Altro che parte civile! Ma tra il vero orrore in cui in questi giorni sguazza il nero governo Meloni che riguarda la morte dei migranti in mare, c’è proprio il processo in corso a Trapani contro l’equipaggio della nave Juventa. Contro questi 21 giovani volontari la Meloni e Piantedosi avevano chiesto di essere ammessi come parte civile.
Come dice l’articolo che riportiamo, almeno in questo punto,
la Procura di Trapani si è rifiutata, mentre nei fatti da 5 anni si accanisce
contro gli attivisti di Save The Children, Medici Senza Frontiere e Jugend
Rettet…
Si comprende bene quanto il contesto politico stia influenzando questo processo (e non solo) quando si legge che la Procura riconosce che “hanno agito solo per ragioni umanitarie e senza fini di lucro…” inventandosi poi, però, assurde ipotesi accusatorie e che sono state tutte di fatto già smontate.
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Navi in porto
L’assurdo processo di Trapani contro le ong che salvano i
migranti
La nave Juventa dal 2017 è stata sequestrata e ventuno giovani membri di
organizzazioni umanitarie sono imputati per presunti contatti con gli scafisti libici. Ma le conclusioni dei magistrati sono già state smontate. La richiesta di Meloni e Piantedosi di costituirsi parte civile è stata respinta.Poi ci sono i morti in mare che non puoi contare. Quelli che
non conosci, che appartengono al mondo dei “se” e de “ma”. Come sarebbe andata
a finire se…
Già. Come sarebbe andata a finire se la nave Juventa, dell’organizzazione non governativa berlinese Jugend Rettet, fosse ancora a pattugliare il Mediterraneo? Numeri, ipotesi.
Nel suo unico anno e mezzo di attività, a partire dal 2016, la nave, un bestione lungo 33 metri, progettata per lavorare nelle condizioni più impervie nei mari del Nord, ha contribuito al soccorso nel Mediterraneo di 14mila persone. A bordo, un gruppo di giovani volontari tedeschi, medici, vigili del fuoco, studenti, pure un astrofisico. Hanno scelto di essere testimoni oculari e di mettersi a disposizione per salvare vite nel Mediterraneo centrale.E chissà quante altre vite avrebbero potuto essere salvate,
in questi anni. Perché dall’agosto del 2017 la nave Juventa è sequestrata e
abbandonata al porto di Trapani.
Per capire la complessità del tema dei migranti, oltre la
cronaca dei morti e dei naufragi, non c’è da annunciare la caccia agli scafisti
nel «globo terracqueo». Forse bisognerebbe venire a Trapani. Nel tribunale del
capoluogo siciliano, infatti, si celebra in questi mesi un processo più
unico che raro, il processo a ventuno giovani membri di organizzazioni
umanitarie. Per loro l’accusa è di favoreggiamento all’immigrazione
clandestina. È un processo che in tutta Europa è unico nel suo genere.
Prende il via da una maxi inchiesta del 2016 (nel
frattempo a Trapani sono cambiati tre procuratori, e in Italia quattro ministri
della Giustizia) e coinvolge anche Medici senza Frontiere e Save The Children.
Dopo cinque anni, è ancora alle battute iniziali,
soprattutto perché molte udienze sono state rinviate per la mancanza di
traduttori e vizi nelle notifiche, dato che gli imputati vengono da diversi
Paesi europei e i loro avvocati hanno contestato le trascrizioni del tribunale.
L’inchiesta della Procura di Trapani è davvero singolare.
Non solo per lo sforzo investigativo enorme, con l’utilizzo di intercettazioni,
droni e anche di agenti sotto copertura, ma perché nel faldone delle
indagini sono finiti intercettati anche avvocati e giornalisti. Alcune
conversazioni con fonti confidenziali, assolutamente irrilevanti ai fini
dell’inchiesta, sono state trascritte, insieme a nomi e schede di giornalisti italiani
e stranieri. Tanto che l’allora ministra della Giustizia Marta Cartabia, quando
esplose il caso, nel 2021, mandò anche gli ispettori, in Procura, per capire
come fossero finiti quei nomi e quei dialoghi nelle 30mila pagine delle
indagini, e perché si era necessario sorvegliare dei giornalisti.
