giovedì 3 ottobre 2019

pc 3 ottobre - FORMAZIONE OPERAIA - GLI OPERAI E IL PROFESSORE

Riportiamo l'interessante incontro che vi è stato a Bergamo tra operai della Dalmine, altre fabbriche e della logistica con il prof. Di Marco, in cui vi sono state domande dei lavoratori che hanno fatto la formazione, e che esprimono i pensieri, dubbi, difficoltà di tanti lavoratori, e le risposte del professore marxista.


D - Perchè di queste cose che ho letto nei testi non se ne parla nei mass media, nei social, chi sostiene di essere di sinistra perché non ne parla?
R - Sinistra oggi è una parola che significa tutto ormai. Anche in “Le lotte di classe in Francia” avete visto che dietro alla “sinistra” ci stavano dai proletari che avevano fatto la rivolta del giugno 1848 fino ai socialdemocratici. In fondo “sinistra” prende vari settori dalla piccola borghesia.
Secondo me su una cosa forse è necessario chiarirsi: dove stanno i proletari? Qui si fa una confusione (ma ci si può riferire a tutte le classi) tra proletari come situazione determinata di classe e comunisti, che sono due cose diverse. Se sei proletario non sei immediatamente comunista. Proletario è chiunque produce plusvalore, può votare anche Salvini. Comunista è colui ha una visione complessiva di tutto quanto il movimento. E in questo, lo dicono Marx ed Engels nel Manifesto, si distinguono i comunisti dai proletari, perché in ogni lotta fanno valere gli interessi internazionali, gli interessi generali, e inoltre si distinguono dai proletari perché hanno una visione complessiva di tutto il processo.
Tutto ciò cosa significa? Significa che posto che una cosa è la condizione oggettiva di classe, un’altra cosa è la coscienza della situazione e dell’antagonismo, allora le modalità della coscienza sono diverse. Tu puoi fare riferimento al proletariato e non avere la consapevolezza che i disagi dei proletari possono essere superati solo abbattendo il capitalismo e creando una diversa forma di società.perchè le idee dominanti sono quelle della classe dominante.
I mass media, le televisione, ecc. seguono la legge della domanda e dell’offerta. Se la condizione e la lotta della classe operaia richiamasse ascolto ti chiamerebbero pure a parlare. A scuola sui libri si arrivava all’900.

D - Perchè gli operai devono studiare la teoria rivoluzionaria?
R - Appartenere ad una classe non significa necessariamente avere la coscienza che è necessario l’abbattimento del modo di produzione capitalistico. Lenin nel ‘che fare’ capiva molto bene l’importanza della teoria. Diceva, il singolo operaio, studente, contadino, professore, tutti  singoli
lavoratori oppressi, esprimono un disagio, non serve il teorico marxista per dire lotta, chiaro che lotta, ma attribuisce la causa del suo disagio al singolo padrone della fabbrica dove sta, ai padroni dello stesso settore, al ministro, da solo non può arrivare a concepire che questo disagio dipende dall’organizzazione complessiva della società perché è organizzata capitalisticamente.
Per fare questo devi avere una scienza, una teoria. E dedicare del tempo per studiare. Perchè studiare? Perché la scienza non si ferma all’apparenza. Se ti fermi all’apparenza è il sole che sembra girare intorno alla terra, invece è il contrario. La stessa cosa per la scienza. Se tu ti avvicini alla cosa dal punto di vista religioso, quella è la fede, non la scienza. Perché le religioni, le superstizioni, le ideologie, nascono dal riflettere la situazione immediata.
Il capitalismo con le sue contraddizioni, le sue macchine, il progresso scientifico genera le condizioni per poter cambiare la realtà, ma non è il capitalismo che può generare la coscienza della necessità di cambiare. Questa non si genera spontaneamente. Il capitalismo ti potrà generare la contraddizione, perché più accumula ricchezza, più accumula miseria. Ma questo anche il papa te lo dice. Te lo dice Salvini, Di Maio. Il 99% dell’umanità riconosce questo punto. Quello che però non conosce è la necessità di una rivoluzione che abbatta il modo di produzione capitalistico, se no non abbatte la causa ultima.
