giovedì 12 settembre 2019

pc 12 settembre - FORMAZIONE OPERAIA - RIPRENDIAMO "SALARIO PREZZO E PROFITTO" DI MARX

Riprendiamo la Formazione operaia su "Salario prezzo e profitto" di Marx - sospesa a metà luglio scorso - in un momento in cui, dopo un lunghissimo periodo di silenzio, si è tornati a parlare di salario. Prima di tutto è in corso la vertenza per il rinnovo dei CCNL, e del principale, quello metalmeccanico che in un  certo senso segna la strada (nel bene e nel male) agli altri contratti; inoltre, chiaramente, gli stessi capitalisti ne parlano, vedi a Cernobbio (preoccupati e facendo proposte che impediscano reali aumenti); e poi anche il nuovo governo l'ha rimesso al centro, ma solo e soltanto nella versione "salario minimo".
Quello che via via sia padroni sia governi, con economisti, giornalisti al loro servizio, cercano di nascondere, di confondere - con un ruolo in questo decisivo dei sindacati collaborazionisti - è cosa è effettivamente il salario, chi lo produce, perchè gli aumenti dei profitti non solo non vedono altrettanti aumenti salariali, ma il capitalista mette in atto interventi per ridurre relativamente il salario.
Quindi la ripresa di questa FO "cade a fagiolo" - come si suol dire - per impossessarci per dare "gambe" teoriche a questa battaglia centrale del salario, liberandola da tutte le pseudo teorie borghesi che hanno invece interesse a dimostrare che la lotta per l'aumento del salario non si debba fare, è controproducente. Per questo è importante la comprensione scientifica posta da Marx del rapporto tra salario/prezzo e profitto.
Marx segnala in conclusione del libro che “se la classe operaia cedesse per viltà nel suo conflitto quotidiano con il capitale – vedi lotta per il salario – si priverebbe essa stessa della capacità di intraprendere un qualsiasi movimento più grande”.
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Prima di riprendere, da dove l'avevamo lasciato a luglio, il testo di Marx, crediamo sia utile riportare alcuni passaggi delle precedenti FO per, come si dice, "rinfrescarci la memoria" e riprendere il filo. 
Ricordiamo che questo libro contiene l'esposizione che Marx fece nel 1865, nella sede del Consiglio generale dell'Internazionale, soprattutto per confutare le concezioni errate che uno dei suoi membri, il cittadino operaio J. Weston, aveva sostenuto sugli effetti di un aumento dei salari.

1. Il Salario - come dice Weston - è una grandezza fissa che non può aumentare. E perchè invece può diminuire?
Marx parte innanzitutto dalla contestazione delle due premesse sbagliate poste da Weston: una che
"l'ammontare della produzione nazionale è qualcosa di fisso"; due che "la somma dei salari reali" è anch'essa "un "importo fisso", una grandezza costante".
La prima questione - dice Marx - è palesemente fasulla perchè "il valore e la massa della produzione aumentano di anno in anno... le forze produttive del lavoro nazionale aumentano... la quantità di denaro necessaria per la circolazione di questa produzione accresciuta cambia continuamente". Quindi, non è una grandezza costante ma una grandezza variabile, grazie "all'accumulazione del capitale e delle forze produttive del lavoro".
Un aumento generale dei salari ottenuto dai lavoratori interverrebbe in questo stato di cose esistente, nel rapporto tra profitti e salario. Quindi i salari possono variare. E l'aumento dei salari intacca i profitti.
Se, come dice Weston, sarebbe insensato che gli operai rivendichino e ottengano un aumento del salario - dato che in una situazione di costanza di produzione e di costanza della somma dei salari reali rapidamente la cosa tornerebbe come prima, per la certa reazione dei capitalisti, perchè Weston che afferma che "l'importo dei salari... non può venire nè aumentato nè diminuito", non dice che è altrettanto "insensata" l'azione dei capitalisti che impongono una diminuzione del salario?
Quindi, i salari non devono salire, mentre possono essere abbassati quando piaccia al capitale!

