(Dalla stampa) - Il ministero dello Sviluppo economico ha convocato il tavolo Ilva
sull’occupazione lunedì per le ore 13. All’incontro, che sarà presieduto
dal ministro Luigi Di Maio, saranno
presenti ArcelorMittal e i sindacati. Il nuovo faccia a faccia potrebbe risultare decisivo anche alla luce dei
tempi stretti per la vicenda in considerazione della situazione
economica dell'Ilva in amministrazione straordinaria e dei dubbi
sollevati sulle modalità della gara per l'assegnazione del Siderurgico.
Gli operai, più coscienti devono avere chiara la situazione e le questioni di fondo.
Per questo riportiamo un testo già pubblicato settimane fa.
Il
governo Di Maio-Salvini, la Mittal, i commissari Ilva stanno
precipitando l’Ilva in una nuova fase acuta della crisi che mette
ulteriormente in discussione i posti di lavoro, salari, diritti degli
operai, il piano di trasformazione dell’Ilva e il piano di bonifica
interno e ristrutturazione impianto e il risanamento ambientale dei
quartieri popolari aggrediti dall’inquinamento.
In questi ultimi mesi
l’unica cosa è l’avvio della copertura dei parchi minerali, di cui e la
disponibilità della Mittal ad accelerare i tempi di bonifica dell’Ilva;
ma quasi niente sul fronte di un’ampia ambientalizzazione della
fabbrica con nuove tecnologie, nuovi impianti e massimo irrigidimento
delle misure a tutela della sicurezza in fabbrica; nessuna cancellazione
dei decreti che pongono l’impunità dei padroni.
A questo piano
vi è stata finora solo una chiara risposta alternativa, quella proposta
dallo Slai cobas fondata non solo su esuberi zero, salvaguardia dei
salari e di tutti i diritti per i lavoratori, ma anche utilizzo pieno
degli operai dipendenti, tutti assunti Mittal, per tutti i lavori di
bonifica interna, primato della sicurezza, con una postazione ispettiva
Asl/Ispettorato del lavoro permanente in fabbrica, salvaguardia dei
lavoratori dell’appalto che devono avere condizioni di salario e
sicurezza paritari a quelli degli operai Ilva e la conservazione del
posto di lavoro attraverso un meccanismo che consenta il travaso degli
operai da una ditta dell’appalto all’altra; l’applicazione di un nuovo
contratto siderurgico più adeguato alle condizioni effettive di lavoro
degli operai Ilva e un massiccio prepensionamento – 25 anni bastano –
che avesse la funzione di salvaguardare soprattutto la salute e
risarcire gli operai prime vittime delle morti da lavoro, inquinamento;
un nuovo utilizzo dei benefici pensionistici amianto. Una riduzione
dell’orario di lavoro a parità di salario.
Avevamo chiesto fin
dall’inizio; noi e solo noi, che tutto questo andasse in quello che
abbiamo chiamato “decreto operaio”, unica forma per vincolare qualsiasi
governo, qualsiasi padrone che acquisisse l’Ilva, qualsiasi trattativa
sindacale.
Questo “decreto operaio” poteva essere solo frutto di
una lotta dura, prolungata e generale, che lo imponesse a qualsiasi
governo, a qualsiasi ministro. Su questo non solo i sindacati in
fabbrica non ci hanno seguito, ma non è emersa neanche tra le fila
operaie una giusta ribellione e autorganizzazione.
I sindacati
confederali ora divisi ora uniti partecipano ad un’eterna trattativa; la
Fim/Cisl di Bentivogli si è legata mani e piedi al governo con l’asse
Calenda/Bentivogli; la Uilm, sindacato maggioritario, non ha fatto
assolutamente nulla per cambiare lo stato delle cose, anzi è stata
decisiva per mantenere la fabbrica in stand-by, in stretta alleanza coi
commissari; la Fiom dai tempi di Landini è sostanzialmente un sindacato
inutile con un piede in due staffe; l’Usb ha nascosto dietro gli strilli
sulla “nazionalizzazione” una ricerca ossessiva di partecipazioni ai
Tavoli, per fare esattamente quello che fanno gli altri, ogni tanto si è
alzata dal tavolo, scontrandosi in particolare con Calenda, ma per
legarsi mani e piedi ad Emiliano che ha usato la vicenda Ilva nel quadro
della lotta all’interno del PD nella vicenda nazionale.