La scienza va studiata, e serve tempo, un tempo che per determinate condizioni note, la classe operaia non ha e quindi sembra che da essa non possano venire fuori persone che possono avere tempo per fare questo. Questo è un problema grosso, anche se alcune contraddizioni diventano sempre più trasparenti, ma va impugnato e data una soluzione.

D – Nelle università, persone che dedicano tempo allo studio di questa scienza ci sono? O anche lì rimane chiuso…? E soprattutto come si producono le idee? Che funzione ha la scuola per il capitale?
R - Non si studia proprio... La borghesia, accanto ai mezzi materiali, di sussistenza, che vengono prodotti dai lavoratori, produce anche i mezzi intellettuali. Ciò è il modo in cui gli uomini si rappresentano le relazioni.
Gli uomini cominciarono a distinguersi dagli animali perché dovettero cominciare a produrre i mezzi di sussistenza. L’animale non li produce. Il castoro, la formica si vanno a pigliare i pezzi, ma non lavorano socialmente. Invece la produzione è un atto sociale. Perché l’uomo dal momento in cui si evolve dalla scimmia, scende dagli alberi, gira. L’animale ha il suo habitat. Il leone al polo nord muore. Invece l’uomo che è roaming, se va al polo deve farsi il condizionatore. Così come ha bisogno di costruirsi dei mezzi di sussistenza. Questi mezzi li deve fare socialmente, perché ogni bisogno soddisfatto, ogni modo e ogni mezzo per soddisfare i bisogni, genera un bisogno di un nuovo mezzo e un nuovo modo per soddisfarlo. Cioè c’è questa crescita esponenziale. Invece il castoro ripete sempre la stessa cosa. I bisogni aumentano esponenzialmente. Il telefonino es. Gli uomini prima agiscono poi si rappresentano nella mente quello che fanno, perché fanno ma non sanno. Sanno dopo quello che hanno fatto. Marx fa questo ragionamento. Un ragno non fa un’operazione non molto diversa da un tessitore, un ape metterebbe in imbarazzo i migliori architetti. Ma ciò che distingue il peggior architetto dalla migliore ape, che prima di farla la celletta se la deve rappresentare nella testa. La produzione delle idee è una cosa importante.
Gli individui sono sociali, quando parlo di idee parlo di un intero gruppo di uomini che produce indipendentemente da come se le rappresentano i singoli individui.
Individualmente uno si concentra su di un punto e non si pone il problema di tutta la connessione.
Ma tutta quanta la connessione chi la tira fuori? L’azione collettiva di tanti individui. Le classi sono queste. Agiamo secondo quella che è stata la nostra formazione, la nostra storia personale.
Attraverso i limiti, errori personali si produce una coscienza collettiva e si produce alle spalle degli individui. Gli individui fanno ma le conseguenze avvengono alle loro spalle. Ecco perché non è trasparente. Perché fino ad adesso, gli individui e le loro condizioni di sussistenza, mezzi di produzione,  sono stati separati. Una società comunista è proprio una società che permette a tutti gli individui di avere sotto di se le proprie condizioni di esistenza, di esser trasparenti.
Il problema allora dove è? Accanto ai mezzi materiali quindi, mezzi di sussistenza, cibo mezzi di produzione, macchine ecc, gli uomini devono produrre anche le idee. Ma il modo di come si rappresentano collettivamente le loro condizioni di vita in quanto classe, questo processo non può avvenire in maniera cosciente, solo attraverso tante azioni individuali si fa una verità collettiva. Che è la verità di quell’epoca, che è la verità della classe dominante.
