Pernigotti, giorni drammatici. Venduti anche i magazzini
NOVI LIGURE - Nei giorni in cui è in
corso un disperato tentativo di riaprire le trattative per reindustrializzare lo
stabilimento Pernigotti di Novi Ligure, è arrivata la notizia che gli
attuali proprietari dell’azienda dolciaria hanno venduto gli ex
magazzini che si trovano alla frazione Barbellotta, nell’area situata
tra gli stabilimenti della ‘Novi Elah Dufour’ e la Gambarotta.
Non sono loro gli acquirenti, bensì
imprenditori locali molto attivi nel settore della logistica. I magazzini erano
inutilizzati da cinque anni per scelta dell’attuale proprietà, che prima ha
deciso di trasferirli a Parma e successivamente li ha spostati nel centro
logistico di Capriata d’Orba.
La cessione dell’ampia area situata ai lati del
tratto della strada 35 bis dei Giovi che collega Novi Ligure con Serravalle
Scrivia non appare legata alla brusca, e al momento inspiegabile
rottura, delle trattative tra i proprietari dapprima con l’imprenditore
Giordano Emendatori, che intendeva
acquisire il comporto dei prodotti per la gelateria, poi con la cooperativa Spes 1970, che aveva sottoscritto un preliminare di accordo per produrre in viale della Rimembranza cioccolato e torrone con il marchio Pernigotti.
Seguono altre notizie utili prese dalla stampa borghese
acquisire il comporto dei prodotti per la gelateria, poi con la cooperativa Spes 1970, che aveva sottoscritto un preliminare di accordo per produrre in viale della Rimembranza cioccolato e torrone con il marchio Pernigotti.
Seguono altre notizie utili prese dalla stampa borghese
Chiorino: "Per salvare la Pernigotti favoriremo una cooperativa tra dipendenti"
L'assessore regionale al
lavoro (della cricca fascista Fratelli
d'Italia, n.d.r.): la legge Marcora soluzione per l'azienda dolciaria di
Novi.
Previsioni? "I proclami
preventivi li lascio fare ad altri". Elena Chiorino, responsabile del lavoro
nella
giunta regionale, non nasconde le critiche a chi si è occupato prima di lei delle due vertenze difficili nella mappa delle crisi del Piemonte: la Pernigotti e la Embraco.
Assessore Chiorino, che cosa ha fatto saltare l'accordo per la Pernigotti?
"Le racconto un episodio. Era il 6 agosto, eravamo tutti al Mise. Incontro importante perché sapevamo che entro il 30 settembre si doveva firmare il passaggio di proprietà della fabbrica. Un dirigente della società ha accennato al fatto che sarebbero stati necessari nuovi impegni da parte del ministro e degli enti locali. Io ho chiesto di quali impegni si trattasse. Mi hanno zittita".
Chi l'ha messa a tacere?
"Il ministro Di Maio. Ha detto che si era fatto tardi e che se ne sarebbe discusso in una occasione successiva".
Scusi, che ora era?
"Le 12,45. Dopo avermi detto questo il ministro era uscito dalla sala ed era sceso in strada inscenando il numero dei cioccolatini".
Il numero dei cioccolatini?
"Estrasse di tasca dei cioccolatini e in favore di telecamente annunciò che la vicenda Pernigotti si stava concludendo positivamente".
Assessore lei dice così ma quel ministro era stato messo lì con il consenso della Lega con cui lei oggi governa in Piemonte..
"Non ne faccio una questione di polemica politica. Racconto dei fatti. E i fatti dicono che quel giorno, se avessimo approfondito, avremmo forse capito con settimane di anticipo che il piano di cessione della fabbrica aveva una falla".
Quale falla?
"Il gruppo Emendatori voleva spezzare la produzione occupandosi solo della parte gelati mentre la Spes, che avrebbe rilevato torrone e cioccolato, aveva un'idea più unitaria. Del resto lo stabilimento è lo stesso".
giunta regionale, non nasconde le critiche a chi si è occupato prima di lei delle due vertenze difficili nella mappa delle crisi del Piemonte: la Pernigotti e la Embraco.
Assessore Chiorino, che cosa ha fatto saltare l'accordo per la Pernigotti?
"Le racconto un episodio. Era il 6 agosto, eravamo tutti al Mise. Incontro importante perché sapevamo che entro il 30 settembre si doveva firmare il passaggio di proprietà della fabbrica. Un dirigente della società ha accennato al fatto che sarebbero stati necessari nuovi impegni da parte del ministro e degli enti locali. Io ho chiesto di quali impegni si trattasse. Mi hanno zittita".
Chi l'ha messa a tacere?
"Il ministro Di Maio. Ha detto che si era fatto tardi e che se ne sarebbe discusso in una occasione successiva".