2. L'aumento generale dei salari incide sul saggio di profitto dei capitalisti. 
Weston fa dipendere il limite dei salari “unicamente dalla volontà del capitalista o dai limiti della sua ingordigia”.
Ma se l'aumento del salario dipendesse da questa "volontà", primo, non si capirebbe perchè il capitalista dovrebbe accondiscendere; secondo, alla lotta di classe si sostituirebbe l'azione di “preti”, “consulenti” che possano cambiare la “volontà del capitalista”...
Nello stesso modo viene spiegato dal cittadino Weston l'aumento del prezzo delle merci che il capitalista vende sul mercato: un “artificio”, un intervento volontario, per riprendersi l'aumento del salario che gli operai avessero ottenuto. Ma perchè mai il capitalista potrebbe a suo piacimento aumentare il prezzo delle merci? Perchè, si dice, con l'aumento del salario, aumenterebbe la domanda delle merci e, di conseguenza, il prezzo delle merci aumenterebbe (azzerando, quindi, l'aumento del salario).
Marx confuta questa argomentazione di Weston affermando che la classe operaia “spende il suo salario in oggetti di prima necessità”; quindi solo i capitalisti che producono questi oggetti “sarebbero compensati dall'aumento dei salari. Ma che ne è degli altri capitalisti?”. “Essi – spiega Marx- non potrebbero rivalersi della caduta del saggio del profitto, conseguente all'aumento generale dei salari, con un aumento dei prezzi delle loro merci, perchè la domanda di queste merci non sarebbe aumentata. Il loro reddito diminuirebbe...”. A questo punto questi capitalisti si sposterebbero nei settori più remunerativi; e quindi in questi settori si avrebbe un aumento delle merci in rapporto alla domanda, e di conseguenza i prezzi, prima aumentati ritornerebbero al loro livello iniziale. “La caduta del saggio del profitto, conseguente all'aumento dei salari, diventerebbe così generale, invece di rimanere limitata solo ad alcuni rami di industria... L'aumento generale del livello dei salari, non porterebbe dunque ad altro, dopo un turbamento temporaneo dei prezzi di mercato, che alla caduta generale del saggio del profitto, senza alcuna variazione durevole nel prezzo delle merci”.
L'aumento generale del livello dei salari non incide sui prezzi delle merci  ma sui profitti!

3. L'aumento dei salari non influisce sui prezzi delle merci.
I rapporti tra domanda e offerta hanno variazioni continue e insieme con esse variano i prezzi del mercato del lavoro. Ma se i salari dipendessero da questo, che senso ha declamare contro l’aumento dei salari? Dato che sarebbe inevitabile che a maggiore domanda corrispondano salari più alti e se l’offerta supera la domanda, salari più bassi.
“La domanda e l’offerta non regolano altro che le oscillazioni temporanee dei prezzi di mercato. Esse vi spiegheranno perché il prezzo di mercato di una merce sale al di sopra o cade al di sotto del suo valore. Ma non vi possono mai spiegare questo valore”.
Domanda e offerta, ci dicono gli economisti, si equilibrano. E quindi il prezzo di mercato tende al suo valore reale. Ma il problema che abbiamo è indagare la natura di questo valore.
Marx qui pone con chiarezza il punto che svilupperà successivamente e poi in forma scientifica compiuta ne Il Capitale - “Il valore di una merce non dipende dal rapporto tra domanda e offerta di quella merce, ma dipende dal tempo di lavoro necessario per produrla”. Tale valore non coincide col “prezzo di mercato”, perché quest’ultimo dipende dall’influenza della domande e dell’offerta, mentre il valore no, e non coincide meccanicamente con essa.
Quindi, l’aumento dei prezzi mai può essere addotto come argomento contro l’aumento dei salari.

