Difesa: Italia e Francia si contendono le commesse nel settore navale in Libano
L'Italia, oltre all’impegno con circa mille uomini nell’ambito della missione Unifil, partecipa alla missione militare bilaterale Mibil, che prevede un un impiego massimo di 140 militari, sette mezzi terrestri e un mezzo navale
Roma, 11 set 18:53 - (Agenzia Nova) - Il governo del
Libano guidato dal primo ministro Saad Hariri deciderà a breve se
assegnare a una società italiana o francese la commessa per incrementare
le proprie capacità navali. L’esecutivo di Beirut deve scegliere tra la
soluzione proposta dall’Italia o l’offerta della Francia per l’acquisto
di sei unità navali del valore di 350-400 milioni di euro. La riserva
potrebbe essere sciolta già durante la visita di Hariri in Francia,
prevista il prossimo 20 settembre, proprio mentre in Italia sta
assumendo le funzioni il nuovo esecutivo di Giuseppe Conte.
Recentemente, il polo Sace Simest (gruppo Cassa depositi e prestiti) ha
aumentato il plafond per le
esportazioni in Libano: una mossa che potrebbe consentire alle aziende del settore di vendere “a credito” le unità navali al paese dei cedri. Da parte sua, la Francia ha recentemente ufficializzato la linea di credito del valore di 400 milioni di euro annunciata durante la seconda Conferenza di Roma, ospitata Farnesina il 15 marzo 2018 e dedicata al sostegno delle Forze armate e di sicurezza del paese dei cedri.
Una delle aziende italiane che in passato ha avuto contatti frequenti con le autorità libanesi è Fincantieri. L’azienda di Trieste ha mostrato interesse per i programmi di incremento della capacità navali del Libano con il sostegno della filiera dell’export. Secondo quanto si apprende, Beirut è rimasta colpita dai prodotti della società italiana, in particolare da cinque pattugliatori e da un naviglio minore. Sul versante transalpino, l’ufficializzazione della linea di credito avvenuta a inizio estate potrebbe favorire una proposta fatta dai cantieri privati Cnm di Cherbourg. La mossa di Parigi potrebbe fare pressioni sull’esecutivo di Beirut, “indeciso” se affidare la commessa all’Italia o alla Francia, due Stati per diverse ragioni legati al paese dei cedri a livello storico, culturale, economico e nell’ambito della difesa. L’esecutivo di Hariri avrebbe pensato di superare l’impasse affidando parte della commessa ad aziende italiane e un’altra parte a società francesi. Tuttavia, a poco più di una settimana dall’incontro fra Hariri e il presidente francese Emmanuel Macron, mentre l’Italia è impegnata a dare forma al Conte-bis, il governo libanese potrebbe essere orientato a scegliere la proposta di Parigi.
Lo scorso luglio, proprio Hariri ha annunciato che il suo esecutivo avrebbe approvato entro la fine di agosto il piano per incrementare le proprie capacità navali. Sebbene il termine non sia stato rispettato, Beirut è chiamata a prendere una decisione con una certa urgenza, sia per gli impegni assunti nei confronti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, sia per garantire la sicurezza dello sfruttamento delle proprie risorse energetiche offshore. Il precedente rinnovo annuale del mandato della risoluzione 1701 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite - risalente all'agosto 2018 - ha ridotto l'impegno della task force marittima dei peacekeeper, che finora ha visto l’impiego di sei unità navali per il pattugliamento delle acque libanesi. Dal Palazzo di Vetro di New York, con la risoluzione 2433 è stato chiesto a Beirut di dotarsi di mezzi navali per rimpiazzare progressivamente quelli della missione ad interim nel sud del Libano (Unifil).
Nel marzo del 2018, in occasione della seconda Conferenza di Roma a sostegno delle Forze armate e di sicurezza del Libano, le Forze armate libanesi (Laf) avevano presentato un piano di sviluppo onnicomprensivo chiedendo aiuti internazionali. Italia e Francia, forti dei legami con Beirut e degli interessi delle proprie aziende nel paese, hanno risposto all’appello. L'interesse del Libano ad avere proprie unità navali è cresciuto dopo il lancio della prima gara per l’assegnazione di licenze per l’esplorazione di idrocarburi del 2017, aggiudicata a febbraio 2018 dal consorzio formato da Eni, Total e Novatek. Nel tempo, la volontà di Beirut di rafforzare le proprie capacità di difesa . malgrado una serie di difficoltà economiche dovute a dissidi interni e alla guerra civile in Siria - è cresciuta anche in vista della seconda gara per l’esplorazione di idrocarburi, che dovrebbe essere assegnata nel 2020.
