La stampa borghese parla di 'luglio 60' - Noi pensiamo a Genova G8 2001
da repubblica
Gli antifascisti hanno pressato la zona
rossa, la polizia risponde con le cariche, ma parte un’assurda caccia
all’uomo a Corvetto. Un gruppo di agenti pesta brutalmente un
giornalista di Repubblica
Una giornata nera quella vissuta ieri da
Genova. Non solo perché tutto è stato scatenato dal desiderio di
CasaPound di tenere il proprio comizio elettorale – per trenta persone -
in una piazza del pieno centro cittadino, quasi una rivincita su quel
30 giugno 1960 in cui i neofascisti vennero cacciati da De Ferrari.
In questo pomeriggio segnato dagli assalti degli antagonisti alla mini zona rossa in cui era stata blindata CasaPound e dalle cariche di polizia e carabinieri per allontanare una massa di manifestanti
antifascisti assai più numerosa di quella che forse si aspettavano le autorità, ecco ricomparire le vecchie pessime abitudini di alcuni agenti, incapaci di contenere la violenza anche quando non è strettamente necessaria, anzi superflua. Ne ha fatto le spese il nostro collega Stefano Origone, cronista di Repubblica della redazione di Genova che, come in decine di occasioni simili, era in strada fin dall’inizio per raccontare gli eventi.
Alcuni poliziotti in tenuta antisommossa lo hanno letteralmente aggredito all’inizio di via Santi Giacomo e Filippo in una fase non di scontro con gli antagonisti ma di dispersione. Quando ha visto partire le prime manganellate Stefano ha urlato “Sono un giornalista”. Ma non è servito. E’ crollato a terra dove è stato raggiunto da altre manganellate e calci al corpo e sulla testa. Alla fine un ispettore della Digos che lo ha riconosciuto è intervenuto allontanando gli agenti e, soccorrendolo e chiamando l’ambulanza. Stefano ha riportato la frattura di due dita, la rottura di due costole, una in maniera scomposta, un trauma cranico, ecchimosi e ferite in tutto il corpo.
I primi disordini si sono verificati alle 18 in punto quando doveva iniziare il comizio di CasaPound. Fra via Roma e piazza Corvetto erano quasi 3 mila le persone presenti.
In questo pomeriggio segnato dagli assalti degli antagonisti alla mini zona rossa in cui era stata blindata CasaPound e dalle cariche di polizia e carabinieri per allontanare una massa di manifestanti
antifascisti assai più numerosa di quella che forse si aspettavano le autorità, ecco ricomparire le vecchie pessime abitudini di alcuni agenti, incapaci di contenere la violenza anche quando non è strettamente necessaria, anzi superflua. Ne ha fatto le spese il nostro collega Stefano Origone, cronista di Repubblica della redazione di Genova che, come in decine di occasioni simili, era in strada fin dall’inizio per raccontare gli eventi.
Alcuni poliziotti in tenuta antisommossa lo hanno letteralmente aggredito all’inizio di via Santi Giacomo e Filippo in una fase non di scontro con gli antagonisti ma di dispersione. Quando ha visto partire le prime manganellate Stefano ha urlato “Sono un giornalista”. Ma non è servito. E’ crollato a terra dove è stato raggiunto da altre manganellate e calci al corpo e sulla testa. Alla fine un ispettore della Digos che lo ha riconosciuto è intervenuto allontanando gli agenti e, soccorrendolo e chiamando l’ambulanza. Stefano ha riportato la frattura di due dita, la rottura di due costole, una in maniera scomposta, un trauma cranico, ecchimosi e ferite in tutto il corpo.
I primi disordini si sono verificati alle 18 in punto quando doveva iniziare il comizio di CasaPound. Fra via Roma e piazza Corvetto erano quasi 3 mila le persone presenti.
dietro lo striscione di “ Genova
antifascista”... differenza di altre volte, però questa parte della
piazza era molto numerosa, alcune centinaia di persone tutte attive. Lo
si è visto nell’assalto alle grate che chiudevano piazza Marsala. La
pressione accompagnata da lanci di bottiglie, bombe carta e biglie di
ferro ha provocato la reazione della polizia. Le prime manganellate e i
lacrimogeni. Dopo gli altri assalti dei manifestanti la decisione delle
forze dell’ordine di occupare piazza Corvetto e allontanare gli
antagonisti più accesi. Una parte è fuggita verso via Santi Giacomo e
Filippo e via Serra inseguita da alcuni agenti del Reparto Mobile. È
stato nella fase del rientro dei poliziotti, mentre alcuni manifestanti
anche loro tornavano sui loro passi e cercavano di ricongiungersi agli
altri, ma in un momento di calma, che un gruppo di agenti si è lanciato
contro alcune persone addossate al muraglione dei giardini
dell’Acquasola all’imbocco di via Santi Giacomo e Filippo.
