Milano: grave sentenza anti-sciopero
Comunicato del «Comitato permanente contro le guerre e il razzismo»
«Il governo della repressione, del razzismo di Stato e del lavoro nero merita la risposta di lotta più forte, ampia e unitaria possibile«»
Proprio nel giorno in cui la banda Lega&5S, degna erede della banda Renzi, rapinava dalle tasche dei lavoratori 1,3 miliardi di euro (che alla fine potrebbero essere 3) per salvare la Carige, il tribunale di Milano ha emesso contro il SI Cobas e il CSA Vittoria una sentenza di eccezionale gravità con condanne che vanno da 1 anno e 8 mesi per Aldo Milani e altri compagni e compagne, fino a 2 anni e 6 mesi per Elio Lupoli del Vittoria. Per quale efferato delitto? Per uno sciopero del marzo 2015 ai cancelli della DHL di Settala.
«Il governo della repressione, del razzismo di Stato e del lavoro nero merita la risposta di lotta più forte, ampia e unitaria possibile«»
Proprio nel giorno in cui la banda Lega&5S, degna erede della banda Renzi, rapinava dalle tasche dei lavoratori 1,3 miliardi di euro (che alla fine potrebbero essere 3) per salvare la Carige, il tribunale di Milano ha emesso contro il SI Cobas e il CSA Vittoria una sentenza di eccezionale gravità con condanne che vanno da 1 anno e 8 mesi per Aldo Milani e altri compagni e compagne, fino a 2 anni e 6 mesi per Elio Lupoli del Vittoria. Per quale efferato delitto? Per uno sciopero del marzo 2015 ai cancelli della DHL di Settala.
Diciamo sciopero, e
non picchetto o cos’altro, per la semplice ragione che in quella
giornata di lotta non si è registrata la minima tensione. Lo stesso
pubblico ministero, che
ha il compito istituzionale di accusare, aveva chiesto l’assoluzione per tutti. Dunque questa sentenza si configura come un attacco diretto al semplice diritto di sciopero.
E non si può che essere d’accordo con i compagni e le compagne del
Vittoria quando affermano: «questa condanna rappresenta una chiara rappresaglia e un monito preventivo
contro chi prova ad essere realmente opposizione di classe, lottando
giorno per giorno per condizioni di vita e di lavoro migliori, in una
prospettiva che è però quella di trasformazione radicale di una società
basata sullo sfruttamento di classe».ha il compito istituzionale di accusare, aveva chiesto l’assoluzione per tutti. Dunque questa sentenza si configura come un attacco diretto al semplice diritto di sciopero.
Nell’impossibilità
di applicare al 2015 le nuove norme liberticide del decreto-Salvini, ne
è stato applicato lo “spirito”: colpire la lotta di classe degli
sfruttati ovunque si manifesti con una sua autonomia. Dopo l’infinita
sequenza di interventi di polizia e carabinieri agli scioperi
organizzati dal SI Cobas, dopo la squallida provocazione dei Levoni e
della questura di Modena contro il compagno Milani (nel gennaio 2017),
dopo le misure restrittive degli ultimi mesi contro i militanti del
movimento per il diritto alla casa a Roma, Milano, Cosenza etc., dopo il
varo del cosiddetto decreto-sicurezza, questo salto di qualità della repressione giudiziaria era nell’aria.
Ora che un primo segnale del salto di qualità è arrivato, gli va data una risposta la più forte, ampia e unitaria possibile.
Quando il decreto-Salvini fu varato, fu fin troppo facile affermare, come facemmo, che avrebbe portato
maggiore sicurezza solo a boss della logistica, palazzinari, cosche
mafiose e padroni d’ogni tacca. A distanza di pochi mesi la verifica è
lampante. E non c’è più spazio per i contorcimenti di quanti vogliono a
tutti i costi distinguere il M5S dalla Lega. La realtà è che siamo
davanti a un governo che fa salvataggi di banche in fotocopia rispetto a
quelli del Pd di Renzi e Gentiloni, e che, una modifica dopo l’altra,
ha trasformato il provvedimento sul reddito di cittadinanza in un Jobs Act n. 2, che servirà ad imporre nuova “flessibilità” e nuove umiliazioni a chi è in cerca di lavoro: dunque, un vero e proprio reddito di sudditanza.
Se il decreto-sicurezza ha già creato nuove migliaia di irregolari e
altre decine di migliaia ne creerà per la gioia dei boss mafiosi e
aziendali, il reddito di sudditanza sarà anch’esso un ulteriore
incentivo al lavoro in nero o ad un lavoro salariato al sotto-minimo
delle garanzie (con i soliti premi per le aziende). Del resto, la difesa
della piccola media-impresa cara ai due soci di governo passa
inesorabilmente attraverso l’estrema compressione dei salari, dei
diritti, delle garanzie di operai e salariati e l’ulteriore
frammentazione della classe lavoratrice. E così pure la difesa della
grande impresa che ricorre sempre più al sistema appalti/subappalti. Nel
2017 il 31,8% del pil italiano è andato all’estero; il governo vuole
aumentare questa quota con il sudore e il sangue dei proletari italiani e
immigrati (sangue vero: 1.452 “morti bianche” registrate nel 2018, il
record degli ultimi decenni, con un aumento enorme tra gli immigrati).