Scusi, che ora era?
"Le 12,45. Dopo avermi detto questo il ministro era uscito dalla sala ed era sceso in strada inscenando il numero dei cioccolatini".
Il numero dei cioccolatini?
"Estrasse di tasca dei cioccolatini e in favore di telecamente annunciò che la vicenda Pernigotti si stava concludendo positivamente".
Assessore lei dice così ma quel ministro era stato messo lì con il consenso della Lega con cui lei oggi governa in Piemonte..
"Non ne faccio una questione di polemica politica. Racconto dei fatti. E i fatti dicono che quel giorno, se avessimo approfondito, avremmo forse capito con settimane di anticipo che il piano di cessione della fabbrica aveva una falla".
Quale falla?
"Il gruppo Emendatori voleva spezzare la produzione occupandosi solo della parte gelati mentre la Spes, che avrebbe rilevato torrone e cioccolato, aveva un'idea più unitaria. Del resto lo stabilimento è lo stesso".
Come se ne esce ora?
"È difficilissimo".
Non c'è possibilità di rimettere insieme i cocci della trattativa?
"Dal tono della comunicazione di venerdì sera direi di no. Poi tutto è possibile".
In alternativa?
"Attiveremo gli strumenti di sostegno della legge Marcora. Compreso il ricorso al worker buyout, il sistema che consente ai dipendenti di far nascere una cooperativa e di rilevare una parte della società. Spes è favorevole. Vediamo che cosa succederà mercoledì a Roma".
La situazione dell'Embraco è meno difficile?
"Non mi azzardo a stilare graduatorie di questo tipo. Le situazioni sono tutte difficili quando coinvolgono centinaia di famiglie".
Che cosa manca per risolvere il caso Embraco?
"Io le dico quel che sta facendo la Regione. Stiamo cercando capitali. Perché le commesse ci sono ma bisogna avere il denaro per far partire le linee. Nei giorni scorsi ho avuto incontri con le banche per cercare di avere delle linee di credito".
Da dove arrivano le commesse?
"Dall'Europa e anche da altri continenti. Dovremmo poter attivare una per volta tutte le quattro linee produttive della fabbrica. Le banche ci hanno chiesto documenti integrativi e speriamo che siano sufficienti. Nel frattempo abbiamo avviato il programma di formazione dei lavoratori come chiesto dall'azienda. Pagheremo la formazione solo al termine dei corsi".
La settimana è importante.Avete incontri al ministero il 2 e il 3. Che cosa prevede?
"Si è visto quanto valgono le previsioni in questi casi. Non voglio essere l'ennesimo politico che si lancia in annunci ottimisti o pessimisti. Guardi, io non sono quella che distribuisce i cioccolatini prima di aver visto la firma in fondo ai testi degli accordi".
"È difficilissimo".
Non c'è possibilità di rimettere insieme i cocci della trattativa?
"Dal tono della comunicazione di venerdì sera direi di no. Poi tutto è possibile".
In alternativa?
"Attiveremo gli strumenti di sostegno della legge Marcora. Compreso il ricorso al worker buyout, il sistema che consente ai dipendenti di far nascere una cooperativa e di rilevare una parte della società. Spes è favorevole. Vediamo che cosa succederà mercoledì a Roma".
La situazione dell'Embraco è meno difficile?
"Non mi azzardo a stilare graduatorie di questo tipo. Le situazioni sono tutte difficili quando coinvolgono centinaia di famiglie".
Che cosa manca per risolvere il caso Embraco?
"Io le dico quel che sta facendo la Regione. Stiamo cercando capitali. Perché le commesse ci sono ma bisogna avere il denaro per far partire le linee. Nei giorni scorsi ho avuto incontri con le banche per cercare di avere delle linee di credito".
Da dove arrivano le commesse?
"Dall'Europa e anche da altri continenti. Dovremmo poter attivare una per volta tutte le quattro linee produttive della fabbrica. Le banche ci hanno chiesto documenti integrativi e speriamo che siano sufficienti. Nel frattempo abbiamo avviato il programma di formazione dei lavoratori come chiesto dall'azienda. Pagheremo la formazione solo al termine dei corsi".
La settimana è importante.Avete incontri al ministero il 2 e il 3. Che cosa prevede?
"Si è visto quanto valgono le previsioni in questi casi. Non voglio essere l'ennesimo politico che si lancia in annunci ottimisti o pessimisti. Guardi, io non sono quella che distribuisce i cioccolatini prima di aver visto la firma in fondo ai testi degli accordi".
LA STAMPA
ALESSANDRIA
Pernigotti, “cassa” garantita solo per quattro mesi: “Pronti allo sciopero se non avremo risposte chiare”
A febbraio scadranno gli
ammortizzatori sociali. Mercoledì il tavolo a Roma dopo il naufragio degli
accordi preliminari
NOVI LIGURE. «L’unica certezza oggi ci è
rimasta è la scadenza della cassa integrazione, il 5 febbraio 2020.