Sulla piazza alla fine i segni dello scontro di una giornata in cui Genova sembra segnare uno spartiacque come già accaduto nel giugno 1960 e nel luglio 2001. A proposito: alcuni avvocati hanno raccolto da terra i bossoli dei lacrimogeni Cs, da molti ritenuti pericolosi, e largamente utilizzati al G8.
Sulla piazza alla fine i segni dello scontro di una giornata in cui Genova sembra segnare uno spartiacque come già accaduto nel giugno 1960 e nel luglio 2001. A proposito: alcuni avvocati hanno raccolto da terra i bossoli dei lacrimogeni Cs, da molti ritenuti pericolosi, e largamente utilizzati al G8.
Origone, il giornalista picchiato: "Non smettevano più, ho creduto di morire"
La testimonianza del cronista di Repubblica
manganellato dalla polizia durante gli scontri tra antagonisti e
CasaPound a Genova:
"Ho pensato di morire, non mi vergogno di dirlo. Non smettevano più di picchiarmi, vedo ancora quegli anfibi neri, che mi passavano davanti al volto e, nella testa, mi rimbomba ancora il rumore sordo delle manganellate. Su tutto il mio corpo, che cercavo di proteggere, rannicchiato in posizione fetale, scaricavano una rabbia che non ho mai incontrato prima, che non avevo mai sentito così efferata in trent'anni di professione, sempre sulla strada".
"Ho pensato di morire, non mi vergogno di dirlo. Non smettevano più di picchiarmi, vedo ancora quegli anfibi neri, che mi passavano davanti al volto e, nella testa, mi rimbomba ancora il rumore sordo delle manganellate. Su tutto il mio corpo, che cercavo di proteggere, rannicchiato in posizione fetale, scaricavano una rabbia che non ho mai incontrato prima, che non avevo mai sentito così efferata in trent'anni di professione, sempre sulla strada".
"Mi trovavo in piazza Corvetto, all'angolo con
via Serra, l'unica via di uscita di una piazza completamente blindata
dai mezzi della polizia e dagli agenti in tenuta antisommossa. Era una
buona posizione, per osservare i contatti tra a polizia e i
manifestanti, c'erano già state cariche, ma mi sentivo tranquillo,
proprio perchè alle spalle avevo la via di fuga. E poco prima la polizia
era anche arretrata. Poi non so cosa sia scattato, non ricordo
l'innesco della follia. Mi hanno detto poi che i poliziotti hanno visto
un ragazzo vestito di nero e hanno lanciato la carica. So che mi sono
arrivati addosso, intorno a me non c'era quasi nessuno, ero in un punto
defilato. Li ho visti arrivare, avevo il cellulare in mano perchè stavo
facendo qualche foto, mi sono ulteriormente spostato. Ma mi sono arrivati
addosso. Ho cominciato a scappare, ma non ne ho avuto il tempo.
Allora ho cominciato a gridare, ancora prima
che mi buttassero a terra, prima che iniziasse l'incubo. Ho gridato con
tutta la mia voce: "Sono un giornalista, sono un giornalista". Mi hanno
fatto cadere e hanno cominciato a picchiare: calci, manganellate, colpi
da tutte le parti, non sapevo come pararli, non potevo pararli. E
urlavo, urlavo, tiravo fuori la testa dalla posizione fetale che avevo
assunto: "Sono un giornalista, sono un giornalista". Non si fermavano.
Ero come un pallone, preso a calci. Sentivo che stavano scaricando su di
me una rabbia indescrivibile, avevano un furore irrefrenabile, ero
terrorizzato. Allora ho urlato ancora più forte "Basta, basta". Non si
fermavano. Non so quanto sia durato. Mi sono coperto la testa con le
mani nude. A un certo punto mi sono accorto che il mio corpo non
resisteva più, che non riuscivo neppure più a proteggermi. Lì ho avuto
paura di morire. A un certo punto è arrivato un poliziotto, Giampiero
Bove, che conosco da molto tempo: si è buttato sul mio corpo, con il
casco: "Fermatevi, fermatevi, cosa state facendo, è un giornalista,
fermatevi", ha gridato. Mi ha salvato. Gli sarò per sempre grato. E,
come automi, gli agenti hanno smesso e se ne sono andati. Come se il
loro furore fosse stato spento, con un clic.
Mi ha aiutato ad appoggiarmi a un muretto,
stavo male, ha chiamato i soccorsi. Poi è arrivata l'ambulanza, durante
il tragitto, mi veniva da vomitare, credo per lo shock. Ora sono
ricoverato all'ospedale Galliera di Genova: i medici mi hanno detto che
sulla schiena ho le impronte delle suole Vibram degli anfibi degli
agenti, i segni del manganello sui fianchi. Ho una costola fratturata,
due dita della mano sinistra rotte, trauma cranico per le manganellate
in testa ed ecchimosi su tutto il corpo. E non ho mai pensato che
potesse succedermi una cosa del genere".
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