Se io ti dico che per produrre macchine o panini, accanto alle macchine e ai panini vengono anche riprodotti i rapporti sociali capitalistici, il lavoratore dice questo è ovvio lo vedo in fabbrica il rapporto sociale capitalistico. Avviene così anche per la produzione intellettuale. Perché le idee non cadono dal cielo, le devi produrre. Come computer o panini li produci in fabbrica, scuola, università, chiesa mass media… sono le “fabbriche” dove si fabbricano queste rappresentazioni. È chiaro che come nella fabbrica nel magazzino della logistica, nel trasporto accanto ai prodotti si riproducono i rapporti sociali capitalistici, anche a livello della produzione delle idee, del sapere, la produzione delle idee assume la forma sociale che di volta in volta è quella dominante. Quindi anche la produzione di idee assume la forma della classe che in quel momento domina. Perché i mezzi di produzione di quelle idee stanno in mano alla classe dominante. Se la scuola è in mano alla classe dominante la forma sarà ad immagine della classe dominante. Hanno ristrutturato la scuola. È la ristrutturazione dell’industria della conoscenza.
Restano chiuse le idee nelle università? No. Ci stanno molti corsi, ma in funzione della produzione. Un tempo c’erano corsi differenti, come storia delle idee, dove entrava anche il marxismo.
Oggi nella scuola con il sistema dei crediti (i voti sono sempre meno importanti) ci stiamo avvicinando alla forma di produzione capitalistica. Il capitale domina non perché è ‘cattivo’ ma perché altrimenti non si potrebbe riprodurre. Per produrre le merci deve avere i mezzi di produzione. Come le scuole. I crediti, fanno pensare al sistema creditizio, del sistema capitalistico, che è più di mercificazione è proprio il sistema creditizio. Si simula che lo studente, nel momento in cui paga le tasse, fa una specie di contratto con la scuola dove si suppone che la scuola abbia un debito formativo e lui abbia un credito formativo. Il sistema creditizio è il sistema delle banche. Per poterti laureare devi accumulare una quantità determinata, 160, crediti formativi e l’università che è in debito te li da. Una fabbrica vera e propria. Come si misura il credito? Io insegnavo filosofia della storia, un esame da 6 crediti. Come si misura? In base al tempo di lavoro medio che è necessario per produrre questo determinato esame. Io devo fare un programma in modo che 6 crediti debbano essere equivalenti a 30 ore di lezione frontale e un’ora e mezza di studio a casa per ogni ora frontale. Quindi 75 ore medie. Io insegno e tu studente segui un programma che comprende 30 ore, e mediamente 45 ore a casa tu hai i 6 crediti. La stessa teoria del valore. Il capitalismo è diventato fabbrica di tutto, nella sanità la stessa cosa. Professore-studente è lo stesso rapporto che c’è tra venditore e consumatore.
Andiamo a vedere adesso come stanno le cose a forza lavoro, cioè il professore. Un tempo funzionava così: era privilegiato, stava bene, scriveva i suoi libri, con i suoi tempi, tenevi un maestro che ti cresceva, attraverso meccanismi accademici ti faceva vincere i concorsi, dopo di che tu avevi degli allievi a cui insegnavi il mestiere. E questi allievi entravano in concorrenza. Questo sistema in essere fino agli anni ‘80, è un antico retaggio e assomiglia molto al sistema artigianale, della bottega con il mastro che insegna ai garzoni. Invece per la teoria del plusvalore c’è bisogno di un numero maggiore che lavora sotto il capitalista e per il capitalista. Posta la giornata lavorativa divisa in due parti, tempo di lavoro necessario in cui il lavoratore riproduce l’equivalente dei suoi mezzi di sussistenza, diciamo l’equivalente del salario, tempo di lavoro supplementare in cui il lavoratore produce gratis e crea così il plus prodotto che da un plusvalore, poichè per il capitalista il problema è il plusvalore più grande possibile, l’ideale del capitale sarebbe far durare la giornata lavorativa 24 ore. Il limite per la forza lavoro è quello di rigenerare, reintegrare se stessa. Allora si passa alla produzione del plusvalore relativo, indipendentemente dal fatto che si prolunghi il tempo di lavoro supplementare assoluto, si agisce sulla parte di tempo di lavoro necessaria con dei metodi che ti possono aumentare la produttività, produrre di più in meno tempo, e allora li il capitale deve ricorrere alla cooperazione, organizzare in maniera pianificata nella fabbrica il lavoro collettivo specialmente quando è eseguito su larga scala, e introdurre strumenti di produzione, macchine, che permettano di produrre di più in meno tempo. La giornata di lavoro della seconda parte, quella supplementare, è stata allungata riducendo il tempo di lavoro necessario. Allora devi cambiare la natura stessa del processo lavorativo ed è li che arriva l’innovazione tecnica.
