Nella Palestina devastata dagli
insediamenti il Tribunale militare israeliano processa bambini palestinesi
Sono rarissime le testimonianze e le notizie su una delle più gravi violazioni dei diritti umani che si ripete nella Palestina occupata: il
“processo” di bambini palestinesi davanti al Tribunale militare israeliano.
Pubblichiamo la testimonianza di Sarah Champion, deputata laburista alla Camera dei Comuni di Londra. La corrispondenza è del 10 febbraio ed è stata pubblicata sull’Huffington Post.
Pubblichiamo la testimonianza di Sarah Champion, deputata laburista alla Camera dei Comuni di Londra. La corrispondenza è del 10 febbraio ed è stata pubblicata sull’Huffington Post.
Cosa diavolo sta succedendo in Palestina
e come facciamo a lasciarlo accadere? Fa freddo. Davvero molto freddo. Il vento
arriva come tanti colpi di frusta dall’aperta campagna e il compound militare
che ho davanti è il primo ostacolo che trova nel suo corso. E’ la prima
settimana di gennaio e io sono in Palestina, in coda per entrare dove potrò
vedere di persona i bambini detenuti sotto processo e l’emissione della
sentenza. Sono fortunata. Abbiamo spedito i miei documenti agli Israeliani in anticipo
e i due avvocati internazionali con me sono ben
conosciuti, così bastano 10 minuti e siamo dentro.
conosciuti, così bastano 10 minuti e siamo dentro.
Non così fortunati i genitori che sono
stati in coda a lungo già prima del nostro arrivo. Molto probabilmente partiti
alle cinque per essere lì quando il primo caso sarebbe stato chiamato, alle
nove. La Palestina è un paese molto piccolo, ha circa le stesse dimensioni di
una contea inglese, non è la distanza o la mancanza di mezzi di trasporto
pubblici a rendere i viaggi così lunghi: sono i posti di blocco. Il sessanta
per cento della West Bank della Palestina è designato Area C e praticamente è
tutta sotto il controllo militare israeliano. In parole povere, la maggior
parte della Palestina non è gestita dai Palestinesi, ma dall’IDF, l’esercito
israeliano.
E’ per questo che i bambini palestinesi
che sono venuta a vedere qui oggi sono giudicati da un tribunale militare, non
da uno civile, ed è anche il motivo per cui i genitori hanno impiegato cinque
ore per percorrere poche miglia, poiché il loro percorso era disseminato di
posti di blocco militari. In linea d’aria, il Tribunale militare è solo un paio
di miglia dal mio albergo in Ramallah, ma il viaggio mi ha portato via quasi
un’ora con un’auto privata, avendo dovuto zigzagare, girare in tondo, ripassare
cercando un posto di blocco aperto, che non avesse un’enormità di persone in
coda e che fosse segnalato accessibile. Ed era un’auto con targa israeliana!
Immaginate cosa dev’essere se si è
Palestinesi, su un autobus palestinese, cercando di percorrere venti miglia,
disperatamente in ansia per poter vedere il vostro bambino. Una volta dentro il
compound, entriamo in un piccolo locale di sicurezza. Proprio come in un
aeroporto, mi tolgo scarpe e cappotto, frugano la mia borsa. Stranamente, non
mi è permesso di portare i guanti dentro la stanza, ma posso tenere la penna.
Questo mi ha fatto ridere: mi impediscono di lanciare il guanto di sfida, ma
posso scriverne. Con gli avvocati, usciamo di nuovo e andiamo una grande area
di detenzione. Ci sono centinaia di genitori in attesa che sia chiamato il nome
del loro bambino. La Corte è aperta dalle 09:00 alle 17:00 ma non si sa a che
ora il tuo bambino sarà processato, quindi devi stare lì tutto il giorno.
C’è una piccola mensa, ma nonostante il
freddo molte persone si assiepano all’esterno. Uno dei miei accompagnatori mi
dice che qualunque cosa accada, non devo usare il bagno pubblico. La Corte vera
e propria è alloggiata in grandi prefabbricati dietro una recinzione in
acciaio. Entrando mi colpisce quanto fa caldo e quanto numerose sono le persone
in uniforme che bazzicano lì con aria annoiata. Non mi aspettavo che anche il
giudice fosse in divisa e nemmeno che tanti giovani soldati fossero lì
comandati di servizio.
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