Marchionne il 9 luglio prende carta e penna e scrive agli operai: “... Se ho deciso di farlo è perchè è la cosa che mi sta a cuore in questo momento è potervi parlare apertamente”.
La Fiat è stata messa in difficoltà dal voto operaio al referendum, Marchionne si è prima offeso, ha minacciato, bleffato di far saltare tutto, e ora cerca di tornare all'attacco. Ma questo ritorno ha due aspetti: primo, torna all'attacco perchè “sconfitto”, con una posizione di relativa debolezza: pensava di avere già imposto/ottenuto il consenso della stragrande maggioranza e invece deve fare i conti con una effettiva opposizione interna degli operai; secondo, ci ritorna scavalcando le rappresentanze degli operai che hanno detto No, andando direttamente da loro, mettendo sul piatto la sua persona, con un metodo e un'ideologia che è da dittatorello fascista: “non è la Fiat a scrivere questa lettera, non è quell'entità astratta che chiamiamo “azienda” e non è, come direbbe qualcuno il “padrone”. Vi scrivo da uomo...”.
Da questo punto nella lettera, fatte cadere le barriere, non c'è l'azienda, non c'è il padrone, non ci sono, quindi, gli operai, ma ci sono gli “uomini” con lo stesso interesse, nella stessa barca, che possono “costruire insieme”. Marchionne, da questo punto in poi, usa sempre il “noi”, “nostro”: “... dobbiamo decidere il nostro futuro. Si tratta di un futuro che riguarda noi tutti e che riguarda il nostro paese...”.
Ma qual'è il senso che Marchionne dà al “noi”?. Nei fatti è: ciò che è mio è mio, ciò che è tuo è mio. Per Marchionne che parla da rappresentante del capitale, l'interesse capitalista non è l'interesse di una classe minoritaria contro l'interesse della classe proletaria, ma l'interesse di tutti; non è un interesse particolare fondato sullo sfruttamento e l'appropriazione privata del lavoro, ma diventa l'interesse universale. E tutto diventa un fatto “oggettivo” di cui nessuno ha colpe.
“Basti pensare... - continua, infatti, la lettera - quante imprese hanno chiuso negli ultimi anni e quante altre hanno abbandonato il paese per capire la gravità della situazione. La cosa peggiore di un sistema industriale, quando non è in grado di competere, è che alla fine sono i lavoratori a pagarne direttamente – e senza colpe – le conseguenze”.
Fatti oggettivi!? Le imprese tirano sempre più al massimo la produzione, raddoppiando il lavoro degli operai, intensificando i carichi di lavoro, allungando la giornata lavorativa, riducendo sempre più la parte di capitale destinata ai salari degli operai, per fare più profitti, per conquistarsi sempre più fette di mercato, sbaragliando la concorrenza delle altre imprese; in questa “guerra tra capitalisti “ a livello internazionale, voluta dai capitalisti, come la stessa Fiat ha dimostrato, qualche padrone vince e altri perdono. Ma chi ci perde realmente e drammaticamente sono solo gli operai. La crisi viene provocata dalla sete di profitto dei padroni che vogliono aumentare in modo mostruoso la produzione che diventa sovrapproduzione che non può essere venduta utilmente, e questo processo determina la crisi.
Questa non è “una legge naturale” inevitabile, non è caduta dal cielo, non è senza padre e madre, come la vuole far apparire Marchionne (in un altro passo della lettera scrive: “Le regole della competizione internazionale non le abbiamo scelte noi e nessuno ha la possibilità di cambiarle”), è la legge del capitale, determinata dai capitalisti, come la Fiat. Quel capitale, come proprio la Fiat di Marchionne, che appena c'è il vento della crisi “abbandonano il paese”, per andare lì dove possono sfruttare di più gli operai, tagliare i salari, tagliare i diritti (che per il capitale sono solo un costo o un intralcio all'aumento dello sfruttamento).
Questa è la realtà che nella lettera Marchionne cerca di stravolgere. Anche oggi nella crisi, i padroni, soprattutto le grandi multinazionali come la Fiat, vincono, gli operai perdono! E gli operai perdono non solo quando “un sistema industriale non è in grado di competere” – come Marchionne scrive, da squallido ipocrita nella sua lettera, mostrandosi quasi “addolorato” - ma anche quando è in “grado di competere”, perchè questa competizione viene fatta sulla pelle degli operai, togliendo diritti, lavoro, salute, perfino vita agli operai, come proprio l'accordo Pomigliano dimostra, come le condizioni degli operai in Polonia hanno già dimostrato.
