venerdì 16 luglio 2021

pc 16 luglio - G8 di Genova 20 anni dopo: “Non ‘mele marce’ ma un problema strutturale”. La giustizia o è proletaria o non è. Fuori i compagni dalle galere!

Sono passati esattamente 20 anni dai gravi episodi del G8 di Genova, con la violenza brutale e assassina delle forze dell’ordine sia nelle strade, sia alla scuola Diaz, sia alla caserma di Bolzaneto.

Di quella violenza di Stato, di quelle torture impunite si è alimentata da un lato l’ideologia della “polizia buona, ingannata dalle mele marce”, dall’altro l’introiezione di gran parte del movimento di  quell’ideologia più subdola, della “divisione in buoni e cattivi”. Entrambe figlie di una morale ipocrita borghese hanno spalancato le porte delle carceri a chi contestava il modo di produzione capitalistico e garantito a chi lo imponeva libertà di azione e impunità.  Quella stessa impunità e libertà di azione di continuare a delinquere in nome e per conto dello Stato invocata ora dai vari Salvini e Meloni sulla pelle dei detenuti, degli immigrati, delle donne, degli operai ribelli.

Non possiamo però dimenticare che gli esecutori di quella mattanza a Genova, i Gom (Gruppo Operativo Mobile), che rispondono direttamente al Capo del Dipartimento della Polizia Penitenziaria, furono voluti nel 1999 da Oliviero Diliberto, allora Ministro di Grazia e Giustizia del governo di centrosinistra D’Alema

e sono gli stessi che si sono resi protagonisti della mattanza al carcere di S. M. Capua Vetere e che oggi fanno le vittime perché si sentono minacciati da qualche striscione.

E forse hanno ragione, perché non sarà certo dalle aule dei tribunali borghesi che avremo giustizia. Ma “la legge per i piccoli si applica, per i grandi si interpreta” e quei tribunali noi dobbiamo espugnare anche attraverso le strade perché trionfi la giustizia proletaria.

E come al G8 di Genova devono tutti pagare, dal più piccolo al più grande.

Da genova24.it

Ventennale G8, il pm Zucca: “Non ‘mele marce’ ma un problema strutturale con cui la polizia ancora non ha ancora fatto i conti”

Per il magistrato che indagò sulla violenze alla Diaz “a Bolzaneto successe qualcosa di ancor più grave che ricorda le torture di Abu Ghraib”

di Katia Bonchi 

“Trasparenza e consapevolezza”. E’ quello che il sostituto procuratore generale Enrico Zucca chiede ai vertici della polizia di Stato “per dimostrare davvero di aver voltato pagina” a 20 anni dal G8 di Genova.

Per il magistrato che ha condotto il processo contro le violenze all’interno della scuola Diaz “diversi episodi di cronaca di questi anni vedono riproporsi lo schema dell’uso sproporzionato della forza cui segue la copertura con falsità che dimostra come il problema non siano soltanto le responsabilità individuali”.

Lo schema dell’uso sproporzionato della forza e della successiva copertura si ripropone invece come un metodo ben rodato. Per rimanere agli esempi genovesi, Zucca cita l’episodio di piazza Corvetto dove un giornalista di Repubblica è stato picchiato anche quando era a terra da 4 poliziotti del reparto mobile di Genova senza che avesse fatto assolutamente nulla e pochi secondi prima una ragazza riceve una manganellata sulla schiena, anche in quel caso senza aver fatto assolutamente nulla.

Per Zucca c’è quindi un problema “strutturale” con cui la polizia italiana non ha voluto fare i conti: “Visto che certi comportamenti rappresentano l’opposto di quello che viene insegnato ai poliziotti ai corsi o scritto nei manuali di addestramento, dovrebbe essere la stessa polizia a sanzionare chi esce dai binari del rispetto della legge, ben prima dell’ intervento della magistratura che peraltro si scontra con il conflitto di interessi di indagare sui propri collaboratori.

E quella parte della magistratura che decide di approfondire i fatti viene isolata e bollata come ideologica”.

Sono state le sentenze a dimostrare che le tesi della procura di Genova erano fondate, dalla Cassazione alla Corte europea dei diritti dell’uomo che hanno qualificato quelle violenze come tortura.

La Cedu nel 2017 ha rilevato anche l’assenza di sanzioni per i poliziotti responsabili e l’assenza di identificazione di gran parte degli stessi. Cinque anni prima, nel 2012, la Cassazione aveva condannato in via definitiva per falso 15 funzionari di polizia per aver coperto gli agenti picchiatori con false prove e false accuse nei confronti dei 93 manifestanti che vennero arrestati (79 dei quali dalla scuola Diaz uscirono feriti) e accusati di associazione a delinquere per devastazione e saccheggio, arresti non convalidati dai gip. I picchiatori sono rimasti senza nome non essendo identificabili ad eccezione dei capisquadra: i reati sono finiti prescritti ma i poliziotti sono stati ritenuti responsabili per i risarcimenti in sede civile.

Chi non uscì in barella dalla Diaz, venne portato alla caserma di Bolzaneto dove per Zucca è accaduto qualcosa di ancor più grave rispetto all’ assalto alla scuola: “C’è un filo conduttore – dice – che porta dal carcere temporaneo istituito all’interno della caserma di Bolzaneto alle immagini raccapriccianti delle torture all’interno dei centri di detenzione di Abu Ghraib”.

Per il magistrato “le tecniche dei carcerieri sono uguali anche se Genova non è uno scenario bellico ma già le forze di polizia, evidentemente così addestrate, si muovono in questo modo dimenticando codici e leggi nella peggiore tradizione delle dittature”. Il processo per le torture di Bolzaneto (così definite anche in questo caso dalla Cedu) ha visto 45 imputati tra poliziotti, carabinieri, agenti penitenziari e medici. Gran parte dei reati si sono prescritti già prima dell’appello e in Cassazione sono rimaste 7 condanne penali ma la Corte ha confermato la colpevolezza di gran parte degli imputati per gli effetti civili.

Accanto ai processi contro le forze dell’ordine il terzo principale filone giudiziario ha riguardato i 25 manifestanti accusati di devastazione e saccheggio: 15 imputati su 25 sono stati assolti fin dal primo grado perché secondo i giudici avevano reagito alla carica illegittima sul corteo delle tute bianche di via Tolemaide. Dieci sono stati invece condannati per devastazione e saccheggio con pene dai 6 ai 14 anni di carcere, pene che “non hanno paragoni nel contesto delle democrazie occidentali – ricorda Zucca – e nemmeno con la Russia di Putin che prevede un massimo di 8 anni”.

Nessun commento:

Posta un commento