Questa
cosa ha fatto saltare, da qualche tempo, la pazienza pure alla figlia di
Borsellino, che ha denunciato tra l’altro, appunto, le passerelle dei politici,
e come riferisce l’adnkronos “…denuncia
inoltre che la Commissione nazionale antimafia e il Parlamento ‘strumentalizzano
ai fini mediatici’ e in occasione del 27esimo anniversario della morte
di Paolo Borsellino ‘desecretando’ gli atti del Csm e della stessa Commissione
antimafia.”
La
mafia che viene presa in considerazione in questo articolo del Sole24Ore, è
quella “economica”, e come si vede la disponibilità di soldi è eccezionale, ma
la mafia è un fenomeno di questo sistema sociale e, infatti, in giro per il mondo,
in Sicilia e in particolare a Palermo la mafia continua ad essere “sociale”, controlla
il territorio, si fa pagare il pizzo, elegge sindaci e deputati, organizza spedizioni
punitive e quando necessario uccide… La mafia senza copertura politica e dello
Stato non potrebbe esistere, è per questo che chiaramente i parenti delle
vittime, quelli sinceri, non hanno speranze di giustizia!
Di
giustizia, quella vera, non hanno nemmeno speranza le masse popolari che l’arroganza
del potere in tutte le sue forme la subiscono più di tutti, se non comprendono
fino in fondo che la “lotta alla mafia” è imprescindibile dalla lotta per il rovesciamento
di questo sistema sociale…
“Le
mani della mafia su 30 settori
“Le
fette di mercato conquistate dalla criminalità organizzata ormai non si contano. Nella ricognizione della
relazione Dia sul secondo semestre 2018 si possono individuare quasi trenta
settori, ci sono persino i servizi di scuolabus. I prodotti ortopedici e
l’ingrosso di giocattoli. I mafiosi “sanno variare il ‘paniere’ dei propri
investimenti”. Con l’adozione ormai strategica di modelli manageriali per la
gestione delle risorse i mafiosi investono soprattutto al sud in settori
secondario e terziario. “C’è una mancanza di allarme sociale – denuncia la Dia
– che sembra aver anestetizzato la coscienza collettiva”. Aumenta la minaccia
degli investimenti finanziari della criminalità organizzata al Nord: la
Lombardia è in testa alla classifica nazionale delle operazioni sospette
(19.752 in un anno), più del triplo della Sicilia (6.151).”
E
ancora: la mafia investe nelle attività industriali e nei servizi “I settori
terziario e secondario predominano con il 46,8% (5.638) e il 44,8% (5.394) del
totale.
“Innumerevoli,
i tentacoli della piovra mafiosa si allungano ormai su qualunque settore di
mercato da
catturare. Appena pubblicata, la relazione della Dia (direzione
investigativa antimafia) sul secondo semestre 2018 è la fotografia di
un’impresa criminale diffusa sul territorio, multinazionale, ad alto tasso di
sviluppo, investimenti e profitto. In crescita continua.
“Cosa
nostra investe dove ci sono i soldi”
ha detto ieri al sole 24 Ore il procuratore di Palermo Francesco Lo Voi. Il
documento messo a punto dagli analisti guidati dal generale Giuseppe Governale,
direttore della Dia, consegnato al Capo della polizia, Franco Gabrielli, e
trasmesso in Parlamento dal ministro dell’Interno, Matteo Salvini, sembra un
manuale di tecnica economica e finanziaria. Applicata dalla criminalità
organizzata.
Le
fette di mercato dove mafia, ‘ndrangheta, camorra, organizzazioni pugliesi ed
etniche si diffondono quasi non si contano più (si veda l’elenco a fianco). La
ricognizione della Dia sulle operazioni di polizia giudiziaria mette a fuoco
settori particolari: i servizi di scuolabus, il trasporto e vendita di cassette
di legno, i prodotti
ortopedici, il commercio all’ingrosso dei giocattoli. Dappertutto, “dove stanno i soldi”, appunto.
ortopedici, il commercio all’ingrosso dei giocattoli. Dappertutto, “dove stanno i soldi”, appunto.
La
luna imprenditoriale mafiosa ha due facce, una economica e l’altra finanziaria.
