mercoledì 14 luglio 2021

pc 14 luglio - Nicola D'amore - un saluto ad un operaio rivoluzionario che ci ha lasciato, ma che riempie la nostra memoria storica

Era nativo di Portici.

Figlio di ferroviere, Nicola, emigrato con la sua famiglia al Nord.

A 16 anni già in Fiat. Tempi di lotte e di conflitto. Tempi in cui gli ultimi, i dannati, gli sfruttati si organizzavano e portavano l’attacco fino al cuore del padronato e dello stato. Armi in pugno se necessario.

E allora il boom, ai capitani d’industria e ai loro tirapiedi in fabbrica, a metà dei anni ’70, lo fecero sentire loro. Brigate Rosse, Nuclei Armati Proletari, Prima Linea.

Insieme a tante altre formazioni comuniste armate.

Per Nicola, come per tante compagne e tanti compagni, fu la galera. Molta. Troppa.

Senza mai piegare il capo. Tra rivolte e dure repressioni.

Portando il carcere e le battaglie dei detenuti fuori dalle mura circondariali. Ottenendo addirittura la chiusura di un lager come l’Asinara.

Ricordando quell’esperienza, Nicola ha scritto: «Un mese dopo mi ritrovai di nuovo in viaggio dentro una macchina in borghese, per essere trasferito nei sotterranei del carcere di Chiavari.

Sette celle davanti ad un muro, in un corridoio cieco appositamente ristrutturato per noi: ho trascorso lì dentro più di sei mesi durante i quali ho ricevuto la visita di Caselli due volte. Veniva a ricordarmi che se non avessi collaborato, la sola prospettiva era quella dell’isolamento per il resto della mia vita: un trattamento di meschino terrorismo psicologico [… ]

I primi mesi di prigionia furono tremendi per me. Ero terrorizzato dal fatto che potessi parlare, che potessero mettermi qualcosa nel cibo per farmi parlare, proprio a me che nemmeno le mie generalità avevo voluto dire a Caselli.

Così buttavo la casanza, tutto quello che arrivava, mangiavo solo le bucce della frutta, bevevo l’acqua dello sciacquone con il terrore: starete immaginando che ero pazzo, ma io avevo il terrore di poter dire qualcosa che potesse arrecare danno ai miei compagni e all’organizzazione, non avrei mai potuto accettarlo.

Da un po’ di tempo, il suo cuore, quel suo cuore di combattente, gli stava creando non pochi problemi.

E l’altro giorno ha ceduto definitivamente. Sotto i colpi di una vita vissuta con la lotta.

S

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