La stessa cosa è avvenuta con la riforma dell’università. Nel 2008 ci fu la crisi, e ci furono tutta una serie di lotte degli studenti, l’Onda. La riforma Gelmini che cosa istituì? Un metodo che per aumentare il plusvalore relativo cambia da cima a fondo il processo lavorativo. Mentre tu prima eri il maestro nella bottega artigiana che scrivevi il tuo libro artisticamente, poi lo devi fare ‘in serie’.
La stessa cosa avviene oggi per la produzione delle cose intellettuali. Il professore viene sottoposto a sistemi di valutazione, e ogni x anni devi mettere i prodotti della tua ricerca, che vengono finanziati in legame con la produttività. Bisogna calcolare il prodotto complessivo dell’università a cui appartieni (come un’azienda) lo devi calcolare in base alle cosiddette ore uomo. Tante ore ottenute scomponendo tutti quanti i prodotti della ricerca ai tanti finanziamenti. Se non metti tanti prodotti della ricerca in rete, il rettore viene come il padrone: “perdiamo i finanziamenti... vince l’altra università...”, e tu sei tagliato fuori. Gli studi hanno assunto una dimensione molto tecnica, di scienza applicata. Mentre prima facevi le grandi teorie, adesso per produrre devi fare solo l’applicazione. Devi fare scienza applicata. Come il lavoro dell’ingegnere che ti deve solo risolvere un problema tecnico.
Il capitale nella forma più pura sta creando una omogeneità di proletariato. Più c’è questa caduta di coscienza, più il capitale sta realizzando questa sua tendenza. Come Marx l’aveva descritta nei lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica, con lo sviluppo della grande industria la prima forza produttiva diventa il sapere, le macchine senza sapere non le costruisci. L’uso della scienza. Anche la combinazione delle attività umane e l’organizzazione delle relazioni umane, cioè l’organizzazione del lavoro, le funzioni di direzione… tutta scienza che si applica alla produzione.

D – Vorrei che approfondissi la questione del plusvalore. Perchè la macchina non lo produce e l'operaio sì?
