venerdì 10 marzo 2017

pc 10 marzo - CORTEI DELL'8 MARZO - AFFRONTIAMO UN TEMA "A RISCHIO": LA PRESENZA DI TANTI UOMINI NELLE MANIFESTAZIONI DELLE DONNE

Cominciamo a parlarne in maniera che può sembrare provocatoria.
Il 26 novembre nella manifestazione di 200 mila donne un cartello di una ragazza diceva: "In questo giorno tanti uomini sono pubblicamente solidali poi arriva domani, chiudono le porte e ti alzano le mani".
La questione non è uomini sì o uomini no, ma la necessità della lotta autonoma, separata delle donne, una lotta dura, che ponga chiaro la priorità del contro, non pacifica, accogliente. Questa lotta può e deve porre anche tra gli uomini, anche tra i proletari, rotture reali che continuino il "giorno dopo", non adesioni o sostegno, comprensione, o "battiture sul petto" che restano molto ma molto in superficie senza una rivoluzione.
Lenin scriveva: "Pochissimi uomini - anche tra i proletari - si rendono conto della fatica e della pena che potrebbero risparmiare alla donna se dessero una mano al "lavoro della donna". "Gratta un comunista (un compagno, diremmo oggi) e troverai un filisteo! Evidentemente bisogna grattare il punto giusto: la sua concezione della donna...".
 
Il corteo di Taranto aperto dai ragazzi
Nei cortei dell' 8 marzo - emblematico quello di Taranto, dove per una buona parte del percorso, il corteo era aperto dallo striscione "LOTTOMARZOSCIOPERO" portato dai ragazzi, che si credono addirittura "più femministi delle femministe" e anche nelle riunioni di preparazione dell'8 marzo sono stati soverchianti, parlando troppe volte al posto delle ragazze - a volte questa presenza maschile, purtroppo spesso da parte dei ragazzi, è stata portata - non con la coscienza che le concezioni maschiliste, in quanto concezioni, agenti e anche in questo periodo aggressive, della classe dominante, dominano dovunque, in qualsiasi settore sociale in questo sistema, e che quindi molta strada c'è da fare e non basta certo sfilare ogni tanto con le donne, ma occorre una rivoluzione che rovesci terra e cielo - ma con un atteggiamento quasi di autocompiacimento. 
Così non c'è coscienza critica, autocritica che trasforma, ma in un lungo processo rivoluzionario; così c'è "tranquillità", non lotta.

Riportiamo su questo una parte di un interessante dibattito che c'è stato in un'assemblea del dicembre 2015 con le compagne di Napoli dell'ex Opg - Je sò pazzo, durante la marcia delle donne del Movimento femminista proletario rivoluzionario:

DOMANDA DELLE COMPAGNE - I compagni uomini come si pongono rispetto alla vostra militanza? Il percorso è insieme oppure è soltanto una cosa delle donne, delle compagne o delle operaie delle lavoratrici e cosi via? Il perchè di questa domanda? Perchè noi questo problema ce lo
poniamo spesso... Questa sera siamo più compagne che compagni e anche in generale siamo tantissime compagne e meno compagni... Questo è un discorso che noi cerchiamo di portare avanti in primis con i nostri compagni, perchè chiaramente i retaggi culturali uno se li porta anche appresso, perchè purtroppo noi viviamo in questa società che è fatta cosi..... E deve partire anche da loro stessi il cambiamento di atteggiamento che hanno nei confronti delle loro compagne, delle loro mogli e di tutte le donne che vivono nella loro sfera personale. La mia domanda parte anche da una riflessione culturale tra virgolette anche più ampia.