La necessità di proteggere le proprie acque territoriali si lega anche alle dispute con Israele, a sud, e con la Siria, a nord, perché non sono definiti i confini, a differenza dell’accordo raggiunto con Cipro. Delineare le frontiere marittime con Israele e Siria si lega indissolubilmente allo sfruttamento delle risorse energetiche e alla sicurezza degli investimenti delle società coinvolte. In particolare, il blocco 9 assegnato al consorzio Eni-Total-Novatek vede un contenzioso con Israele su un’area di circa 800 chilometri quadrati. Da tempo, gli Stati Uniti stanno portando avanti una mediazione a cui le due parti si dicono favorevoli. Sul fronte settentrionale, due dei blocchi messi a bando nella nuova gara per lo sfruttamento delle risorse offshore, il numero 1 e il 2, si trova al confine con la Siria.
La necessità di rafforzare le proprie capacità navali non riguarda soltanto il settore energetico. Il Libano, proprio per la sua natura intrinseca, caratterizzata da una varietà di confessioni religiose legate ad opposti attori regionali, si trova al centro dell’intricato panorama mediorientale. Non a caso, lo scorso luglio, Hariri ha ribadito la volontà di sviluppare le capacità navali per “mantenere l’autorità dello Stato sulle acque territoriali per contrastare le attività terroristiche, l’immigrazione illegale, il traffico di esseri umani e il contrabbando di beni illegali”. Una delle principali spine nel fianco dell’esecutivo di Hariri è il ruolo e l’operato del movimento sciita Hezbollah. Nei mesi scorsi, l’inviato di Israele all’Onu ha accusato le autorità libanesi di connivenza per l’uso del porto di Beirut come hub per l’arrivo di armi dall’Iran, per esempio.
A livello generale, sia Francia che Italia sono impegnate per la stabilità del paese e, come altri partner del Libano, dal 2006 - dopo la conclusione della Seconda guerra del Libano - mirano a favorire il processo di costruzione delle istituzioni libanesi per la difesa e la sicurezza. L'Italia, oltre all’impegno con circa mille uomini nell’ambito della missione Unifil, partecipa alla missione militare bilaterale Mibil, che prevede un un impiego massimo di 140 militari, sette mezzi terrestri e un mezzo navale
esportazioni in Libano: una mossa che potrebbe consentire alle aziende del settore di vendere “a credito” le unità navali al paese dei cedri. Da parte sua, la Francia ha recentemente ufficializzato la linea di credito del valore di 400 milioni di euro annunciata durante la seconda Conferenza di Roma, ospitata Farnesina il 15 marzo 2018 e dedicata al sostegno delle Forze armate e di sicurezza del paese dei cedri.
Una delle aziende italiane che in passato ha avuto contatti frequenti con le autorità libanesi è Fincantieri. L’azienda di Trieste ha mostrato interesse per i programmi di incremento della capacità navali del Libano con il sostegno della filiera dell’export. Secondo quanto si apprende, Beirut è rimasta colpita dai prodotti della società italiana, in particolare da cinque pattugliatori e da un naviglio minore. Sul versante transalpino, l’ufficializzazione della linea di credito avvenuta a inizio estate potrebbe favorire una proposta fatta dai cantieri privati Cnm di Cherbourg. La mossa di Parigi potrebbe fare pressioni sull’esecutivo di Beirut, “indeciso” se affidare la commessa all’Italia o alla Francia, due Stati per diverse ragioni legati al paese dei cedri a livello storico, culturale, economico e nell’ambito della difesa. L’esecutivo di Hariri avrebbe pensato di superare l’impasse affidando parte della commessa ad aziende italiane e un’altra parte a società francesi. Tuttavia, a poco più di una settimana dall’incontro fra Hariri e il presidente francese Emmanuel Macron, mentre l’Italia è impegnata a dare forma al Conte-bis, il governo libanese potrebbe essere orientato a scegliere la proposta di Parigi.
