venerdì 4 ottobre 2019

pc 4 ottobre - Altro che revisione del Decreto Sicurezza Salvini - il governo trainato in materia di immigrazione dal "nuovo Salvini"

Nella giornata in cui a Lampedusa si ricordano le stragi in mare di migranti, Di Maio: “Venerdì nuovo decreto, in quattro mesi si deciderà se una persona può restare o va rimpatriata”

Migranti, Di Maio: “Venerdì nuovo decreto, in quattro mesi si deciderà se una persona può restare o va rimpatriata”


"In maniera pacifica e democratica vi rimandiamo indietro"




“Non credo”, ha aggiunto il leader M5s, “che la soluzione sia dire ‘accogliamoli tutti‘ e per questo mi sono preso pesanti critiche. La soluzione è dire: chi può stare qui deve essere redistribuito negli altri Paesi, ma per chi non può non possiamo aspettare due anni per sapere se possono stare qui o se possono essere rimpatriati. Sui rimpatri siamo fermi all’anno zero”. Ma “domani con la firma del decreto mandiamo un messaggio: inutile che venite se non avete i requisiti per la domanda d’asilo. Perché in maniera pacifica e democratica vi rimandiamo indietro. Prima si perdeva tempo e poi la comunità internazionale ci diceva ‘non potete avviare meccanismi di rimpatrio se prima non è finita la procedura che deve dire se una persona è perseguitata o no’. A volte questo meccanismo è durato 3 anni”.Secondo il pentastellato il decreto “non va a ledere nessun diritto umano, ma è legato a procedure farraginose rispetto a Paesi, anche del Mediterraneo, con cui lavoriamo e commerciamo tutti i giorni. La redistribuzione dei migranti non può essere la soluzione definitiva – ha aggiunto – ma dobbiamo fare più accordi con democrazie che votano, con Paesi con cui abbiamo fatto accordi commerciali, ad esempio quello sull’olio tunisino. Allora se possiamo fare accordi così forti con Paesi che hanno una loro democrazia interna e una loro dignità, possiamo anche metterci d’accordo per dire: se arrivano barchini sulle nostre coste noi velocemente te li rimandiamo indietro, così lo fai una volta, due, ma alla terza non lo fai più”. Poi ha anticipato: “La settimana prossima conto di andare in Paesi come la Tunisia dove intendo parlare con il governo e dire: ‘Acceleriamo, non dobbiamo portarveli necessariamente con i charter dieci alla volta, ogni mese… così non finiremo mai più’. Invece acceleriamo e facciamo accordo più veloci, in fondo la Tunisia è di fronte all’Italia”

