È già Engels, nel 1884, ad accorgersi
dei cambiamenti profondi nel sistema capitalistico. Proprio perché si trattava
dei primi segnali (che un po’ più in là porteranno alla Prima Guerra Mondiale) Engels
esprime il suo concetto in una nota e con il condizionale, come si dice adesso.
Ai nostri giorni gli economisti borghesi chiamano questo fenomeno “stagnazione
secolare”!
Ecco il pezzo di Engels che sottolineiamo
in alcune parti:
“Ed ora vediamo un poco l’ingenuità
con cui Rodbertus vuole sopprimere le crisi industriali e commerciali,
attraverso la sua utopia. [Questo riguarda tutti gli economisti, i borghesi, i “riformisti” e populisti di ogni sorta, ndr]. Non appena la produzione delle merci ha assunto le
proporzioni del mercato mondiale, l’equilibrio fra i produttori singoli che
producono in base a un calcolo privato e il mercato per il quale essi producono
(e di cui ignorano più o meno il fabbisogno sia in quantità che in qualità) si
stabilisce attraverso un cataclisma del mercato mondiale, una crisi
commerciale.”
Su questa affermazione Engels aggiunge
una nota e dice: “Per lo meno fino a poco tempo fa avveniva così. Da quando
il monopolio inglese del mercato mondiale viene spezzato sempre
più dalla partecipazione al commercio mondiale della Francia, della Germania e,
soprattutto, dell’America, sembra affermarsi una nuova forma di equilibrio. [In
maniera semplificata possiamo dire che oggi è soprattutto la Cina, oltre a
diversi paesi imperialisti, che hanno spezzato il monopolio essenzialmente
degli Stati Uniti!]. Il periodo di generale prosperità che precede la crisi,
ancora non si fa vedere. Se non venisse affatto, la situazione normale
dell’industria moderna dovrebbe essere una stagnazione cronica con lievi
oscillazioni soltanto.”
Dalla Prefazione del 23 ottobre
1884 alla “Miseria della filosofia” di Marx
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Usa, torna l’allarme sui prestiti a leva (che balzano a 1.400
miliardi). Crescono i finanziamenti a società già iper indebitate
e poi negoziati sul mercato come fossero bond:
forte esposizione dei fondi a caccia di rendimenti
miliardi). Crescono i finanziamenti a società già iper indebitate
e poi negoziati sul mercato come fossero bond:
forte esposizione dei fondi a caccia di rendimenti
di Morya Longo
Sul mercato cresce un certo senso
di déjà-vu.
assomiglia tanto a quello dei vecchi mutui subprime dai quali partì la crisi del 2008. Si tratta del mercato dei leveraged loans, cioè dei prestiti “a leva” erogati a società già super-indebitate e poi negoziati sul mercato quasi come bond. Il senso di inquietudine nasce perché sono prestiti molto rischiosi, come i mutui subprime di allora. Perché il loro mercato ha dimensioni simili a quelle raggiunte dai mutui nel 2007. E perché anche questi vengono cartolarizzati in grandi quantità e “impacchettati” in veicoli che assomigliano tanto ai Cdo di allora. In questo caso si chiamano Clo (collaterlized loan obligations), ma la sostanza è molto simile.
Siamo dunque di fronte ai mutui
subprime 2.0? Possono essere questi strumenti i cavalli di Troia della prossima
crisi? La Banca dei Regolamenti internazionali (Bri) ha provato a dare qualche
risposta, in un paper che cerca di capire le analogie e le differenze tra i
mutui subprime e i leveraged loans. E ovviamente i rischi. La conclusione è
mista. Da un lato, nonostante le similitudini, la Bri ammette che ci sono oggi
alcune differenze importanti che rendono i leveraged loans potenzialmente meno
dirompenti dei loro “antenati” del 2007. Dall'altro - sottolinea però - i
rischi ci sono. E sono tanti.
(…) tratto da https://www.ilsole24ore.com/art/i-prestiti-leva-usa-balzano-1400-miliardi-ACqKp6m
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