Tutte e due nere, ma la seconda di più. Scrivono gli analisti: i mafiosi
dimostrano e confermano di “saper variare il ‘paniere’ dei propri investimenti”.
È la regola aurea della diversificazione del portafoglio. Rinunciano persino a
una quota di evasione fiscale: meglio l’elusione. Lì la Dia ha fatto uno studio
sui soggetti denunciati e arrestati per reati mafiosi negli ultimi cinque anni
(2014-2018), esaminate 12.054 posizioni, i dati ripartiti poi per settore
economico (primario, secondario, terziario e terziario avanzato).
I
settori terziario e secondario predominano con il 46,8% (5.638) e il 44,8%
(5.394) del totale; seguono nel settore primario (6,3%, pari a 766 posizioni) e
il terziario avanzato (2,1%, pari a 256 posizioni). Vale nel quinquennio ma in particolare,
nel 2018, si vede la “prevalenza delle attività economiche del Sud Italia
(86,6%) tra quelle infiltrate dai soggetti mafiosi”. Sullo stesso piano le
attività economiche infiltrate del Nord e del Centro (entrambe al 6,7%)”.
Se
si guarda la finanza mafiosa lo scenario cambia, è più inquietante. I dati
sulle operazioni finanziarie sospette, ripartite per regione, sono chiari: Nord
in testa con il 46,3%, Lombardia prima regione con quasi 20mila movimenti
finanziari sospetti.
Il
paradosso – apparente – è semplice: i mafiosi riciclano meglio e di più
nelle regioni meno mafiose. Ma non solo perché quelle settentrionali sono
le più produttive. Lì la criminalità organizzata utilizza “soprattutto dei
prestanome”: personaggi insospettabili, il più possibile accreditati nel
tessuto sociale. Al contrario “in molte realtà del Sud Italia operano istituti
di credito di piccole dimensioni, in alcuni casi addirittura mono-sportello”.
Dove “i mafiosi potrebbero esercitare una pressione tale da rendere difficoltosa
per l’operatore della banca l’effettuazione di una segnalazione di operazione
sospetta”. Per star tranquilli, insomma, di gran lunga meglio investire al
Nord.
Certo,
dopo la Lombardia (19.752 operazioni sospette) ci sono la Campania (17.660) e
il Lazio (10.639). Ma poi subito dopo arriva l’Emilia-Romagna (9.673) e
Piemonte (6.656), che battono la Sicilia, e a seguire la Toscana (5.781). Quella
del Nord si può chiamare per la Dia “una mafia latente”. Ma che “potrebbe, in
prospettiva, manifestarsi con caratteri più evidenti”.
L’insidia
finanziaria mafiosa, in maggioranza azionaria nel Nord Italia, mostra una
criticità emergente ancora più preoccupante. Scrivono i tecnici guidati al
generale Governale: davanti a questa evoluzione la competenza territoriale degli
uffici giudiziari diventa un limite grave. “I fascicoli processuali tendono a
essere attratti dai distretti giudiziari in cui la consorteria mafiosa si è storicamente
sviluppata”. La conseguenza è nefasta: “Una limitata possibilità di perseguire
l’azione illecita da parte dei distretti del Centro-Nord, in cui oggi invece si
manifestano con sempre maggior forza le attività economico-finanziarie delle
mafie”. La Dia lo definisce “un vulnus che non può più essere trascurato”.
Il
dato del Nord, tuttavia, non deve mai far dimenticare come “in molte aree del
sud l’arretratezza economica e il disagio sociale rappresentano l’humus che
rigenera le strutture mafiose”. E dunque “c’è bisogno di un presa di posizione
decisa contro una microcultura mafiosa che è cresciuta progressivamente in
tutto il Paese, spogliandosi della sua veste violenta e sfruttando l’insensibilità
e la sottovalutazione”. Una denuncia drammatica: c’è “una mancanza di allarme
sociale – secondo fattore che ha favorito lo sviluppo al Nord – che sembra aver
anestetizzato la coscienza collettiva rispetto alla pervicacia delle mafie”.
Il
Sole 24 Ore - 19 luglio 2019
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