Tutti ritengono che il soggetto principale sia il giverno, invece che la lotta seria dei lavoratori.
All’esterno
della fabbrica l’ala ambientalista ha avuto una sola posizione, la
chiusura della fabbrica, l’attacco agli operai, posizioni che nel
contesto attuale non potevano che servire i piani di divisione di
padroni e governo e l’accerchiamento degli operai. Il braccio degli
ambientalisti nella fabbrica sono stati i ‘Liberi e pensanti’ che nulla
hanno fatto né in fabbrica né fuori per difendere realmente la
condizione operaia e per lavorare all’unità tra operai e masse popolari;
questi sono stati il “cavallo di troia” per la penetrazione nella
fabbrica di un movimento estraneo ai lavoratori, alla loro lotta, il M5S
che ha usato il “doppio linguaggio”, tipo degli ingannapopolo, di dire
di volere la chiusura, mentre a Roma si alleava con il partito legato a
Riva e agli industriali dell’acciaio del nord.
In questo stato delle
cose tutti hanno lavorato in quella che abbiamo chiamato “la tempesta
perfetta”, ognuno per suo conto per arrivare allo stesso risultato.
Con
la formazione del nuovo governo i nodi sono tornati al pettine. Di Maio
ha preso in mano la questione aprendola al demagogo reazionario,
Emiliano, con la cosiddetta “verifica della gara d’appalto”, per
buttarla chiaramente in caciara.
Ma anche su questo le cose non
stanno come dice Di Maio. Le osservazione dell’Autorità Anac non
cambiano la sostanza del problema. La cordata AcciaItalia ha accettato
tutto di questa procedura, non ha mai fatto alcun ricorso, né ha fatto
alcuna obiezione; lo slittamento dell’asta è stato concordato tra
AmInvestco, AcciaItalia e governo; lo slittamento delle scadenze
intermedie non ha avuto alcuna influenza nella gara d’appalto. Mentre è
totalmente falso che le condizioni poste da AcciaItalia fossero migliori
di quelle di ArcelorMittal, in materia di esuberi, diritti e salari dei
lavoratori, soldi per il piano ambientale; della cordata AcciaItalia
faceva parte Arvedi che è l’industriale immediatamente dopo Riva
distruttore di salute, ecc.
Quindi, Di Maio inganna e ciurla nel manico.
Sanno
bene lor signori che l’annullamento della gara ha solo un’alternativa,
No una nuova gara che avverrebbe in condizioni ancora più disperate,
data la crisi del mercato e degli impianti, ma la nazionalizzazione. Ma
tutti questi mesi hanno già dimostrato ampiamente che l’azienda nerlle
mani dello Stato e del governo è andata peggio su tutti i terreni
rispetto allo stesso periodo di Riva. Nell’attuale situazione l’azienda
nazionalizzata, per stare nel mercato mondiale, nella fase di
protezionismo e guerra commerciale scatenata da Trump, dovrebbe
anch’essa stare alle leggi di questo mercato, di questa guerra: più
lavoro, più sfruttamento, meno operai, taglio dei salari, taglio della
sicurezza e una quantità di denaro dello Stato – che poi sono i
lavoratori e i cittadini che pagano – che nessun governo nello Stato
capitalista è in grado di mettere in campo per il risanamento.
Il
problema, quindi, torna alla casella iniziale. La “soluzione” è sempre
quella dell’inizio: lotta generale ad oltranza, autorganizzazione,
piattaforma operaia, decreto operaio.
Se l’Ilva – come dicono tutti – è così importante, la classe operaia può imporre il suo programma!
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