmo fare a questo punto è adire la CEDU perché questa potrebbe invece assumere dei provvedimenti vincolanti per l’ordinamento giuridico interno italiano e pertanto apportare effettivamente un miglioramento nella condizione detentiva di Alfredo. Questo è l’obiettivo, adesso dovremo presentare il ricorso e verosimilmente questo avverrà la settimana prossima, detto ciò i tempi della CEDU potrebbero essere lunghi, non di anni ma di mesi, e pertanto anche in quel caso entrare in contraddizione con le condizioni di salute di un soggetto che è già prossimo ai 5 mesi di sciopero della fame, questo è il vero problema dal punto di vista giuridico.
La resistenza di Alfredo, oltre ad aver sollevato il coperchio sulla situazione carceraria e sugli arbitri delle autorità giudiziarie, ha suscitato un grande e variegato movimento di solidarietà. Un movimento che ha avuto un ruolo determinante nel far diventare la resistenza di Alfredo un “caso politico”. Condividi questa analisi?
Condivido dell’analisi il fatto che Alfredo ha avuto un grande merito, quello di sollevare una cappa di silenzio che per trent’anni aveva avvolto uno strumento che noi ormai, come avvocati, definiamo apertamente uno strumento di tortura, uno strumento medievale come il 41bis che serve solamente a piegare e ad affliggere gli uomini e le donne che vi sono sottoposti per anni e anni, alcuni di loro sono da 30 anni al 41bis, con il solo obiettivo di ottenere non solo la confessione ma la chiamata di correità di qualcun altro.
È evidente che si aprono tante questioni sulle politiche emergenziali, sulle finalità di questi strumenti, sull’allargamento della loro applicazione e sulla tendenza a farle diventare norme ordinarie. Quello che manca in questo momento, di fronte a una battaglia così importante come quella intrapresa da Alfredo, sono rapporti di forza all’esterno, nella società, che oggettivamente mancano. Sicuramente si è espressa solidarietà per Alfredo ma è una solidarietà che verosimilmente non riesce ad incidere nei rapporti di forza con le controparti istituzionali.
Quali sono le strade da percorrere per rendere questo movimento uno strumento di pressione più efficace? (cioè chi puntare a coinvolgere, ad esempio).
È stata lanciata dalla città di Napoli una campagna condivisa dalle diverse aree politiche che si chiama Morire di Pena ed è contro il 41bis, l’ergastolo e il carcere ostativo, una campagna che dovrà diffondersi in maniera capillare nella società fino a permearla. Personalmente, sto partecipando ad esempio a incontri con studenti e studentesse nelle scuole e all’università per tentare di contaminare diversi contesti. Un altro dei contesti sicuramente interessanti con i quali stiamo sviluppando un dialogo è il Collettivo di Fabbrica della GKN.
È un percorso che certamente non darà dei risultati immediati ma stiamo provando a sedimentare qualcosa e a realizzare quelle condizioni che magari potranno portare in un prossimo futuro alla nascita di un movimento più consapevole anche su questi argomenti.
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