Cominciamo a
pubblicare oggi, dai verbali del processo Ilva "Ambiente svenduto", le
testimonianze sull'infortunio mortale delle gru del 28 novembre 2012,
dove morì Zaccaria Francesco.
Oggi
pubblichiamo quella di un tecnico, incaricato dalla Procura delle
indagini, e di un operaio Francesco Sasso.
Domani pubblicheremo quelle
di altri operai.
Queste
testimonianze sono importanti, e tragiche nello stesso tempo. Perchè
dimostrano le precise responsabilità dell'azienda, ciò che doveva essere
fatto e non si faceva, la mancanza di dispositivi di sicurezza, lo
stato disastroso e l'assenza di manutenzione delle gru, la pervica
mancanza non solo di formazione ma anche di informazione agli operai -
così non sapendo non potevano rivendicare diritti di sicurezza previsti
anche dalla stessa normativa, fino alla mancanza di soccorsi.
Mercoledì 10 luglio un altro operaio, Cosimo Massaro, ha perso la vita nello stesso posto, con la stessa gru.
Cosa ha fatto l'azienda in questi 7 anni? Cosa hanno fatto gli organi
di controllo? eppure avevano fatto delle prescrizioni. Cosa hanno fatto e
detto agli operai gruisti, al porto i sindacati, i delegati, gli Rls, a
fronte di una situazione di permanenza di grave insicurezza e rischio
vita?
DAI VERBALI:
TESTE
ARCHITETTO ANGELO DI SUMMA, incaricato delle indagini per la
ricostruzione degli eventi occorsi e segnatamente il decesso del signor
Zaccaria Francesco e gli infortuni occorsi ai lavoratori Piergianni
Simeone e Sasso Francesco.
Fra i vari documenti che abbiamo
chiesto all’azienda, ce n’era uno in particolare, volevamo sapere quali
erano le procedure che venivano seguite normalmente per le attività, un
documento dove c’era riportato un ordine di servizio su cui riportava
che già la mattina c’era molto vento. L’anemometro della gru è tarato – credo – per circa 67 chilometri
orari. Quindi, siccome il dato di non operatività di quelle gru
stabilito dall’Ispesl è di 72 chilometri orari, il dato inserito dalla
stessa azienda, era inferiore e, quindi, gli operai potevano sentirsi –
per così dire – più tranquilli...
Nel momento stesso in cui c’è stato l’evento, la cabina veniva proiettata in mare. La cabina scorre su
due binari paralleli e praticamente è stata proiettata dal lato mare.
Invece
il signor Morrone Vincenzo si trovava all’interno della cabina gru DM6 e accade la stessa cosa che è accaduta al DM5. La cabina è stata
proiettata. Però, invece di cadere in mare, sotto c’era una nave, la
Mary Mercuri. Però il Morrone ha avuto la prontezza, probabilmente impaurito dal vento che incalzava, non attenendosi a nessun
tipo – diciamo – di diverso comportamento, è uscito fuori e ha fatto
appena in tempo a salvarsi.
Invece, sulla cabina DM8 vi erano i
lavoratori Sasso Francesco e Piergianni Simeone. Su questa gru,
praticamente, la dinamica seguita è stata sempre la stessa. La cabina
del DM8, così come la cabina del DM5 (dove si trovava l'operaio Zaccaria) e il DM6, è stata – sì – proiettata
nella stessa maniera in direzione mare, però aveva i respingenti… i
finecorsa che l’hanno bloccata, non è andata oltre.
I finecorsa
servono a bloccare la cabina nel momento stesso in cui, per un motivo
qualunque, arriva a fermarsi al limite e, in caso di imprudenza o di
qualunque tipo di avaria, la cabina può fermarsi senza avere successivi –
diciamo – inconvenienti come quello che si è verificato per le altre.
Una
precisazione per quanto riguarda i fine corsa: quelle realizzate per il
DM8 – finecorsa – sono differenti da quella realizzata sia sul DM6 che
sul DM5. Praticamente il DM8 rispettava pedissequamente quello che il
progetto riportava – una cosa molto importante – mentre sia il DM6 e sia
il DM5, invece, erano fatte in maniera completamente differente. Invece
di essere fra i binari su cui scorreva – quindi interposto proprio al
centro fra i binari – questo finecorsa sul DM5 era messo al di sopra,
con due alette centrali che dovevano fungere da fermo. Stessa cosa sul
DM6. Addirittura il DM6 non ne aveva uno: ne aveva due di questi
finecorsa.