RISPOSTA DEL MFPR -  Portiamo alcuni esempi per cominciare: a Melfi sia la raccolta delle firme è stata fatta da un operaia, Pina, insieme a alcuni compagni operai, sia oggi dopo l’intervento in fabbrica, insieme a Pina, abbiamo incontrato anche due operai; due operai cui alcune operaie scherzando avevano detto "ma tu che sei diventato donna?!". Questo per dire che questa
battaglia è pienamente sostenuta dagli operai più coscienti e anche autocritici, che riconoscono che normalmente in quella fabbrica, ma non solo in quella fabbrica, le operaie sono in un certo senso sottovalutate, al massimo rientrano in un punto in una piattaforma sindacale… Quindi operai che si mettono in discussione su questa cosa. Un'altra questione.
Questa marcia è pienamente sostenuta dai nostri compagni e non solo a parole. Se voi aprite i nostri blog vi trovate oggi gli articoli di quello che stiamo facendo, e questo non lo fanno altre compagne ma i compagni maschi. Quando c'è stato lo sciopero delle donne nel 2013, a Palermo, i lavoratori del cobas dei precari delle cooperative sociali, che è formato a
maggioranza di donne, hanno sostenuto praticamente lo sciopero delle donne, nel senso che hanno aiutato nella preparazione dell'iniziativa. Accanto alle squadre femminili per gli attacchinaggi delle locandine dello sciopero ci sono state le squadre solo di compagni che sono andati ad attaccare le locandine anche in serate diverse da quelle delle compagne. Poi quando c'è stato il corteo molto partecipato di donne, il giorno dello sciopero, i lavoratori hanno anch’essi scioperato e durante il corteo di donne, lavoratrici, studentesse hanno sfilato ai lati delle strade...
Ma chiaramente nulla è scontato. Questo è comunque sempre frutto di una battaglia delle donne, di una lotta in cui scoppiano contraddizioni tra lavoratori e lavoratrici. Le lavoratrici che hanno bambini fanno sicuramente uno sforzo maggiore per parteçipare alla lotta e spesso devono fare anche una lotta a casa per andare ad una manifestazione, ecc. E’ una lotta che deve portare al fatto che i lavoratori, i compagni riconoscano, che lo vogliano o no, questa battaglia che porta elementi di rottura, di necessità di cambiamenti… Le donne sono la maggioranza delle masse… Chi non lo riconosce, parla di masse senza capire. Nelle lotte che facciamo, di lavoratori, precari, disoccupati, ecc, la maggior parte sono donne. E le donne inevitabilmente portano un elemento di lotta nella lotta. Per fare un esempio, la compagna di Taranto, Chiara che è qui con noi oggi, per stare qui ha dovuto fare una lotta con il marito; lei ha anche un figlio piccolo, fino a ieri mattina aveva telefonato dicendo di non venire perchè il marito non voleva tenersi il bambino,
abbiamo detto che invece doveva per forza venire e lei l'ha posta giustamente in termini duri di lotta. Questo da un lato mostra la condizione doppiamente pesante delle donne, soprattutto delle donne lavoratrici, che si devono smazzare ogni giorno, che spesso si sono dovute conquistare il lavoro con la lotta; dall'altro però porta una ricchezza, un in “di più”.
Noi siamo contrarie al “separatismo” come è posto dal femminismo piccolo borghese, ma se con questa critica al
separatismo si vuole negare la necessità dell'autorganizzazione indipendente delle donne, allora noi siamo “separatiste”! Perchè se le donne non si autorganizzano, se non si organizza la ribellione delle donne contro tutti gli aspetti della condizione di oppressione della maggioranza delle donne, in realtà le donne non possono diventare una forza poderosa della rivoluzione per rovesciare questo sistema capitalista, per fare una rivoluzione nella rivoluzione che trasformi la terra e il cielo.
Noi abbiamo organizzato lavoratrici che hanno fatto una lotta nel 2007 che ha bloccato Taranto per settimane e settimane - la gente ci fermava ogni giorno per chiedere se il ponte fosse bloccato o meno; era come se le lavoratrici avessero il “potere” in città, era come una guerra in cui c'era da un lato tutto il potere del Comune, della polizia e dall'altro il contropotere delle donne. Anche gli incontri erano fatti con lo spirito di una “guerra”, in cui le donne ci mettevano tutto il peso della loro condizione, alcune portavano i figli negli incontri con il Prefetto. La partecipazione delle donne in una lotta è diversa da quella di un compagno, di un lavoratore che viene fa la lotta e torna a casa. Quando viene una donna è come se con lei venisse altra gente; quando torna a casa una donna che ha diretto un blocco stradale non può tranquillamente accettare che deve solo lei lavare i piatti, non lo accetta più e inizia a lottare anche in casa. A Melfi nel 2004 ci sono stati i 21 giorni di lotta degli operai e operaie in cui la fabbrica era bloccata, in cui ogni giorno si facevano le assemblee per decidere cosa fare il giorno dopo, e c'erano le operaie che dicevano “io fino a oggi
dovevo lasciare la casa bella pulita, ora me ne frego della casa”; ci sono state anche delle separazioni in quei giorni di lotta… Le donne portano la lotta dentro la famiglia. Diceva unacompagna rivoluzionaria del Nepal: “le donne politicizzano la famiglia” e i mariti, compagni si devono schierare… Lo stesso deve avvenire in fabbrica con gli operai: "Ti metti con me a raccogliere le firme, oppure no?" E li c'è la spaccatura, c'è chi si mette a raccogliere firme e chi no.

Però su questo chi può dare il motore? Tutti insieme? Fino ad un certo punto… Sono le donne che devono dare il motore e quindi gli altri devono scegliere da che parte stare.

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