La vertenza OMSA dimostra ancora una volta che la crisi economica e finanziaria è solo un alibi per maggiori profitti da parte dei padroni.
Le operaie avevano lottato mettendo in piedi un combattivo presidio permanente davanti alla loro fabbrica per impedire il furto e lo spostamento dei macchinari in Serbia, come già deciso dal padrone del colosso Golden Lady, che pensa di essere pure un benefattore corrispondendo solo 300 euro come salario alle operaie dell'est. Una lotta che è riuscita a coinvolgere la città e interessare tutti i lavoratori. Ma che è stata fermata dal solito accordo-truffa padroni/confederali e l'esito è sotto agli occhi di tutti.
Una lotta che dimostra che se non si mette in campo l'autorganizzazione degli operai con comitati di lotta indipendenti da CGIL-CISL-UIL rimane solo il padrone a decidere.
La CISL è stata molto attiva nel convincere le operaie a smobilitare il presidio.
Il segretario della Femca Cisl, Lorenzo Zoli, dopo l'accordo-bidone aveva dichiarato al giornalista che gli chiedeva "Ma nell’accordo ci sono garanzie sufficienti per la riconversione?
"La nostra garanzia sono gli impegni presi dal Ministero in termini di risorse economiche e sono convinto che arriveranno molte offerte perché il sito è logisticamente appetibile. Si tratterà poi di valutarle in base alla rioccupabilità del personale. Inoltre, è evidente che se anche adesso smobilitiamo il presidio e tra sei mesi ci accorgiamo che le cose non stanno andando come devono, possiamo sempre tornare a manifestare. Ma intanto, l’accordo è stato sottoscritto da tutti e tre i sindacati nazionali e se non lo rispettiamo corriamo rischi che mi preoccupano".
Quali?
"L’azienda si sta comportando come se l’accordo fosse valido. Se invece da parte nostra dovesse continuare la protesta rischiamo di dare l’alibi alla proprietà per chiudere senza rispettare questi accordi. E il sindacato si prenderebbe tutte le colpe, senza distinzione tra favorevoli e contrari".
All'intimidazione del sindacalista, le operaie hanno risposto buttando le bandiere cisline nel cesso chimico, ma non hanno avuto abbastanza fiducia in loro stesse rappresentando loro, e solo loro, costituendosi in comitato di lotta dal basso, la volontà di tutte le operaie.
Il 13 luglio si è tenuto l'incontro romano al ministero dello sviluppo economico tra confederali, Rsu e i padroni dell'azienda faentina Omsa sul piano di riconversione della famiglia Grassi.
Le 350 operaie sono tornate al punto di partenza rischiando il posto di lavoro perchè l'accordo confederale aveva fissato a fine luglio la chiusura dello stabilimento, lo spostamento dei macchinari in Serbia, la riconversione industriale, il lavoro per 104 operaie e la proroga di un'altro anno di cassa integrazione.
Sui primi due punti, i padroni sono stati adempienti, nessun interesse, invece, per la sorte delle operaie. Infatti alla vigilia della chiusura ancora non c'è nessuna certezza se ci sarà la riconversione e chi se ne farà carico. Da notizie sulla stampa fatte filtrare dai padroni, si parla di una ditta del settore agroalimentare e lattiero-caseario, e, in questo caso, la CGIL prevede un'occupazione per solamente una sessantina di persone. L'altra ipotesi è quella della green economy per realizzare impianti di produzione di energie alternative. Ipotesi per tenere sotto ricatto continuo le operaie.
A sostenere la riconversione, i confederali si sono presentati al tavolo negoziale con la proposta di un aumento degli incentivi all'esodo (da 5 a 15/20 mensilità) e la continuità lavorativa per le operaie fino alla presentazione di un piano industriale e la solita preghiera alle istituzioni.
Il solito copione per consentire ai padroni di uscire da una vertenza con il massimo risultato possibile.
Questa vertenza dimostra per l'ennesima volta che non ci potranno essere avanzamenti per i lavoratori se non si ricostruisce la forza operaia in comitati unitari di lotta autorganizzati e se non si lavora per il sindacato di classe.
prolcomra
15/07/2010
Nessun commento:
Posta un commento