R - Una macchina non può produrre plusvalore, perché trasferisce nel prezzo il tempo di lavoro che è costata la sua produzione. Se ho un capitale investito di 100, 60 di fusi, 20 di cotone, 20 di forza lavoro, quindi di salario, il plusvalore poniamo di 20 non viene da tutto il capitale da 100 viene da quei 20 di salario di operai che hanno lavorato di più. Nel prezzo ci va, 60 di fusi, 20 di cotone 20 di salario 20 di plusvalore, che se li incassa il capitalista, ma sono solo quei 20 che hanno prodotto plusvalore, non i fusi che invece trasferiscono il loro valore tale e quale. É lavoro morto, già passato. È il neo lavoro che lo vivifica. Se la parte costante, in particolare la parte fissa del capitale aumenta, aumenta la parte di lavoro morto; la proporzione tra la quantità di lavoro morto che c’è nel prezzo e la quantità di lavoro vivente che è stato oggettivato diventa sempre più crescente. Il saggio del profitto cala. Il capitale si trova in contraddizione con se stesso: il rapporto tra numero di lavoratori richiesti e quantità complessiva del capitale va a diminuire rispetto agli operai e va ad aumentare rispetto al capitale fisso. Non che diminuisce in assoluto, più mezzi di produzione vogliono più lavoro, e se i bisogni aumentano la massa di lavoro aumenta. Ma se tu consideri invece la velocità in cui aumenta la parte costante del capitale e la velocità in cui aumenta la forza lavoro, questo rapporto è una velocità decrescente. Anche se aumenta la massa di lavoro una parte dei lavoratori deve essere messa sul lastrico. Questa massa di popolazione messa sul lastrico, l’ha creata il capitale stesso in conseguenza dello sviluppo della sua accumulazione, ma ha una funzione importantissima per il capitale perché è come la panchina, che sta in riserva per i momenti di espansione o contrazione.
Può aumentare il salario degli occupati aumentandone i ritmi di lavoro. Può aumentare il numero di operai senza aumentare il salario, sostituendo una forza lavoro maggiore con una minore, un uomo con una donna, una donna con tre bambini, uno yankee con tre cinesi (ecco l’immigrazione), e quindi ci sono queste possibilità, ma l’importante che sia tenuta questa divaricazione sotto il comando del capitale perché questa forza lavoro deve essere a disposizione del capitale.
La creazione di questa popolazione eccedente è importantissima. Poichè in assoluto più macchine più bisogni vogliono più massa di lavoro, il capitale, creando questa sovrappopolazione tiene la possibilità di rendere indipendente la massa di lavoro dalla massa dei lavoratori. Allora può aumentare l’offerta di lavoro senza aumentare l’offerta di operai. Come lo può fare? Avendo una massa di lavoratori di riserva che fa pressione sulla massa occupata perché spremano più lavoro senza per questo aumentare gli operai. Questo è il punto. Questa popolazione eccedete è fondamentale per il capitale. Il capitale la prima forza in qualche modo rivoluzionaria della storia dice Marx, si rende indipendente dai movimenti naturali della popolazione.
Quindi più aumenta l’accumulazione la ricchezza, più aumenta la miseria. Per una legge necessaria del capitale. Questa miseria non è una povertà naturale, è una povertà necessaria per il capitale. Per Marx il disoccupato è un operaio a tutti gli effetti, lo chiama operaio non comandato rispetto all’occupato temporaneo e all’operaio comandato. Oppure l’operaio occupato si chiama esercito industriale attivo, quell’altro di riserva. Non comandato che però sta li. Marx dice, costretto ad un ozio forzoso. Costretto, come il lavoratore che deve aumentare l’orario di lavoro perché altrimenti viene gettato sul lastrico.
Il capitale sta realizzando la sua legge in maniera precisa, compito di noi comunisti è di conoscere queste leggi. Il comunismo diventa ad un certo punto una necessità storica, non un fatto di giustizia. È una necessità economica perché solo così puoi risolvere il problema della ricchezza e della miseria.

D – Come nasce il capitalismo?
