di Elisabetta Della Corte
La
ricerca pubblica tra assuefazione e ribellione all’apparato
militare-industriale
Negli
ultimi decenni, l’apparato militare-industriale globale si è
trasformato, così come altri settori, aprendosi alle sfide di una
sfrenata competizione. Un business che pesa centinaia di milioni di
euro e intorno a cui si muovo gli interessi e i profitti dei settori
dominanti dell’economia nazionale e mondiale1.
Anche
sul piano della ricerca finalizzata a produrre “nuove armi”,
sommergibili, navi, aerei, droni, robot, software, ci sono dei
cambiamenti; ad esempio: sì è intensificato il rapporto con le
università pubbliche accanto ai tradizionali centri di ricerca che
dipendono direttamente dal Ministero della Difesa e dal comparto
militare-industriale. Non è molto diverso da quanto è accaduto in
altri settori, come, ad esempio quello dell’auto: come la Fiat, ora
FCA (Fiat Chrysler Automotive), che prima concentrava la ricerca al
Lingotto e ha poi investito e coinvolto sempre più i dipartimenti
d’ingegneria delle università, nonché quelli di informatica,
fisica, chimica, robotica. Molte delle scoperte per produrre auto
nascono fuori dagli stabilimenti e dai centri studi delle aziende
automobilistiche, nei quali all’inizio venivano progettati e realizzati le automobili “modello”. Inoltre, la produzione di auto si è sempre più concentrata nelle mani di poche grandi aziende.
Lo stesso sta avvenendo nel settore della difesa e della
guerra. La questione scottante riguarda il fatto che, sempre più, la
ricerca fatta nelle università dipende direttamente o indirettamente
dal settore militare. Questa commistione, non nuova, tra ricerca
universitaria e industria di guerra, spesso celata, sottodimensionata
o confinata in ambiti accademici, è diventata ben visibile, di
recente, quando dei ricercatori sudcoreani si sono rifiutati di
partecipare a progetti di ricerca, copiosamente finanziati,
finalizzati alla costruzione di armi “intelligenti” per fini di
guerra1.
La BBC news titolava così la notizia il 5 aprile del 2018: “South
Korean university boycotted over ‘killer robots“2.
La protesta, alla quale hanno partecipato anche altri ricercatori nel
mondo, ha fatto rumore e riaperto, per un po’ di tempo, il
dibattito sulle finalità della ricerca e il ruolo delle università,
paradossalmente nate per “sviluppare” l’intelligenza umana si
trovano oggi ad accrescere, invece, quella artificiale; attratte dai
milioni di euro stanziati su questo filone e per questo piegate agli
interessi pirateschi dell’industria di guerra e delle
multinazionali, che sono in grado così di subappaltare presso gli
enti pubblici – sempre più a corto di fondi – una quota
significativa degli investimenti nella ricerca. Tra il 2019 e il 2020
l’Unione europea ha stanziato oltre 500 milioni di euro per il
settore della costruzioni di armi e della relativa ricerca; ad
esempio, 100 milioni sono stati destinati al progetto denominato
Eurodrone o EuroMale3,
finalizzato allo sviluppo di un drone per uso militare (qui il video
di presentazione
https://www.airbus.com/newsroom/events/ila-2018/EuroMale.html.
Questo progetto europeo4
– diretto
dall’Organizzazione per la cooperazione in materia di armamenti-
prevede la realizzazione di due tipologie di droni: una per
l’intelligence, cioè per operazioni di spionaggio; e l’altra,
invece, con vere e proprie armi per colpire obiettivi a distanza. Al
progetto partecipano Italia, Francia, Germania, Spagna e anche il
Belgio nel ruolo però di osservatore. La realizzazione, che per
altro non manca di contrasti tra i protagonisti5
,
è affidata a compagnie come Airbus6,
Dassault 7
e
Leonardo-Finmeccanica8,
tutte e tre leader nel settore militare. Anche solo uno sguardo ai
siti di presentazione sui social di queste compagnie è utile per
comprenderne la retorica discorsiva sulla sicurezza europea e il
volume d’affari9.
