Libia. Il gen. Haftar scatena operazione nel Fezzan. Si approfondisce la crisi del governo di Tripoli
Le
forze armate del generale Khalifa Haftar hanno scatenato una nuova
operazione militare nella regione del Fezzan, nel sud della Libia. E’ la
seconda in pochi mesi. Le forze del generale Khalifa Haftar sono
arrivate alle porte della città di Sebha.
L’uomo
forte e padrone della Cirenaica (la zona a ridosso dell’Egitto e che ha
come capitale Tobruk), ha dato ordine di prendere il controllo nella
zona sud-ovest della Libia con il pretesto ufficiale di “tutelare la
sicurezza dei residenti da terroristi e gruppi criminali”. Inoltre,
punta a mettere le mani sulle risorse strategiche nella regione come
acqua, petrolio e gas.
Il
portavoce delle milizie di Haftar, Ahmed al-Mismari, ha precisato che
le forze della Lna (Armata Nazionale Libica, ndr) si stanno “coordinando
con le tribù di Sebha e i suoi
leader”. Secondo la Fezzan Libya
Organisation, avrebbero preso il controllo delle basi aeree di
Temhenhint e Brak al-Shati, “ma non sono ancora entrate a Sebha”.
L’agenzia
Askanews riferisce che Sebha, principale città nel Sud-Ovest della
Libia, si trova circa a 200 chilometri a Est di Sharara, un grande
giacimento petrolifero del Paese chiuso da oltre un mese per le proteste
del cosiddetto “Movimento della rabbia del Fezzan”, che ha chiesto più
sicurezza e migliori servizi per il Sud del Paese. Il sito petrolifero è
gestito da una joint venture, la Akakus, che riunisce la compagnia
nazionale libica NOC, la spagnola Repsol, la francese Total, l’austriaca
OMV e la norvegese Statoil. L’impianto produce un terzo della attuale
produzione petrolifera della Libia, circa 315.000 barili al giorno, a
fronte di una produzione media giornaliera di tutto il paese di un
milione di barili. L’operazione militare, che sembra sia già cominciata,
dovrebbe concentrarsi nel quadrante di Sebha. Tanto che gli abitanti
locali sono stati invitati a stare lontani dalle aree di scontro.
Secondo alcuni osservatori, in realtà l’uomo forte della Cirenaica cerca
di approfittare delle difficoltà che si stanno nuovamente manifestando
nel governo di Tripoli, quello “ufficialmente riconosciuto dalla
comunità internazionale” ma sempre più debole.
La
scorsa settimana tre vice del premier di Tripoli, Sarraj, hanno
pubblicamente sfiduciato l’operato del presidente. Ahmed Maiteeq, Fathi
Magbari e Abdul Salam Kajman, questi i tre che hanno aperto la rottura,
accusano Sarraj non solo di non essere in grado di gestire e garantire
la sicurezza, ma anche di operare senza comunicare le sue decisioni ai
vice.
Secondo
i tre vicepremier dissidenti il comportamento di Sarraj viola l’accordo
che è alla base del Governo di accordo nazionale e del Consiglio
presidenziale. E in questo modo, i firmatari hanno anche scritto che a
essere in pericolo è la stessa intesa su cui si fonda la pur fragile
esperienza del governo di Tripoli. Indicativa l’accusa a Sarraj di non
aver fatto nulla per portare una pacifica transizione del Paese.
Sarebbbe Sarraj, secondo quanto scritto da Meitiq, Magbari e Kajman, la
causa l’instabilità del Paese che rischia di far crollare
definitivamente le istituzioni di Tripoli.
Una
delegittimazione e un ulteriore indebolimento di Sarraj spiana
obiettivamente la strada del potere su tutta la Libia al generale
Haftar, uomo sul campo di Egitto ed Arabia Saudita, ma anche della
Francia.
Secondo
gli esperti, Haftar cerca di contrastare l’influenza del suo
competitore, Fayez Sarraj, nella regione del Fezzan. Sarraj è
formalmente sostenuto dall’Unsmil, la missione Onu in Libia, che ha
avviato alcune iniziative concrete a sostegno della popolazione locale,
tra cui l’invio di carburanti e medicinali, che scarseggiano nell’area,
nonché la riattivazione e l’implementazione delle centrali elettriche.
Alcuni
giorni fa il capo della missione Unsmil Ghassan Salamè si era recato in
visita proprio a Sabha, per incontrare le istituzioni politiche e
tribali locali, alle quali ha spiegato il piano per migliore le
condizioni di vita nella zona. A quel punto le milizie del gen. Haftar
hanno deciso di intervenire militarmente nella zona sfruttando l’unico
tema su cui né il governo di Tripoli né l’Unmil sono in grado di
garantire: quello della sicurezza.
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