R - Gli uomini hanno vissuto per 17.000 anni nelle tribù, in proprietà pubblica. Quando passarono alla pesca e all’allevamento del bestiame quella forma di produzione non era più sufficiente perché erano aumentati i bisogni. Gli uomini cominciano a fare altri uomini. Dentro la tribù i bisogni erano aumentati, la conduzione era matriarcale. Questo rapporto sociale perché madre certa, assicurava l’ereditarietà cioè la conservazione della ricchezza. Ad un certo punto non potè più reggere per due motivi, primo perché l’allevamento e la pesca richiedevano un lavoro combinato su scala più larga e  quindi avevano moltiplicato i bisogni, e quindi si scoprì per la prima volta che era poco economico quella forma di nutrimento che gli uomini portavano da millenni, l’antropofagia. Per tanto tempo considerata legittima e morale, in questo modo venivano risparmiati ai vecchi i dolori della vecchiaia. Quanto però dovette aumentare la massa di lavoro e furono scoperti mezzi di sussistenza più lavorabili, più vantaggiosi, allora fu scoperto che invece di mangiare altri uomini, con un panino che mangi sei in grado di lavorare per un tempo di lavoro maggiore del necessario. Il pluslavoro viene scoperto molto molto tempo prima. E quindi si passa alla schiavitù. Che nasce da questo, dalla scoperta del pluslavoro, tu invece di mangiare un altro uomo lo metti in schiavitù, lo nutri e quello ti produce più di quanto ti basta per riprodursi. Solo che quello che produceva andava per il nutrimento del padrone, solo l’eccedenza veniva scambiata. Non come il capitale che accumula per vendere.
Vediamo come nasce il capitalismo. Con la vecchia società che ha generato le condizioni della nuova, c’erano piccoli contadini e piccoli artigiani. Il contadino aveva la sua terra, l’artigiano la sua bottega, il suo strumento di produzione. Però dove ha i suoi limiti questo modo di produzione? Che presuppone strumenti di produzione dispersi, non concentrati. Esclude la divisione del lavoro, esclude i processi produttivi più complessi, esclude un disciplinamento razionale della natura. Per Marx perpetuare questo modo significava perpetuare la mediocrità generale. Quella forma di produzione per esigenze che erano nate al suo interno non bastava più. Doveva finire e fini. Attraverso l’espropriazione dei piccoli contadini e degli artigiani. Con il risultato di una concentrazione dei mezzi di produzione in poche mani. Mentre all’altro capo ci stavano i proletari senza mezzi di produzione liberi di vendere la loro forza lavoro. E così che nasce il capitalismo. Generato dall’interno, una specie evolutiva.

D – Ma come è possibile abbattere il capitalismo?
R - Il capitalismo lo devi abbattere sulla base delle condizioni che esso stesso ha creato. Ecco perché la scienza. La teoria scientifica studia le condizioni e quindi la necessità dell’abbattimento, se ci sono le condizioni. Un processo rivoluzionario si avvia nel paese più avanzato perchè deve avere i mezzi di produzione per poterlo fare. Ma allora non si può avviare altrove? Certo dice Marx nella misura in cui fa da segnale, deve arrivare comunque nel punto più avanzato.
Una volta che il capitalismo si mise a crescere sulle sue basi ci fu un’ulteriore espropriazione. Questa volta non furono contadini e piccoli artigiani, ma molti capitalisti che sfruttano molti lavoratori furono espropriati da pochi capitalisti. A questo punto un’enorme centralizzazione dei mezzi di produzione, ti permette di avere un mercato mondiale. Via via che il capitale si concentra, non può essere lui stesso che dirige. E fa ciò che era noto al modo di produzione schiavistico: prendere uno schiavo, farlo semilibero, farlo sposare con una schiava e lo metti a dirigere. Allo stesso modo fa il capitalista. Prende dei salariati particolari e diventano i corrispettivi dei sottufficiali e ufficiali.
Viene poi separata la proprietà dalla funzione del capitale. Il massimo della separazione è la società per azioni, dove azionisti anonimi hanno in mano la proprietà e poi c'è l’amministratore delegato nominato dagli azionisti.