La DM5 appoggia su 48 ruote. Ogni gamba è dotata di 12
ruote delle quali 6 sono motrici, e 6 sono folli, per un totale di 12
motori che azionano il movimento di traslazione. Questo è il DM5. Ha un
dispositivo di ancoraggio: sono delle tenaglie che sono interbloccate
elettricamente. Poi dispone di un fungo interno, che può essere azionato
direttamente dal lavoratore, fermo restando quello che abbiamo detto
prima, che c’è l’anemometro che, quando arriva a una certa velocità,
blocca in automatico il tutto. E poi c’è un altro dispositivo che il
“blocco anti-uragano”.
La gru DM8 ha una caratteristica diversa. La
gru è ben appoggiata… Invece che come il DM5 su 48, questa poggia su 68
ruote, ha suppergiù le stesse caratteristiche per quanto riguarda il
blocco. Si può bloccare attraverso l’anemometro.
Il DM8 aveva il
finecorsa secondo quello che prevedeva il progetto. Invece, la
gru DM5 dove stava Zaccaria i finecorsa non erano secondo il progetto.
Noi
abbiamo contestato una inadeguata manutenzione ed alterazione rispetto
alle indicazioni di conformità sui perni delle ruote di traslazione
della gru, ad esempio, i sistemi di bloccaggio sulle parti meccaniche,
non sono conformi perché, ad esempio, c’è una piastra saldata sopra, che
non ha nulla a che vedere con quella che è l’originalità dell’impianto.
Poi attività manutentive sospese da tempo e non condotte a termine e
non idonee, in corrispondenza della sommità della struttura c’era anche
l’assenza di bullonature. Chiariamo: sono bulloni che non vanno solo
avvitati, ma hanno dalla parte opposta un aggancio che impedisce loro di
staccarsi. Poi abbiamo sulle scale le passerelle della gru: si
riscontrava un’apertura sui binari di calpestio, assenza di corrimani o
avanzato stato di deterioramento delle stesse, degli ancoraggi su dei
parapetti.
Addirittura si vede il piano di calpestio, dove c’è un
buco. Lì è un punto di passaggio dei lavoratori. C’era un sacco d’olio!
Poi presenza di opere provvisionali in corrispondenza delle scale di
accesso in sommità della gru, montata da tempo e in stato di abbandono,
quindi, è come iniziare un determinato lavoro e poi non portarlo a
termine. E poi c’era in qualche caso, l’assenza totale di estintori dei
presidi o con manutenzione periodica scaduta. Poi c’è la sala argani,
dove c’era presenza di sostanze oleose, grasse, pavimenti, insomma
pericoloso pure per il lavoratore nel caso va a scivolare. E un’assenza
di cartellonistica o dei presidi necessari per indicare le vie di esito
in seguito ad un’emergenza. Questo è ciò che attiene alcuni aspetti
legati alla manutenzione, alle condizioni.
Non c'era possibilità di
apertura automatica del cancelletto di accesso alla cabina operatore
gru. Evidentemente non funzionava il sistema di chiusura di sicurezza,
quindi, uno lo poteva aprire tranquillamente anche in assenza della
cabina stessa.
C’è della ruggine su elementi strutturali, il problema
della ruggine si evince in quasi tutti gli elementi che ho appena
citato: è presente dappertutto; quella è una palese mancanza di totale
manutenzione.
Poi c’era un libero accesso in locali ad elevato
rischio di elettroduzione. La cabina elettrica, praticamente aperta, con
un’indicazione ovviamente sulla porta d’accesso, chiaramente indicante
“cabina elettrica”.
