C'era un tempo in cui i padroni ragionavano e agivano come padroni,
il governo (posto a tutela degli interessi generali della classe dei
padroni) faceva la politica che salvaguardasse il sistema sociale del
capitale, i sindacati facevano i sindacati che rispetto alla politica
dei padroni e del governo, si battevano, organizzavano e lottavano per
gli interessi degli operai.
Ma c'erano anche e soprattutto gli
operai più attivi, più coscienti che, quando anche il sindacato più
vicino alla storia di lotte dei lavoratori la tradiva, si
auorganizzavano, costruivano in fabbrica e fuori propri comitati,
organismi, e soprattutto lottavano, riuscendo spesso a imporre gli
interessi di classe e a strappare risultati.
Oggi siamo
al 50° del 1968/69/Autunno caldo, ed è bene riprendere quella storia
fatta di tantissime lezioni per gli operai - Noi lo stiamo facendo e in
autunno ne cominceremo a parlare diffusamente.
Ma oggi è diverso, oggi c'è la crisi! I sindacati non erano diventati come quelli di oggi. Dicono anche gli operai, quasi rassegnandosi che non si può vincere, che non si possono fare lotte vere.
Ma
negli anni 68/69/70 gli operai non lottavano perchè erano già sicuri di
vincere (anche allora la reazione padronale e dello Stato era tremenda:
licenziamenti, cariche poliziesche, ecc.), lottavano perchè si
ribellavano! Perchè la lotta, gli scioperi, con le fermate, i blocchi,
le occupazioni, le varie e creative forme di blocco della produzione,
erano la strada unica e giusta. In quegli anni già comincia il
cambiamento di natura della Fiom/della Cgil, ma gli operai rispondono
con i comitati di base, ecc.
L'ILVA E' UN ESEMPIO ESEMPLARE DI COME ORA SEMBRI DIFFICILE TUTTO QUESTO.
Dicevamo del 2012/2014: "Ilva la tempesta perfetta". Oggi ci troviamo di fronte a una ripresa della tempesta, MA IMPERFETTA.
Nel
senso che neanche tutti, e ognuno per proprio conto, fanno la loro
parte per contribuire ad una
tempesta annunciata che sembra senza fine;
ma oggi, in più, alcuni degli "attori" fanno la parte di altri, benchè
il fine oggettivo di questa tempesta, se non scendono in campo gli
operai, sarà comunque la consegna degli operai mani e piedi agli
interessi politici del governo e agli interessi di profitto dei padroni.
Il
governo di oggi, non fa più (o non lo fa ancora) un'ennesimo decreto
pro Ilva, ma per bilanciare gli interessi politici/elettorali e quelli
del sistema padronale, fa populismo a parole, fa la finta "democrazia di
tutti" (che, attenzione è invece molto in sintonia con una logica
fascista - chi più di Mussolini convocava i raduni di massa - in cui il
"tutti" è di fatto "nessuno", e alla fine decide uno; in cui il "tutti" è
ridurre ad individualità (in cui anche l'ultimo dovrebbe contare - come
in facebook) che si oppone ed è contro l'organizzazione degli operai e
delle masse, unica straada per contare e decidere) per sembrare vicino
agli interessi degli operai e dei cittadini, e rende cancrenosa la
situazione nei fatti.
I sindacati confederali, compresa
l'Usb, seguono, o peggio attendono (vedi ultima dichiarazione
dell'Usb), i passi del governo, i Tavoli di incontri con governo e/o
azienda, fanno al massimo qualche minaccia, non credibile, ma si
guardano bene dal fare attività che si possa chiamare "sindacale".
Qualcuno di essi (Fiom, Usb) scarica la responsabilità delle mancate
lotte sul clima tra i lavoratori, ma sono, nella versione buona, come
quei genitori che dopo aver "educato" i figli a non fare niente, a non
assumersi alcuna responsabilità (frenandoli anche i momenti pur confusi
di ribellione) poi si lamentano e danno a loro la colpa di come sono
diventati.
GLI OPERAI SEMBRA CHE DEBBANO SBATTERE LA FACCIA CONTRO IL MURO E FARSI VERAMENTE MALE PER RIBELLARSI.
Noi
non abbiamo paura delle sconfitte. Perchè le sconfitte servono anche a
fare piazza pulita di idee sballate e a trovare la via giusta. Ma
occorre che qualche operaio cominci a regionare con la propria testa.
Permetteteci
su questo di riprendere da Marx - le cui analisi e le cui indicazioni
sono tremendamente attuali e devono servire per aprire gli occhi e la
mente. Chiaramente qui Marx parla della rivoluzione, ma il problema che a
volte le sconfitte servono più delle vittorie per capire la strada
giusta, vale anche nella quotidiana lotta di classe:
"...Chi soccombette in queste disfatte non fu la rivoluzione. Furono i fronzoli tradizionali prerivoluzionari, risultato di
rapporti sociali che non si erano ancora acuiti sino a diventare
violenti contrasti di classe, persone, illusioni, idee, progetti, di cui
il partito rivoluzionario non si era liberato prima della rivoluzione
di febbraio e da cui poteva liberarlo non la vittoria di febbraio ma solamente una serie di sconfitte.
In una parola: il progresso rivoluzionario non si fece strada con
le sue tragicomiche conquiste immediate, ma, al contrario, facendo
sorgere una controrivoluzione serrata, potente, facendo sorgere un
avversario, combattendo il quale soltanto il partito dell'insurrezione
raggiunse la maturità di un vero partito rivoluzionario".
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