Con l’aumento della ricchezza aumenta la massa della miseria e il plusvalore prodotto non si può realizzare nel prezzo. Perché il capitale ha questo tipo di contraddizione, proprio per una legge interna che genera la contraddizione. Dove è il problema? Che il capitale ha di mira il profitto perché deve accumulare per potere riprodursi. Ma se non consumi la produzione non può ripartire. Perciò il capitale si trova in questa condizione di divaricazione assoluta, da un lato la produzione per la produzione, dall’altra il consumo per il consumo. Che fanno schizzare in avanti le contraddizioni e non può tenere in eterno. Tu produci tanto quanto è sviluppata la forza produttiva della società, invece il consumo ha un’altra logica nella capacità di consumo della società. Ma questa dipende da come sono distribuiti i mezzi di produzione. Se sono distribuiti inegualmente col cavolo che consumi. Per cui rimarrebbe sempre la contraddizione tra le condizioni in cui il plusvalore è prodotto e quelle in cui è consumato. Produzione e consumo vanno per i fatti propri. Se sono così separati bisogni e consumi il capitale non sa quali sono i bisogni lontani. Pensate allo spreco di pubblicità, perché c’è questa divaricazione.
Queste sono le condizioni, contraddizioni frutto dello stesso capitalismo. Ma il capitalismo non finisce per “morte naturale”, per abbatterlo occorre l'azione soggettiva.

D – Allora parliamo di questo aspetto
R - Una nuova società non sorge se in quella vecchia non si sono create tutte le condizioni perché possa sorgere. Allora che fai, aspetti le condizioni? Evidentemente no perché le condizioni non scendono dal cielo, sono state modificate dagli uomini e si modificano. Come dicevamo prima anche attraverso una serie di errori.
Le condizioni sono il punto di partenza. Diceva Marx nella terza tesi su Feuerbach, il materialismo dice che l’individuo è condizionato dalle condizioni per cui se tu fai una determinata azione è perché ci stanno le condizioni; ma - continua Marx - in questo modo ci si dimentica che le condizioni sono fatte dagli uomini e che quindi anche l’educatore deve essere educato. Trovarsi le condizioni e modificarsi non significa che domani fai la rivoluzione, ma che questo diventa il tuo atteggiamento naturale. Modificare le condizioni. Quando avviene la rivoluzione? Quando l’umanità ha sviluppato tutte quante le condizioni necessarie per poterla fare, ma le condizioni le creano gli uomini stessi. Chi è il soggetto? È l’intera umanità che sta lavorando per crearsi le condizioni per realizzarsi nella sua pienezza.
Gli uomini una determinata generazione, le condizioni se le trova e le trasforma. Il punto è. Quando si passa dal capitalismo a una società comunista? Gli uomini prima fanno poi lo rappresentano. Il problema è la corretta lettura delle condizioni presenti. Scoprire e spiegare agli altri, anche nella lotta più immediata, la contraddizione fondamentale del capitale e del lavoro salariato. E che questa condizione può risolversi solamente attraverso il superamento del capitalismo.
Ne “Le lotte di classe in Francia” Marx fa continuamente questo lavoro ma per concludere che gli operai nel '48 non erano maturi, perché in Francia lavoravano su contraddizioni secondarie e potevano tuttalpiù abbattere la borghesia finanziaria ma non potevano abbattere il capitalismo industriale perché in Francia era poco sviluppato. Il problema è vedere oggi a quali livelli di sviluppo sono i diversi capitalisti, come si evolvono le contraddizioni, e quindi quale è la condizione più avanzata in cui si ipotizza possa scoppiare un processo rivoluzionario. Ai tempi di Marx era l’Inghilterra.
Il processo di maturazione della coscienza di classe, esiste soltanto nel fatto che devi portare alla luce quello che il mondo sa, potenzialmente. Che lo si ridesti dai sogni su se stesso, che gli si spieghino le sue azioni. Tutto il nostro fare non può consistere in altra cosa. Riforma della coscienza non mediante dogmi ma riforma della coscienza oscura a se stessa.
La dottrina materialistica della modificazione delle circostanze dell’educazione, dimentica che le circostanze sono modificate dagli uomini e che l’educatore stesso deve essere educato. Quindi la vecchia dottrina è costretta a separare la società in due parti delle quali l’una è sollevata al di sopra della società. Invece il capitalismo con questa sua mobilizzazione totale te lo fa nella forma sbagliata della formazione permanente che però siccome funziona per creare profitto diventa qualcosa di mostruoso.