Lo scorso luglio, proprio Hariri ha annunciato che il suo esecutivo avrebbe approvato entro la fine di agosto il piano per incrementare le proprie capacità navali. Sebbene il termine non sia stato rispettato, Beirut è chiamata a prendere una decisione con una certa urgenza, sia per gli impegni assunti nei confronti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, sia per garantire la sicurezza dello sfruttamento delle proprie risorse energetiche offshore. Il precedente rinnovo annuale del mandato della risoluzione 1701 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite - risalente all'agosto 2018 - ha ridotto l'impegno della task force marittima dei peacekeeper, che finora ha visto l’impiego di sei unità navali per il pattugliamento delle acque libanesi. Dal Palazzo di Vetro di New York, con la risoluzione 2433 è stato chiesto a Beirut di dotarsi di mezzi navali per rimpiazzare progressivamente quelli della missione ad interim nel sud del Libano (Unifil).
Nel marzo del 2018, in occasione della seconda Conferenza di Roma a sostegno delle Forze armate e di sicurezza del Libano, le Forze armate libanesi (Laf) avevano presentato un piano di sviluppo onnicomprensivo chiedendo aiuti internazionali. Italia e Francia, forti dei legami con Beirut e degli interessi delle proprie aziende nel paese, hanno risposto all’appello. L'interesse del Libano ad avere proprie unità navali è cresciuto dopo il lancio della prima gara per l’assegnazione di licenze per l’esplorazione di idrocarburi del 2017, aggiudicata a febbraio 2018 dal consorzio formato da Eni, Total e Novatek. Nel tempo, la volontà di Beirut di rafforzare le proprie capacità di difesa . malgrado una serie di difficoltà economiche dovute a dissidi interni e alla guerra civile in Siria - è cresciuta anche in vista della seconda gara per l’esplorazione di idrocarburi, che dovrebbe essere assegnata nel 2020.
La necessità di proteggere le proprie acque territoriali si lega anche alle dispute con Israele, a sud, e con la Siria, a nord, perché non sono definiti i confini, a differenza dell’accordo raggiunto con Cipro. Delineare le frontiere marittime con Israele e Siria si lega indissolubilmente allo sfruttamento delle risorse energetiche e alla sicurezza degli investimenti delle società coinvolte. In particolare, il blocco 9 assegnato al consorzio Eni-Total-Novatek vede un contenzioso con Israele su un’area di circa 800 chilometri quadrati. Da tempo, gli Stati Uniti stanno portando avanti una mediazione a cui le due parti si dicono favorevoli. Sul fronte settentrionale, due dei blocchi messi a bando nella nuova gara per lo sfruttamento delle risorse offshore, il numero 1 e il 2, si trova al confine con la Siria.
La necessità di rafforzare le proprie capacità navali non riguarda soltanto il settore energetico. Il Libano, proprio per la sua natura intrinseca, caratterizzata da una varietà di confessioni religiose legate ad opposti attori regionali, si trova al centro dell’intricato panorama mediorientale. Non a caso, lo scorso luglio, Hariri ha ribadito la volontà di sviluppare le capacità navali per “mantenere l’autorità dello Stato sulle acque territoriali per contrastare le attività terroristiche, l’immigrazione illegale, il traffico di esseri umani e il contrabbando di beni illegali”. Una delle principali spine nel fianco dell’esecutivo di Hariri è il ruolo e l’operato del movimento sciita Hezbollah. Nei mesi scorsi, l’inviato di Israele all’Onu ha accusato le autorità libanesi di connivenza per l’uso del porto di Beirut come hub per l’arrivo di armi dall’Iran, per esempio.
A livello generale, sia Francia che Italia sono impegnate per la stabilità del paese e, come altri partner del Libano, dal 2006 - dopo la conclusione della Seconda guerra del Libano - mirano a favorire il processo di costruzione delle istituzioni libanesi per la difesa e la sicurezza. L'Italia, oltre all’impegno con circa mille uomini nell’ambito della missione Unifil, partecipa alla missione militare bilaterale Mibil, che prevede un un impiego massimo di 140 militari, sette mezzi terrestri e un mezzo navale
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