Il governo
annuncia più prestazioni per tutti. Ma i soldi sono pochi e, al di là delle
parole, nei fatti il servizio ai cittadini peggiora progressivamente. Con
beneficio di sanità privata e assicurazioni
Sulla sanità lo Stato promette di più, ma è in grado
di dare sempre meno. Lo dicono gli esperti del settore, lo sa perfino il
ministro della Salute, Beatrice Lorenzin. E intanto gli spazi per il
privato si fanno sempre più ampi a scapito dell’universalismo del Servizio
sanitario nazionale. “È facile ampliare i diritti, è un po’ più difficile
essere sicuri che quei diritti siano reali”. Il professor Giovanni Fattore
sintetizza così il potenziale effetto boomerang del decreto di Palazzo Chigi
sui nuovi Livelli Essenziali di Assistenza (i Lea), che pure ha avuto
una gestazione di ben quindici anni. E, al pari dei vaccini obbligatori,
che richiedono un impiego consistente di risorse pubbliche, merce sempre più
rara, rischia di rivelarsi un grande bluff rispetto al vanto ministeriale di aver reso più generosa la copertura del Servizio sanitario nazionale. Il direttore del dipartimento di analisi delle politiche e management pubblico dell’Università Bocconi fa infatti notare come allungare l’elenco delle prestazioni che il Servizio sanitario può offrire non significa assicurarle a tutti.
La coperta si
allunga solo a parole – Soprattutto
se “le risorse sono pari, se non in diminuzione, mentre la domanda cresce per
effetti vari”. Così l’ampliamento dei Lea “rischia di creare un inasprimento
della tensione del sistema, perché prometti di più, ma sei in grado di dare
di meno. E come si risolverebbe il tutto”? A parole riducendo gli sprechi, “poi
bisogna vedere se gli sprechi si riducono veramente oppure si tagliano i
servizi magari ad alcune fasce più vulnerabili che hanno anche meno
capacità di rappresentanza”, prosegue l’esperto. Un timore condiviso anche
dalla Fondazione Gimbe che, in un recente rapporto sulla sostenibilità
del Sistema sanitario nazionale, evidenzia come “uno straordinario traguardo
politico” rischi di trasformarsi in “una grande illusione collettiva,
con prevedibili effetti collaterali quali l’allungamento delle liste
d’attesa e lo spostamento verso il privato e l’aumento della spesa privata
dei contribuenti sino alla rinuncia alle cure”. Così l’ampliamento dei
Lea rischia di creare un inasprimento della tensione del sistema, perché
prometti di più, ma sei in grado di dare di meno. “Meglio
non ammalarsi o farlo più tardi possibile” –
La conferma viene indirettamente dalle parole del ministro della Salute,
che in un recente incontro al Festival dell’Economia di Trento,
incalzata dal professor Gilberto Turati, professore associato di Scienza
delle Finanze alla Cattolica di Roma, ha di fatto ammesso pubblicamente che i
livelli minimi di assistenza sono legati a doppio filo alle risorse messe in
campo dal governo: “La spesa è resiliente, nel senso che è la spesa che
hanno deciso di dare, non quella di cui c’è effettivamente bisogno”, ha detto
riferendosi al Tesoro. Quello che c’è sul piatto oggi non è quindi il
finanziamento integrale dei Lea come vorrebbe la Costituzione. “Per me non è
una cosa giusta, ma chi lo fa il Def? Lo fa l’Economia. L’Economia dice: quanto
diamo quest’anno alla ministra della Salute? Un miliardo in più. Il ministro
sta baccagliando? Va bene gliene diamo due in più”. Tuttavia se nei prossimi
anni aumenteranno le spese perché la popolazione invecchia, ebbene “tu fai in
base al tuo Pil, se il Pil non cresce e allora non cresce neanche il
finanziamento della salute”. Una mission impossible, quella della crescita del
prodotto interno lordo, in tempi di crisi e di riduzione del debito a tappe
forzate. Lo sa anche il ministro che punta sulla prevenzione consigliando
vivamente uno stile di vita più salubre e sportivo perché è meglio “evitare
di ammalarsi” o farlo “il più tardi possibile”. E non è comunque detto che
si riesca “a garantire un’assistenza sanitaria agli over 80”.
rara, rischia di rivelarsi un grande bluff rispetto al vanto ministeriale di aver reso più generosa la copertura del Servizio sanitario nazionale. Il direttore del dipartimento di analisi delle politiche e management pubblico dell’Università Bocconi fa infatti notare come allungare l’elenco delle prestazioni che il Servizio sanitario può offrire non significa assicurarle a tutti.
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