4. Il valore delle merci non determina il valore del lavoro.
Marx rovescia la tesi di Weston secondo cui gli aumenti del salario portano ad aumenti dei prezzi. Succede esattamente il contrario: "gli operai di fabbrica, i minatori, i carpentieri navali e altri operai inglesi, il cui lavoro è relativamente ben pagato, battono tutte le altre nazioni per il basso prezzo dei loro prodotti, mentre, per esempio, l'operaio agricolo inglese, il cui lavoro è pagato relativamente male, è battuto da quasi tutte le altre nazioni per l'alto prezzo dei suoi prodotti.". Quindi "a parte alcune eccezioni più apparenti che reali, in media il lavoro pagato bene produce le merci più a buon mercato, e il lavoro pagato male produce le merci care".
Prosegue Marx: “Prima egli (Weston) ci ha detto che i salari regolano i prezzi delle merci e che perciò i prezzi devono salire quando salgono i salari. Poi ha fatto un mezzo giro per mostrarci che un aumento dei salari non servirebbe a niente perchè i prezzi delle merci sono saliti, e perchè i salari di fatto sono misurati dai prezzi delle merci per le quali essi vengono spesi. Incominciamo dunque con l'affermazione che il valore del lavoro determina il valore della merce, e terminiamo con l'affermazione che il valore della merce determina il valore del lavoro. Ci aggiriamo dunque in un circolo vizioso e non arriviamo a nessuna conclusione… perchè determiniamo un valore per mezzo di un altro valore che, a sua volta, ha bisogno di essere determinato…”
“La prima domanda che dobbiamo porci è la seguente: - Che cos'è il valore di una merce? Come viene esso determinato?”. Se una quantità di una merce (per es. un quarter di grano) si può scambiare con un’altra quantità di un’altra merce (per es. ferro), si dice che il valore dell’una e il suo controvalore nell’altra merce “sono uguali a una terza cosa, che non è né grano né ferro, poichè ammetto che essi esprimono la stessa grandezza in due forme diverse.” Qual’è, allora, la “terza cosa”? “Quale è – scrive Marx - la sostanza sociale comune a tutte le merci? E' il lavoro. Per produrre una merce bisogna impiegarvi o incorporarvi una quantità determinata di lavoro. Ma, come si misura la quantità di lavoro? Secondo il tempo che dura il lavoro, misurandolo a ore, a giorni, ecc.
I valori relativi delle merci sono dunque determinati dalle corrispondenti quantità o somme di lavoro impiegate, realizzate, fissate in esse. Le quantità di merci corrispondenti l'una all'altra, che possono essere prodotte nello stesso tempo di lavoro, sono uguali”.

Tornando ai prezzi delle merci e alle cause del loro aumento o diminuzione – per ulteriormente ribadire che non dipendono dal salario – Marx scrive: “Il prezzo di mercato esprime soltanto la quantità media di lavoro sociale necessario, in condizioni medie di produzione, per fornire al mercato una certa quantità di un determinato articolo. Esso viene calcolato secondo la quantità totale di una merce di una determinata specie.
In questo senso il prezzo di mercato di una merce coincide con il suo valore. Invece le oscillazioni dei prezzi di mercato, che talvolta superano il valore, o il prezzo naturale, tal altra volta gli sono inferiori, dipendono dalle oscillazioni della domanda e dell'offerta… Ma domanda ed offerta devono costantemente tendere a equilibrarsi, quantunque ciò avvenga soltanto perchè una oscillazione viene compensata da un'altra, un aumento da una caduta e viceversa”.
“Se dunque nel complesso e tenendo conto di lunghi periodi di tempo ogni specie di merce è venduta al suo valore, è assurdo supporre che il profitto, - non il profitto realizzato nei singoli casi, ma il profitto costante e abituale delle diverse industrie, - derivi dal sovraccaricare i prezzi delle merci, o dal fatto che esse sono vendute a un prezzo notevolmente superiore al loro valore. L'inconsistenza di questa opinione diventa evidente se la si generalizza. Ciò che uno guadagna costantemente come venditore, dovrebbe perderlo costantemente come compratore”.

5. L'operaio non vende il lavoro ma la sua forza-lavoro.
Marx smonta anche qui l’apparenza, l’apparenza di quello che viene chiamato “valore del lavoro”, partendo dall’affermazione netta e chiara che “non esiste una cosa come il valore del lavoro, nel senso comune della parola" e che cercare il valore del lavoro nel lavoro stesso è una tautologia che non ci dice niente”.
Il problema dice Marx è differente: "ciò che l’operaio vende non è direttamente il suo lavoro ma la sua forza-lavoro che egli mette temporaneamente a disposizione del capitalista". Nella società delle merci la forza lavoro è una merce come le altre. Le leggi del capitale fissano "il massimo di tempo entro il quale un’operaio può vendere la sua forza-lavoro". Si può dire che questa è quasi l’unica ma sostanziale differenza con la schiavitù, “se fosse permesso all’uomo di vendere la sua forza-lavoro per un tempo illimitato la schiavitù sarebbe di colpo ristabilita”.
Il valore della merce Forza-lavoro che il lavoratore vende è determinato dal costo degli alimenti per mantenersi in vita, gli oggetti d’uso corrente per il suo sostentamento, per allevare i figli che lo dovranno sostituire sul mercato del lavoro,“per perpetuare la razza degli operai”; e poi altri costi, come quelli di istruzione e di perfezionamento, ecc.

GIOVEDI' PROSSIMO RIPRENDIAMO DAI NUOVI CAPITOLI DEL TESTO DI MARX

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