sabato 8 maggio 2021

pc 8 maggio - ArcelorMittal, profitti record nei primi 3 mesi del 2021 mentre migliaia di operai restano in cassintegrazione…

 

La pandemia fa bene ai grandi padroni industriali e finanziari. Ha fatto e fa decisamente male a milioni di operai e lavoratori in tutto il mondo…

“Volano utili e ricavi del colosso siderurgico franco-indiano Arcelor Mittal nel primo trimestre del 2021.” Dice Il Fatto Quotidiano del 6 maggio, dimenticando di aggiungere che “volano” anche disoccupazione, precarietà e peggioramento delle condizioni di lavoro con la tragedia dei 3 morti quotidiani.

“Le vendite hanno superato i 16 miliardi di dollari (13,2 miliardi di euro), i profitti toccano i 2,3 miliardi di dollari (1,9 miliardi di euro). I risultati vengono definiti dell’azienda i ‘più solidi del decennio’ e si confrontano con una perdita di oltre un miliardo dello stesso periodo del 2020.” Ma i padroni piangono sempre miseria e battono i pugni sui “tavoli” per far passare licenziamenti, cassa integrazione, aumento dei ritmi ecc. ecc.

“Il balzo di fatturato e guadagni riflette il forte incremento dei prezzi dell’acciaio, più che raddoppiato rispetto ad un anno fa in scia alla ripresa dell’attività produttiva, soprattutto cinese.” La produzione cinese, innanzi tutto, permette ancora ai padroni di “trovare mercato” dove vendere le proprie merci.

Ma, continua il quotidiano: “Sono buoni anche i conti della divisione europea: 9,3 miliardi di dollari di ricavi e margine operativo per 900 milioni.”

E, “Il ministro dello Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti ha fatto sapere che anche la divisione italiana di Arcelor Mittal ha registrato buoni risultati nel primo trimestre.” Nonostante “l’acciaieria più grande d’Europa … al momento lavora a ritmi molto ridotti.” Ma l’acciaio si vende eccome, e anche più caro… Basti pensare al settore dell’inscatolamento degli alimenti che si è visto aumentare i prezzi da 4 milioni per 5 tonnellate a 5 milioni.

Arcelor Mittal, nella sua strategia di posizionamento mondiale tesa a trarre quanto più profitti possibili da ogni stabilimento (possibilmente senza tirare fuori nemmeno un euro, come ha fatto l’ex campione del fascismo padronale, Marchionne, con l’acquisizione della Chrysler) ha deciso, soprattutto per sganciarsi dai problemi legali ed evitare gli investimenti nella bonifica di  ‘deconsolidare’ lo stabilimento di Taranto che “Sarà quindi un’entità industriale a se stante i cui risultati non verranno inclusi nel bilancio dell’intero gruppo…. a seguito dell’ingresso nel capitale di Invitalia (in sostanza lo Stato, che ha investito 400 milioni, ora possiede il 50% e salirà ancora nel capitale nel 2022)”, in “sostanza” Arcelor Mittal prova pure a scaricare le eventuali perdite sul nuovo “padrone”.

Il nuovo padrone, cioè lo Stato, che salirà ancora nel capitale dell’ex Ilva fino al 60%, ci ricorda, per bocca del leghista Giorgetti che “Su Taranto e Piombino … ‘Il governo ha un progetto che si avvarrà sia delle risorse del Pnrr sia delle capacità tecnologiche offerte dai cosiddetti campioni nazionali che abbiamo. Sono molto ottimista, al netto della situazione decisamente complicata, basti pensare all’aspetto giudiziario’. Il riferimento è all’attesa decisione del Consiglio di Stato che il prossimo 13 maggio si pronuncerà sullo stop dell’area a caldo dell’acciaieria deciso dal Tar di Lecce.”

È proprio ottimista Giorgetti e si capisce che il governo non ha nessuna intenzione di abbandonare la produzione di acciaio: “Noi abbiamo un mondo produttivo legato all’acciaio privato che funziona benissimo – ha ricordato Giorgetti – che è eccellenza, non faccio nomi. Abbiamo dei problemi grandi in particolare a Taranto e a Piombino, limitatamente a Terni”. Secondo Giorgetti, il sistema dell’acciaio ad uso dell’industria italiana, è “parte di un puzzle che deve essere coerente. Stiamo ascoltando tutti e in tempi relativamente brevi, saremo in grado di presentare un puzzle coerente. Abbiamo tante debolezze ma anche capacità, lo Stato deve fare la sua parte”.

E come si vede la sta facendo! Tanto da nominare uno dei maggiori “boiardi di Stato” alla sua direzione: “A metà maggio dovrebbe insediarsi il nuovo consiglio di amministrazione di Acciaierie d’Italia, la nuova denominazione dell’impianto tarantino, che da quel momento sarà guidato da Franco Bernabè, manager di lungo corso, in passato a capo di Eni e Telecom. Il Recovery plan italiano stanzia risorse per la conversione dell’impianto con forme di alimentazione di forni a minore impatto ambientale attraverso una progressiva dismissione del carbone. Speranza per i circa 8mila dipendenti dello stabilimento, in larga parte tutt’ora in cassa integrazione.”

La “speranza” che per gli operai le cose cambino è tutta nelle mani degli operai stessi e questo quadro generale dice è possibile.

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