E' con questa strada di più sfruttamento che la Fiat vuole “colmare il divario competitivo – come scrive Marchionne - che ci separa dagli altri Paesi e garantire all'Italia una grande industria dell'auto e a tutti i nostri lavoratori un futuro più sicuro”.
Marchionne bleffa: il “futuro più sicuro” è solo per la Fiat, non è per gli operai. Nella stessa premessa dell'accordo Marchionna ha già scritto che gli impegni possono essere elusi a fronte di nuovi eventi nella fase di crisi; altro che futuro sicuro per gli operai! Da un giorno all'altro Marchionne può sempre dire, con la stessa “naturalità” di quando scrive nella lettera, che lui chiude Pomigliano (come Termini Imerese) e amplia in Polonia. Per il capitale per avere spazio nel mercato mondiale e battere la concorrenza, la soluzione è sempre quella di tagliare il costo del lavoro e aumentare la produttività e questo lo realizza da un lato con il peggioramento delle condizioni di lavoro e dall'altro con i licenziamenti.
“L'unica cosa che possiamo scegliere è se stare dentro o fuori dal gioco” - scrive Marchionne; Tradotto questo vuol dire: se gli operai vogliono stare nel “gioco” del capitale, vale a dire: vogliono essere supersfruttati e accettare piegando la testa una condizione di “schiavitù”, pratica ma anche ideologica (chi osa ribellarsi a questo “gioco” viene tagliato fuori, come in questi giorni sta avvenendo alla Fiat di Melfi), o vengono licenziati (Marchionne sta pensando di appaltare le assunzioni a una ditta che prenderebbe solo chi accetta l'accordo fascista).
Il “gioco” sarà per Marchionne ma non per gli operai! Il “gioco” è che la Fiat può fare quello che vuole, anche cambiare da un giorno all'altro le regole del gioco” (vedi sempre la Fiat di Melfi dove da un giorno all'altro sono stati aumentati i carichi di lavoro), gli operai devono solo farsi sfruttare.
Ma Marchionne dice che tutto questo è “normale”: “Non c'è niente di straordinario nel voler aggiornare il sistema di gestione, per adeguarlo a quello che succede a livello mondiale – continua nella lettera – Eccezionale semmai, per un'azienda, è la scelta di compiere questo sforzo in Italia rinunciando ai vantaggi sicuri che altri paesi potrebbero offrire...”. Come è buono lei...! Ma per Marchionne questa scelta non ha nulla di morale o patriottico, è sempre e solo basata su meri e bassi calcoli economici: una Fiat se perde le sue radici, il suo marchio professionale italiano, si indebolisce sul mercato mondiale.
Continuando, poi, nella linea che ciò che sta accadendo è tutto “normale”, Marchionne continua: “Non c'è niente di straordinario nell'accordo... vogliamo solo eliminare una serie interminabile di anomalie... non abbiamo intenzione di toccare nessuno dei vostri diritti, non stiamo violando alcuna legge... semmai stiamo compiendo ogni sforzo possibile per tutelare il lavoro...“.
Così ragionano i padroni: “anomalie” sono le malattie, sono gli scioperi, è la “pretesa” di riposare almeno 11 ore tra un turno e l'altro, di avere il riposo settimanale sicuro, di mangiare in orario decente, di non lavorare per 7 ore e mezza senza pausa, ecc. Questi per Marchionne non sono “diritti”, sono abusi degli operai e quindi la Fiat non starebbe violando alcuna legge, nessun Statuto dei Lavoratori, nessun diritto della persona difesi dalla Costituzione.
Ma quando si ragiona così, quando si stravolge la realtà e i padroni pretendono anche che questo stravolgimento venga accettato come “naturale” dagli operai, di più, come “tutela dei loro interessi”, vuol dire che stiamo nel fascismo padronale e non ce lo hanno ancora detto. Anche Mussolini voleva “tutelare il lavoro” per questo mandava i giovani proletari a lavorare in guerra.
Ma ciò che ha lasciato più incredulo Marchionne “...è la presunta contrapposizione tra azienda e lavoratori, tra “padroni” e operai...”