Senza possibilità di rinnovo». Da luglio tutti i dipendenti della
Pernigotti sono stati richiamati in fabbrica e la cassa è stata quindi sospesa,
ma la sua durata non cambierà. Se mercoledì, a Roma, non arriveranno
certezze sul futuro, le maestranze rischiano di rimanere senza lavoro e senza
ammortizzatori sociali.
È il timore principale dei lavoratori, alcuni
dei quali ieri mattina 29 settembre erano davanti ai cancelli dello stabilimento
di Novi Ligure, dove sono tornate le telecamere. Con loro il sindaco Gian Paolo
Cabella con la giunta comunale, i parlamentari Susy Matrisciano (5 stelle) e
Federico Fornaro (Leu) e il consigliere regionale Sean Sacco (5 stelle). «Siamo
di nuovo qui – dicevano alcuni dipendenti –. È come se in tutti in questi mesi
non fosse successo nulla. In effetti non abbiamo nulla in mano per salvare i
nostri posti di lavoro».
Mercoledì 2 ottobre al Mise si saprà
cosa resta del piano di reindustrializzazione dopo la rescissione del contratto
preliminare tra il gruppo Toksoz, proprietario della Pernigotti, e la Spes di
Torino. Cosa che non è ancora avvenuta con Giordano Emendatori, che
intende acquisire il comparto gelati ma che, a detta della Pernigotti, ha
abbandonato il tavolo delle trattative.
Ieri mattina 29 settembre i sindacalisti hanno
rivolto nuovi appelli alla proprietà: «Servono responsabilità e risposte da
parte del gruppo Toksoz mercoledì al Mise. Fra pochi mesi finisce la cassa
integrazione per cessazione, che dura solo una anno. Noi avevamo chiesto la
cassa per ristrutturazione ma la risposta era stata negativa».
Proposta che comportava due anni di
ammortizzatore sociale, ma anche soldi da parte dell’azienda per adeguare lo
stabilimento. Una delle ipotesi è che Emendatori non sia fuori gioco e che
quindi, alla fine, acquisti il ramo dei gelati, mentre c
Cioccolato e torrone
verrebbero sempre prodotti dai Toksoz e non affidati a un terzista come la Spes.
Oppure, c’è chi ha ricordato che la Laica di Arona, una delle concorrenti della
Spes, si era ritirata poiché aveva chiesto inutilmente di poter avviare
l’attività entro giugno oppure, aveva detto, di stabilire l’inizio al 2020. A
questo punto, potrebbe anche rientrare in gioco. Ipotesi, speculazioni: se dal
tavolo di mercoledì non usciranno risposte chiare, i lavoratori hanno già
annunciato la mobilitazione.
Pernigotti, "crisi nata anche a causa delle nocciole turche"
L'accusa di Coldiretti: "Spezzare il circolo vizioso
della delocalizzazione. Toksoz primi produttori mondiali di nocciole"
NOVI LIGURE - Il gruppo Toksoz è il più grande produttore mondiale
di nocciole e nel 2018 l’import di nocciole dalla Turchia all’Italia è
aumentato del 18 per cento, per un totale di 31 milioni di chili. Punta il dito
contro la delocalizzazione selvaggia il presidente di Coldiretti Ettore
Prandini, commentando in una nota il fallimento della trattativa sulla
Pernigotti.
«È il risultato del circolo vizioso della delocalizzazione, che
inizia con l’acquisizione di marchi storici del made in Italy, continua con lo
spostamento all’estero delle fonti di approvvigionamento e si conclude con la
chiusura degli stabilimenti con effetti sull’occupazione e
sull’economia».
L’importazione di nocciole dalla Turchia in Italia, sottolinea Coldiretti,
è aumentata del 18 per cento nel 2018 «nonostante i numerosi allarmi scattati
per gli elevati livelli di aflatossine cancerogene».
Secondo sempre Prandini, «dall’olio allo zucchero, fino al formaggio, è
lunga la lista delle etichette storiche italiane svendute all’estero e
utilizzate per veicolare sotto la bandiera tricolore produzioni ottenute fuori
dai confini nazionali. L’Italia deve difendere il proprio patrimonio
agroalimentare che ha portato in mani straniere tre marchi storici del made in
Italy alimentare su quattro».
Da qui l’esigenza, conclude il presidente di Coldiretti, «di
portare sul mercato il valore aggiunto della trasparenza con l’obbligo di
indicare in etichetta l’origine su tutti quegli alimenti ancora
“anonimi”, a partire da quelli trasformati, come nel caso delle
nocciole utilizzate nell’industria dolciaria».
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