Il piano in preparazione - prima di tutto la Tunisia

Nei giorni successivi all’accordo il governo si è mosso subito per blindarlo a livello internazionale e tradurlo in fatti. Di Maio fa delle dichiarazioni “misteriose” della cui gravità non c’è forse consapevolezza “A giorni arriveranno delle novità epocali sui rimpatri”. Ci si prepara ad un rimpatrio di massa, che poi è una cacciata di massa, dei migranti dal nostro paese? Si aggiunge che esisterebbe un piano, l’ampliamento del numero dei porti considerati sicuri. Alludendo qui non certo ad altri porti d’approdo d’Europa – ipocrita favola nera contenuta nell’accordo di Malta – bensì nell’aumentare le pressioni, l’uso della forza economico e militare e individuare altri porti sicuri nel Mediterraneo oltre la Libia, è sotto osservazione la Tunisia; così fa parte del piano l’applicazione rigida dei Decreti sicurezza in materia di diritto d’asilo, in cui viene data all’Italia la possibilità di stabilire quali sarebbero i porti sicuri. Questo da un lato fa rientrare dalla finestra quello che si pretende di aver fatto uscire dalla porta, l’accoglienza dei migranti economici, consistente quindi nel definire paesi ‘non a rischio’ praticamente tutti i paesi della costa nord africana. Questo vuol dire applicare in maniera più rigida ciò che già hanno stabilito altri 16 Stati europei che è alla base del rifiuto di massa di questi Stati di accogliere la maggioranza dei migranti ritenuti provenienti da ‘paesi sicuri’, sicurezza da cui è esclusa la materia economica, che sappiamo tutti essere alla base della migrazione di massa. E questo si intenderebbe fare con un nuovo decreto legge.
Questa impostazione apre una nuova guerra alle Ong. Nei mesi scorsi tutte le Ong impegnate nel soccorso in mare hanno contestato le alternative di approdo all’Italia e Malta perchè considerate non sicure. In particolare, il paese sotto osservazione è la Tunisia. Inciso: noi da tempo abbiamo denunciato e anticipato questo, tanto è vero che abbiamo stretto rapporti con in compagni tunisini per un’azione comune contro l’imperialismo italiano e contro il governo tunisino che attraverso le convulsioni della sua classe dominante sta scivolando progressivamente in un atteggiamento ultra servile verso l’imperialismo, e ora verso l’imperialismo italiano. 2 giorni fa Di Maio incontra il suo omologo tunisino e cerca di spingere avanti questo rapporto, promettendo di assicurare investimenti da molti zero sul territorio in cambio del fatto la Tunisia consideri in suoi porti i famosi “porti sicuri” dove ricacciare e spingere i migranti, contrastando con la forza la stessa posizione delle navi Ong. La Tunisia è il primo e principale paese verso cui è indirizzata questa azione, ma sotto la coperta della presenza all’Onu di questi giorni Conte ha incontrato per le stesse ragioni Al Sise, proprio nel momento in cui il dittatore boia è alle prese con una nuova fase della rivolta interna. A questa attività già in corso seguirà analoga attività verso Algeria, Mali e Cista D’Avorio.
Qui, non è tanto in campo il problema dei ‘porti sicuri’ ma quello del blocco delle partenze.
Il primo passo operativo, però, è quello della Tunisia e Il Messaggero nel suo articolo del 25 settembre chiarisce che qui il bersaglio dell’azione del governo sono le Ong che si sono riofiutate finora di far sbarcare lì i migranti. La pressione sulla Tunisia accentua il carattere imperialista dell’azione dell’Italia perché la Tunisia è un paese dove manca una legge che consenta di presentare una richiesta di protezione umanitaria. Questo vuol dire che la Tunisia nelle condizioni attuali non può, se accetta il piano italiano, che aprire centri di detenzione.

Saul fronte dei paesi sicuri l’accordo di Malta rischia di essere il cavallo di Troia non tanto di omologazione, di coinvolgimento degli altri paesi europei nella trattazione del problema ma quanto dell’omologazione di alcuni aspetti della legislazione a norme peggiori di quelle che l’Italia ha oggi. Ad esempio, alcuni paesi europei considerano non solo la Tunisia, ma anche la Nigeria, l’Eritrea, il Sudan paesi sicuri per i quali non viene accettata alcuna richiesta d’asilo.
La linea Conte/Di Maio va inevitabilmente in questa direzione, di allargamento dei paesi da cui non si può accogliere la richiesta d’asilo. L’articolo de Il Messaggero non esita a spiegare chiaramente che proprio questa è la linea scelta dall’Italia, vale a dire: rendere più difficile di quanto siano le leggi odierne già esistenti, l’ottenimento di una protezione internazionale e dello status di rifugiati.
Scrive il giornale: “In termini pratici vorrà dire potere escludere dall’ottenimento di una protezione tutti coloro che hanno provenienze certe e non a rischio guerre o persecuzioni; e quindi velocizzare di molto i tempi per il rimpatrio”. Si aggiunge: “La legge 132/2018 modifica anche le procedure di frontiera, e il risultato più probabile è che le domande di protezione internazionale vengano esaminate in via prioritaria direttamente nei luoghi di sbarco e di ingresso nei territori. L’esame della richiesta sarà prioritario e accelerato. Ricevuti i documenti le commissioni territoriali avranno 5 giorni di tempo per la decisione. Questa procedura – dice lo stesso giornale – comporterà l’impossibilità di dimostrare di non appartenere ad un paese di origine sicura”.

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