Riportiamo integralmente tutto il pezzo finale della lettera perchè in esso sta il concentrato dell'ideologia fascista di Marchionne e della Fiat:
“Quando si tratta di costruire insieme il futuro che vogliamo, non può esistere nessuna logica di contrapposizione interna. Questa è una sfida tra noi e il resto del mondo. Ed è una sfida che o si vince tutti insieme oppure tutti insieme si perde. Quello di cui ora c'è bisogno è un grande sforzo collettivo, una specie di patto sociale per condividere gli impegni, le responsabilità i sacrifici. Questo è il momento di lasciare da parte gli interessi particolari e di guardare al bene comune. Questo è il momento di ritrovare una coesione sociale che ci permetta di dare spazio a chi ha il coraggio e la voglia di fare qualcosa di buono. Sono convinto che anche voi, come me, vogliate per i nostri figli e per i nostri nipoti un futuro diverso e migliore. Oggi è una di quelle occasioni che capitano una volta nella vita e che ci offre la possibilità di realizzare questa visione. Cerchiamo di non sprecarla” - Firmato Amministratore delegato Fiat.
Firmato: Benito Mussolini dal balcone di P.zza Venezia annunciante l'entrata in guerra dell'Italia.
E' infatti ad una sorta di “guerra” che Marchionne sta chiamando. Una “guerra” in cui gli operai devono essere le truppe che vanno a dare la vita all'altare del profitto e i “bottini di guerra” se li devono intascare i padroni.
“Sfida tra noi e il resto del mondo”, “o si vince o si perde”, “sforzo collettivo”, “guardare al bene comune”, “coraggio”, “occasioni che capitano una volta nella vita”, sono frasi da “guerra” di un dittatore.
Quando Marchionne farà l'altro passaggio di proporsi come capo di un governo che va alla “guerra” per difendere l'azienda Italia?
Quello che avevamo denunciato in questi giorni ora si capisce in maniera inequivocabile: l'accordo di Pomigliano è molto ma molto di più di un accordo sindacale per la Fiat; è piegare la classe operaia, ma non solo, anche le future generazioni, anche il paese, a inginocchiarsi e fare proprio l'interesse particolare della Fiat, l'interesse privato del capitale come “bene comune”.
Marchionne scambia il buono con il male, il male degli operai è il buono per il capitale. Parla di “sforzo collettivo” ma gli unici che dovranno sforzarsi sono gli operai, per la Fiat se va male andrà a fare altrove i suoi profitti.
Marchionne osa parlare di “nostri figli”, “nostri nipoti”, lì dove i figli e nipoti degli operai tra un po' dovranno anche rinunciare al necessario per vivere e già non hanno futuro, e i figli e i nipoti dei padroni studiano nelle università degli Usa, spendono milioni di euro al mese e avendo tutto buttano soldi nelle droghe e festini; come si permette Marchionne di mettere sullo stesso piano le condizioni di vita e il futuro di vita degli operai e dei loro figli e quelle dei suoi ricchi e immorali padroni e dei loro figli?!
E' un messaggio ideologico che lancia Marchionne, appunto una “visione” della vita, che deve essere quella dei padroni, ogni altra visione è contro il “bene comune”, contro il “futuro”. Per Marchionne, e non solo, gli operai che hanno detto No sono dei “terroristi” e andrebbero “fucilati” visto che stanno mettendo in discussione il bene di un intero paese.
Questo pensa e scrive Marchionne. E tutto questo è fascismo padronale.
Ma, in conclusione, questa lettera di Marchionne rivela anche un'altra cosa: una paura della Fiat. Il calore ideologico, l'accanimento di Marchionne è anche un sintomo del terrore che hanno i padroni se veramente gli operai si ribellano e rompono il loro “gioco”.
Questa lettera testimonia, quindi, anche la forza degli operai di Pomigliano che hanno costretto il padrone a scendere dal suo silenzio dorato.
Per questo, la lettera di Marchionne non deve far intimidire e indietreggiare gli operai, ma renderli sempre più determinati nella convinzione che loro hanno ragione e la Fiat no; che a loro la realtà ha di fatto affidato anche un compito verso gli altri loro compagni di lavoro di altre fabbriche: sbarrare la strada al moderno fascismo padronale per il “bene comune” della classe operaia.
fannyhill
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