C’è sempre meno spazio per forme di mediazione tra capitale e lavoro
salariato, e per il “vecchio welfare”; sì che ai burocrati di Cgil Cisl
Uil, rimasti in silenzio sulla “riforma delle pensioni” e sul Jobs Act,
capaci di firmare accordi per aumenti salariali di 1,7 euro e restati
indifferenti e complici sulle discriminazioni contro i proletari
immigrati, non resta che diventare gli agenti promotori dei
fondi-pensione e del welfare aziendale.
Il razzismo di
stato, l’intensificazione della repressione e il sessismo di stato alla
Pillon-Fontana contro i diritti acquisiti delle donne, servono a questo
progetto di schiavizzazione del lavoro e inquadramento nazionalistico. E
serve a questo anche lo sdoganamento di Casa Pound, Forza Nuova etc., e
la strenua protezione accordata dal ministro degli Interni e dal
governo tutto alle bande di falsi “tifosi ultras” legate alla grande
malavita, o protesi dei gruppi neo-fascisti. L’Italia deve restare senza gilet gialli e – tanto più – rossi,
e a questo scopo lo spauracchio delle nuove camice nere aiuta. Ecco
l’obiettivo che unisce in un solo fronte reazionario Cinquestelle, Lega,
Forza Italia, Pd e altre frattaglie presenti in parlamento, sotto lo
sguardo vigile e ammiccante dei custodi della dittatura del capitale
globale Mattarella, Draghi e Juncker.
Ma l’incantesimo del 4 marzo comincia ad incrinarsi.
Mano a mano
cominciano ad affiorare in superficie le sostanziali continuità di
questo con i precedenti governi dell’«austerità», anzitutto sul rispetto
delle regole imposte con il fiscal compact dal grande capitale europeo;
e poi sull’Ilva; sulla non-difesa dei licenziati (e non solo dei
licenziati politici dell’FCA che ebbero il coraggio di sfidare
Marchionne, anche dei licenziati “economici”); sul Jobs Act, rimasto
intatto in piedi, e anche sull’impianto della legge Fornero; sulle
grandi opere; sulla protezione delle banche; sull’incremento della spesa
militare, sulla fedeltà alla Nato e l’intoccabilità di Israele; sui
tagli all’istruzione pubblica, sull’aziendalizzazione delle scuole e
degli ospedali, etc. E non è ancora arrivata la doccia gelata (sicura al
100%) degli aumenti dell’Iva e delle imposte regionali e locali… La
sola promessa mantenuta in pieno, sulla scia del Pd Minniti e della
politica dell’Unione europea in materia, è il pugno duro contro i
richiedenti asilo e gli emigranti sui barconi (i veri “grandi poteri”!),
o contro qualche piccola comunità rom o sinti sbaraccata dai propri
accampamenti di fortuna – ma con qualche inatteso inconveniente, se è
vero che i 49 tenaci africani uomini, donne, bambini sbarcati a Malta (e
i 51 sbarcati a Melissa, accolti e aiutati dalla popolazione locale)
hanno piegato il pugnoferrista del Viminale come fosse di latta, lui e i
suoi emuli europei…
Che l’incantesimo
del 4 marzo cominci a incrinarsi è provato da una serie di
mobilitazioni: dalle proteste di Ventimiglia, di Catania, di Napoli
contro la chiusura delle frontiere e dei porti; dai cortei indetti dal
SI Cobas a Milano il 7 luglio e a Roma il 27 ottobre (il più energico e
politicamente marcato) e poi quelli, sempre a Roma, del 10 novembre e 15
dicembre, tutti contro il decreto-Salvini; dalla Puglia dei No Tap agli
irriducibili No Tav di Torino e della val di Susa; dalla dimostrazione
del 4 novembre a Trieste contro Casa Pound a quella di Verona contro
l’infame decreto-Pillon, al 24 novembre romano di Non una di meno, fino
alle proteste dei disoccupati, dei senza casa, ai primi scioperi
studenteschi e alle prime timidissime iniziative anti-militariste…
Ora è venuto il
momento di convogliare queste molteplici spinte fin qui incapaci, nella
loro separatezza, nei loro limitati numeri, ma anche nelle perduranti
illusioni su un’inesistente diversità dei Cinquestalle, di sbarrare
efficacemente la strada al governo Conte, in un solo fronte di lotta unitario chiedendone, come hanno saputo fare i gilet gialli con Macron, le dimissioni
per la sua politica anti-proletaria, razzista, sessista, militarista.
Questo governo della repressione anti-sciopero, della guerra agli
emigranti e agli immigrati, della diffusione del lavoro nero, deve
andarsene! Non ci illudiamo che sarà cosa facile, e neppure che sia di
per sé risolutiva, ma bisogna cominciare a confrontarsi su questa
necessità e ad agire conseguentemente, avendo come obiettivo il
superamento della frammentazione attuale e l’indizione di uno sciopero generale in cui le tante “singole” spinte possano confluire!
Su questo sforzo
saranno misurati tutti i movimenti e gli organismi. E per portarlo a
termine con successo dovremo saper parlare non alla semplice minoranza
attiva, ma alla grande massa dei lavoratori, delle lavoratrici, dei
giovani – inclusi i tanti che ancor oggi sperano che questo governo
possa davvero cambiare in meglio le cose.
Comitato permanente contro le guerre e il razzismo
piazzale Radaelli, 3 – Marghera
comitato.permanente@gmail.com – www.ilpungolorosso
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