Nella società socialista vengono formati i formatori continuamente perché deve essere superata la divisione del lavoro, tra lavoro manuale e intellettuale. Mentre nel capitalismo ciascuno è messo in tutta la vita in quel ruolo; nella società comunista non fai eternamente l’architetto o il carrettiere che è una discriminazione tra lavoratori, ti cerchi il lavoro di cui la società a bisogno. Se io ho una formazione multilaterale, vuol dire che se in quel momento non è richiesto l'architetto lavoro come carrettiere. Tutti hanno la stessa opportunità. Vi è l’obbligo all’istruzione permanente perché i mezzi di produzione sono in mano a tutta quanta la società, se tutta quanta la società lavora, perché c’è l’obbligo al lavoro se no non mangi, tutti guadagnano più tempo disponibile, nel tempo disponibile ognuno si specializza nell’attività che preferisce.
Nella società socialista non scompare il pluslavoro, al di sopra di quello che basterebbe per riprodurre i mezzi di sussistenza, solo che questo pluslavoro serve per creare il fondo di riserva di accumulazione di tutta la società, per le scuole, gli ospedali.
Ognuno lavora il tempo necessario per avere i mezzi di sussistenza che vuole. Se non lavori non puoi avere i mezzi di sussistenza. Nessuno si può impadronire del lavoro altrui. Nessuno può scaricare sugli altri la necessità naturale del lavoro.

D – Fare la rivoluzione oggi sembra difficile, ma è necessaria
R - Con lo sviluppo dell’industria il proletariato non cresce soltanto di numero esso si addensa in grandi masse la sua forza va crescendo e con la sua forza la coscienza di essa. Gli operai cominciano a formare coalizioni contro i borghesi riunendosi per difendere il loro salario. E si contano persino associazioni permanenti per approvvigionarsi per le sollevazioni, qua e la la lotta diventa sommossa. Di tanto in tanto gli operai vincono ma solo in modo effimero. Il vero risultato delle loro lotte non è il successo immediato ma l’unione sempre più estesa degli operai.
Essa è agevolata dai crescenti mezzi di comunicazione che sono generati dalla grande industria e che collegano tra di loro operai di diverse località. Basta questo semplice collegamento per concentrare le molte lotte locali avente l’egual carattere in una lotta di classe.
I comunisti si distinguono dagli altri partiti proletari solamente per il fatto che da un lato nelle lotte nazionali essi mettono in rilievo e fanno valere quegli interessi comuni dell’intero proletariato che sono indipendenti dalla nazionalità. Dall’altro lato per il fatto che nei vari stadi dello sviluppo che la lotta tra proletariato e borghesia va attraversando rappresentano sempre gli interessi del movimento comunista. In pratica i comunisti sono la parte più risoluta dei partiti operai dei vari paesi, quella che sempre spinge avanti. Hanno un vantaggio sul proletariato perché conoscono le condizioni l’andamento i risultati generali dei movimenti proletari.
Quando sarà la rivoluzione? Appena l’umanità avrà sviluppato le forze produttive sarà il momento di entrare in rapporti inconciliabili con i rapporti sociali. Oggi si tratta di analizzare quali sono i punti dello sviluppo capitalistico dove i rapporti sociali e forze produttive stanno nel massimo conflitto. Che non significa che c’è la rivoluzione. Anzi, dice Marx, ne “Le lotte di classe in Francia” nella società ci sono tutta una serie di compensazioni. Mica la rivoluzione la facciamo in due. È l’intera società che sta facendo questo processo di auto emancipazione. Di cui tutti sono un anello e quello che fanno non è quello che pensano di fare. Il lavoro scientifico è andare oltre l’apparenza.

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