L’ipotesi dell’accusa è quella di un accordo tra
trafficanti e navi umanitarie per la «gestione» dei migranti. In altre parole: le
persone in mare non sono state salvate, ma consegnate. In un passaggio
degli atti di indagine i volontari vengono equiparati ai trafficanti libici,
perché, è scritto «entrambi considerano i migranti come una preziosa merce,
e non come naufraghi da salvare». Vengono monitorate 13 operazioni di
salvataggio, tra il 2016 ed il 2017. Secondo l’accusa, gli attivisti di Save
The Children, Medici Senza Frontiere e Jugend Retten «erano mossi nelle loro
condotte criminose da aspetti economici». Qual era l’obiettivo? «La
raccolta e conduzione in Italia di un numero sempre maggiore di migranti, per
mantenere alta visibilità mediatica e avere più donazioni».
La Procura è convinta di aver dimostrato i contatti «tra
coloro che scortavano gli immigrati fino alla Iuventa e i membri
dell’equipaggio della nave». Anche se hanno agito solo per ragioni
umanitarie e senza fini di lucro, riconosce la Procura, gli operatori si
sarebbero avvicinati troppo alle coste della Libia e avrebbero avuto contatti
con i trafficanti per delle «consegne pattuite» di migranti. In cambio, ad
esempio, gli operatori della Iuventa avrebbero lasciato alla deriva tre
imbarcazioni in modo che i trafficanti potessero recuperarle e usarle
successivamente in altre traversate.
Il processo è seguito dagli osservatori di Amnesty
International. Ampi reportage si trovano su diverse testate europee. Un
centro indipendente per il giornalismo investigativo, Forensic Architecture,
di Londra, ha addirittura pubblicato una contro inchiesta che smonta le
conclusioni della Procura di Trapani sui presunti tre «contatti» filmati
tra le navi delle Ong e gli scafisti libici. E un sito in tre lingue (italiano,
inglese e tedesco) pubblica un diario del processo con tutte le iniziative di
solidarietà in giro per l’Europa.
In Italia, invece, passa quasi con indifferenza. Alle
udienze, solo un paio di giornalisti locali, per il resto sono tutti stranieri.
Gli imputati rischiano più di venti anni di carcere. Nella penultima
udienza, poco prima di Natale 2022, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni
e il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi hanno chiesto di essere ammessi
come parte civile, con l’intenzione di sollecitare un risarcimento per i danni
«economici e morali» sostenuti dallo Stato italiano. La richiesta è
stata respinta.
Intanto la nave continua a essere sequestrata. Ed è ormai
ridotta, dopo cinque anni, a un ammasso di rottami. La Ong tedesca ha per
questo presentato una denuncia, e adesso il tribunale ha prescritto alla
Capitaneria di porto di Trapani di «provvedere all’esecuzione di tutte le opere
di manutenzione ordinaria e straordinaria necessarie a ripristinare e a
mantenere la situazione della nave esistente al momento del sequestro».
Operazione impossibile. La nave, negli anni, è stata anche vandalizzata e
saccheggiata di attrezzature e strumenti. Il resto è completamente arrugginito.
Dal 2021 non è neanche in un’area sorvegliata del porto, tanto che c’è anche
chi l’ha utilizzata come rifugio di fortuna. Dalla Capitaneria di Porto di
Trapani, per capire il da farsi, hanno chiesto lumi al ministero delle
Infrastrutture e dei Trasporti. I costi sono ingenti. Se c’è da rimettere in
sesto la nave, si fa prima a farne una nuova. Dal ministero guidato da Matteo
Salvini, non ha ancora risposto nessuno. Sono troppo impegnati a dare la caccia
agli scafisti «nel globo terracqueo».
https://www.linkiesta.it/2023/03/processo-nave-juventa-trapani/
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