La gru DM5 è del 1974. Il decreto 81 che si occupa
di sicurezza, prevede una responsabilità particolare per i progettisti
che devono realizzare strutture e impianti conformemente a quelle che
sono le norme di sicurezza per la prevenzione e sicurezza dei
lavoratori. La stessa regola vale pure per i fabbricanti, il ché vuole
dire che io progetto in un modo e tu lo devi realizzare rispettando gli
stessi criteri. E questi due elementi sono elementi fondamentali. Noi
abbiamo chiesto il 12/12/2012 all’Ilva, copia sia del manuale d’uso e
degli elaborati grafici progettuali, ovviamente riferiti a quello
originale. Ciò che ci ha dato l’Ilva è l’ultimo documento di cui erano
in possesso.
Per quanto attiene il DM5, noi ci siamo soffermati sul
mancato utilizzo del fermo anti-uragano, che era previsto e che
peraltro, sulla stessa cabina, come anche sulle altre, ve ne era la
presenza, anche se sullo stesso DM5 si è trovato solo l’alloggiamento
del perno ma il perno stesso no.
Il dispositivo del blocco, si trova
posizionato sulla cabina questo perno. È un blocco meccanico che il
lavoratore deve innestare manualmente, uscendo dalla cabina ce l’ha a
una distanza di meno di un metro credo.
Sulla cabina del DM5 era
posizionato lo spinotto di ancoraggio ma il perno non c’era, no! Sulla
cabina DM2 che poi è stata esaminata, lì vi era il fermo anti-uragano e
la gru DM2, non era stata interessata, quel giorno, dall’evento.
Questo
fermo anti-uragano ha una su funzionalità, comunque dagli accertamenti
era sconosciuta a tutti. Abbiamo sentito 7 gruisti e anche le persone
offese, Sasso e Piergianni.
Abbiamo chiesto all’Ilva, tutta la
documentazione relativa alla attività di formazione degli operai e non
c’è la minima traccia di una indicazione o comunque di un argomento
trattato, che riporti all’utilizzo di questo meccanismo. Sugli atti
forniti dall’Ilva, non c’era nessun rigo in cui si riportava questa
specifica formazione sui dispositivi di sicurezza presenti in cabina,
relativi al blocco anti-uragano, da utilizzare in caso di emergenza.
Poi,
l’apertura del fine corsa della cabina in merito alla gru DM5.
Praticamente la cabina viene proiettata in direzione mare, incontra
questo finecorsa, solleva le due alette. Qui, sul DM5 ripeto, ce ne era
solo uno. Sul DM6 ce n’erano addirittura due ma hanno fatto la stessa
fine, ovviamente non conformi a quanto era stato progettato. Solo in
quella del DM8, il finecorsa era stato realizzato secondo il progetto.
Data la stessa velocità del vento, però uno ha tenuto e l’altro no.
Inoltre,
in relazione alle condizioni meteo, non era stato predisposto un piano
di evacuazione, un piano di emergenza ad hoc. Tale procedura è prevista
unicamente ai fini ambientali.
Il Marzo del 2012 c’è un ordine di
servizio che, comunque, era stato solo affisso in bacheca, riporta solo
due righe - questo ordine di servizio ci è stato fornito successivamente
all’evento.
Questo ordine di servizio descrive la procedura da
seguire in condizioni di avverse meteo. Considera un vento pari a 72
chilometri orari e dice che i gruisti devono scendere dalle macchine e
le macchine devono essere posizionate alla minima distanza possibile tra
loro.
Ordine di servizio, del 9 febbraio 2012, a firma dell'Ing. Di
Noi, affisso in bacheca, chi lo vuole leggere lo
legge, non viene assolutamente preso in considerazione
dall’aggiornamento della pratica operativa del 8 marzo 2012.
Facciamo
le prescrizioni e l’Ilva questa volta, con un aggiornamento del 03
Luglio 2013, inserisce nel piano di emergenza di reparto, condizioni
meteo avverse. Ovviamente noi ce ne accorgiamo... Però non riportava
quali fossero tutte le modalità e le azioni da compiere da parte
dell’operatore, perché non ritrovavamo l’uso del perno o blocco
anti-uragano. Il 25 luglio 2013, l'Ilva questa volta, inserisce un punto
che dice: azione da compiere da parte dell’operatore: “Inserire il
perno di blocca – precisa – qualificato come da verbale Spesal, come
indicato nel manuale d’uso e manutenzione della macchina”.