Nei prossimi anni queste spese cresceranno: nel 2021 l’EU prevede
di creare un fondo da 13 miliardi di euro per la difesa. Cosa c’è
di male in questo potrebbe chiedere un finto ingenuo? Infondo se, ad
esempio, Leonardo-Finmeccanica finanzia un’università, non c’è
niente di male. E invece no, perché magari per quell’università,
situata, facciamo il caso, al Sud d’Italia sarebbe più utile
indirizzare la ricerca su cure più efficaci per il cancro o per il
decadimento neuronale, sui vulcani che borbottano sinistramente nel
Tirreno, la riduzione e lo smaltimento dei rifiuti, la difesa del
patrimonio boschivo – solo per limitarsi a qualche esempio di una
lista ben lunga. Per i ricercatori avidi di progetti finanziati,
“pecunia non olet”, non importa, anzi ricevere un finanziamento è
un riconoscimento della qualità scientifica del loro lavoro e si
sentono così ben integrati nel sistema; eppure ci sarebbe da
riflettere e reagire proprio come hanno fatto i ricercatori
sudcoreani. Pecunia non olet, il denaro non puzza, è un motto che
fortunatamente, a volte, non vale per tutti. Sempre nel 2018, “una
rete di organizzazioni scientifiche e per la pace ha lanciato
l’iniziativa europea Researchers for Peace. Oltre 700 scienziati e
accademici, la maggior parte provenienti da 19 paesi dell’UE, hanno
firmato una dichiarazione online che invita l’UE a interrompere il
finanziamento della ricerca militare. Invitano i loro colleghi nella
comunità di ricerca ad aggiungere il loro supporto”10
(www.researchersforpeace.eu)
Per chiudere senza concludere, citiamo, ad esempio, uno dei tanti
lavori di ricerca sul rapporto tra ricerca scientifica e apparato
militare, quello di un ricercatore italiano, Aldo Geuna, che, con
dati alla mano, già nel 2001, segnalava la pericolosità di questa
dipendenza dai fondi di finanziamento dell’apparato militare
industriale, in un articolo dal titolo “La logica mutevole del
finanziamento della ricerca nelle università europee: ci sono
conseguenze negative indesiderate? 11,
e concludeva richiamando le università a “promuovere più
attivamente il loro ruolo nella società e a mobilitare il sostegno
politico in loro nome in modo da esercitare un contropotere in
opposizione a interessi puramente commerciali e di breve durata”.
Sono passati degli anni e, purtroppo, nonostante gli studi critici,
non c’è stato un cambio di direzione; resta però come arma
efficace la defezione, il boicottaggio dei ricercatori che potrebbe
aprire nuovi scenari e riportare nell’ambito della “ragionevolezza”
questo sconsiderato war game, dove a pesare- più che la tanto
sbandierata sicurezza e il benessere delle persone- sono gli
interessi economici dei settori dominanti.
automobilistiche, nei quali all’inizio venivano progettati e realizzati le automobili “modello”. Inoltre, la produzione di auto si è sempre più concentrata nelle mani di poche grandi aziende.
Da
Notare che in Italia, una delle idee sostenute da Renzi, rottamatore
del vecchio ceto dirigente del Partito Democratico, poi a sua volta
rottamato, e oggi a capo di un nuovo partitino denominato Italia
Viva, è quella di una fusione tra Leonardo-Fimeccanica e
Fincantieri. La questione non è da poco perché si tratta di grossi
gruppi industriali del settore aerospaziale, difesa e sicurezza. Una
proposta che ha sostenitori e oppositori come si legge in quest’
articolo.
https://www.startmag.it/economia/fusione-leonardo-finmeccanica-e-fincantieri-ecco-il-programma-di-renzi-gradito-a-bono/
https://www.startmag.it/economia/fusione-leonardo-finmeccanica-e-fincantieri-ecco-il-programma-di-renzi-gradito-a-bono/
Over
700 researchers call on colleagues to speak out against EU military
research programme 27-06-2018 –
Così
viene descritto sul sito Leonardo : “MALE RPAS (Medium Altitude
Long Endurance, Remotely Piloted Aircraft System) ’Il MALE
RPAS, bimotore turboelica, è stato progettato per missioni civili e
ISTAR militari; sarà caratterizzato da capacità 24/7 diurne e
notturne; operazioni ognitempo; facile manutenzione e
interoperabilità con i sistemi di difesa esistenti e futuri. Il
sistema otterrà la piena certificazione di aeronavigabilità e
capacità di integrazione con il traffico aereo (ATI) negli spazi
aerei non segregati”.
https://www.leonardocompany.com/it/products/male-rpas
Aldo
Geuna (2001) The Changing Rationale for European University Research
Funding: Are There Negative Unintended Consequences?, Journal of
Economic Issues, 35:3, 607-632, DOI: 10.1080/00213624.2001.11506393
https://doi.org/10.1080/00213624.2001.11506393
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