Poi c’era
un problema legato anche ad una verifica puntuale della gru, al di là
dei certificati dei documenti di verifica della stessa, perché,
praticamente, pur essendo stata installata la gru nel DM5 nel ‘74,
avendo pertanto più di venti anni di vita, sebbene richiesta, nessuna
valutazione risulta in atti, relativa alla valutazione della vita
residua. Nella documentazione di verifica periodica effettuata dall’Arpa
non riusciamo a trovare questo elemento di valutazione di vita residua.
La verifica Arpa era stata effettuata nel Luglio 2012.
Questa
certificazione deve servire a sapere quanti cicli di lavorazione e
quanti anni ancora la macchina può continuare ad operare.
Dopodiché
l’Ilva, ha effettuato una valutazione di vita residua, il 10 Gennaio del
2013, dopo l’incidente (quindi dopo 39 anni, molto dopo i 20 anni prescritti dalla
normativa).
TESTE FRANCESCO SASSO – assunto in Ilva il 15 ottobre del 2001, al porto da giugno del 2012, con mansioni di gruista.
Il 28 novembre del 2012 io ero in addestramento e mi hanno mandato in addestramento al DM8, con Simone Piergianni.
Siamo
saliti sopra, però non dovevamo svolgere attività lavorativa al momento
perché avevamo la benna infossata nel materiale, nella stiva della
nave; dovevano provare a sbloccarla, a liberare la benna, poi siccome
non ce la faceva la macchina, se ne andava in blocco perché tirava i
cavi e se ne andava in blocco perché era pesante, c’era troppo materiale
e non riusciva a salire la benna, ci hanno fatto aspettare a
passerella, vicino le scale, aspettavamo disposizioni.
A un certo
punto abbiamo visto il vento forte che era fortissimo, che da passerella
ci spostò con la cabina prima a lato terra e poi una volta portati al
lato terra al braccio fisso, andammo a sbattere forte al braccio mobile,
la cabina si incartocciò tutta ed io incastrato con l’altro collega...
La velocità era fortissima!
Siamo andati a finire la prima volta
contro il braccio fisso, a finecorsa del braccio fisso, poi dal braccio
fisso ci siamo fatti tutto il braccio fino al braccio mobile e siamo
arrivati a finecorsa, ci siamo incartocciati. Più o meno sarà una
trentina di metri, e poi un’altra ventina-trentina saranno una
sessantina di metri, 50-60 metri, quanto la lunghezza di tutto il
braccio.
Quella mattina non abbiamo ricevuto degli avvisi di allerta
meteo, mai sentita questa cosa qua prima! All’interno dell’attrezzatura
c’è un anemometro, quando stavamo fermi a passerella già segnava cento
chilometri orari.
Comunque a me nessuno mi aveva detto che magari ad una certa velocità si dovrebbe scendere, nessuno lo sapeva.
Che sul DM8 esiste un dispositivo antiuragano l’ho saputo dopo che è successo il fatto
Non
ho mai seguito dei corsi di formazione sulla sicurezza in relazione ai
rischi specifici a cui doveva essere esposto come gruista
Quando scattava l’anemometro facevamo il reset e continuavamo a lavorare, vedevo gli altri che lavoravano.
Non
sapevo se c’erano delle procedure da seguire in caso di emergenza. Non
sapevo se vi erano dei dispositivi di sicurezza in caso di emergenza.
Dopo
l’evento del tornado, in cui siamo rimasti incastrati nella cabina non
abbiamo ricevuto soccorsi. Dopo mezz’ora, tre quarti d’ora di vento ed
acqua che entrava nella cabina, eravamo tutti insanguinati, il collega
che parlava al telefono con qualcun altro e disse che c’era la scala
dietro, siamo riusciti ad uscire di fianco alla cabina c’era un buco che
potevamo uscire, c’era una scala che portava sopra il braccio, infatti
siamo riusciti ad uscire e siamo saliti sopra e piano piano ci siamo
aggrappati, ci siamo mantenuti l’uno con l’altro e siamo arrivati giù,
siamo scesi giù, nessuno però ci ha soccorso, siamo arrivati proprio giù
da soli, tutti insanguinati, tutti spezzati, nessuno che ci ha
soccorso!
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