lunedì 6 marzo 2017

pc 6 marzo - Il ministro social fascista Minniti, degno erede del socialfascismo storico del PCI revisionista - Un contributo con una analisi politico-giuridica del Decreto Minniti

da infoaut

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«Libertà è sicurezza», questa la chiosa con cui l'attuale ministro dell'interno Marco Minniti dava avvio ad un convegno in tema di sicurezza tenutosi nel 2014 a Perugia. Due semplici parole che tuttavia, nel loro concatenarsi, tracciano alla perfezione il profilo dell'“uomo dei servizi” Minniti. Profilo ex PCI, da quasi 20 anni colleziona incarichi, come sottosegretario, tra la presidenza del consiglio dei ministri e i ministeri di interni e difesa.
Laureato in fliosofia e assistente universitario, la sua è stata una carriera notevole. Cresciuto nelle sezioni della FGCI della Piana di Gioia Tauro, diventa poi segretario calabrese dei DS. Fedelissimo di D'Alema prima, del Partito Democratico a trazione Renziana poi, è uno dei pochi membri del PD ad aver superato indenne - anzi è stato premiato con la poltrona di ministro - la parabola funesta del partito della nazione, iniziata con Letta, continuata con Renzi e ora con Gentiloni.
Forse per la propria storia politica, forse per biografia personale, sembra scorgersi dietro la sua idea di «sfatare il tabù che le politiche di sicurezza siano “par excellence” di destra
» e alla convinzione «che la sicurezza sia pane per i denti della sinistra» , una sorta di concezione hegeliana sull'oggettivizzazione della libertà garantita dallo Stato.
Malgrado questo “nobile” (ma per noi sciagurato) riferimento culturale, è tuttavia possibile rintracciare altrove la ratio che muove l'ultimo pacchetto sicurezza (DL. n°14/2017 ). Un'attività di normazione che si inserisce in una tradizione, quantomeno occidentale, di attacco alla povertà, di gestione della marginalità sociale, di tolleranza zero nei confronti di tutti ciò che non è disciplinato e conforme. Una tradizione che almeno in Italia, tra sindaci sceriffi e ministri reazionari, abbiamo fin dalla seconda metà degli anni '90, e che è diventata più evidente con il contributo dell'allora ministro Maroni (autore di due decreti sicurezza nel 2008 e nel 2009).
Una securitarizzazione dello spazio e un contrasto all'alterità che ha radici molto profonde, tanto da far assurgere la sicurezza a tema centrale non solo per campagne elettorali, ma anche per veri e propri modi per stabilizzare e accelerare le espropriazioni capitalistiche in atto nelle metropoli (dai processi di gentrification e riqualificazione, alla creazione di tavoli concertativi tra diversi soggetti pubblici e privati, alla proliferazione di dispositivi di sicurezza privati).
Principali novità del decreto legge recante «Disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle città».
Affrescato il ritratto dell'autore del nuovo testo sulla sicuezza, è interessante vedere quali siano le novità introdotte, sia per la loro attitudine ad incidere sul “livello basso” della composizione sociale (poveri e marginalizzati in genere) sia per la volontà, espressa più volte nel testo, di combattere i fenomeni di occupazione illecita di spazi e di immobili pubblici e privati, nonché «qualsiasi atto che comunque comporti una turbativa del libero utilizzo degli spazi pubblici».
Primo elemento di novità è di natura definitoria, all'art.4 infatti, la sicurezza urbana è definita come il «bene pubblico» collegato, in modo nettamente più esplicito rispetto al passato, al “decoro” e alla “vivibilità” della città. È evidente quindi che siamo di fronte ad un decreto che da un lato pensa di poter intervenire su comportamenti lesivi della persona o del patrimonio, dall'altro si connota per un carattere moralizzante e paternalistico, puntando il dito su comportamenti, attitudini e stili di vita incompatibili. Conseguentemente è normale che, all'interno dello stesso articolo, vengano individuate come soluzioni la «riqualificazione di aree e siti più degradati» e «promozione del rispetto della legalità».
Proprio sotto quest'ultimo profilo l'art. 5, che disciplina i «Patti per la sicurezza urbana»,dispone che prefetto e sindaco, nel rispetto di alcune linee decise dal ministero degli interni, possano prevedere qualsiasi iniziativa di «dissuasione di ogni forma di condotta illecita […] nonché la prevenzione di altri fenomeni che comunque turbano il libero utilizzo degli spazi pubblici». Particolare accento poi è posto, sempre nell'ambito dei «Patti per la sicurezza urbana», sull'individuazione di aree e zone da sottoporre a maggiore tutela.
Altro elemento chiave nel testo, a cui è dedicata la I° sezione del decreto, è la sicurezza integrata (art.1 ). Quello che emerge in questo caso è, se pur all'interno di un meccanismo che vede comunque il ministero degli interni definire le linee generali delle politiche pubbliche in materia, un allargamento della gestione securitaria: perché da un lato gli enti locali, i sindaci e le città metropolitane (è istituito anche il comitato metropolitano per la sicurezza) vedono aumentare le proprie responsabilità e i propri poteri; dall'altro è favorito l'ingresso di enti non economici e soggetti privati (art. 7), soggetti non statali che si vanno ad aggiungere alle centinaia di istituti di vigilanza privata che popolano le nostre metropoli.
Le modifiche degli artt. 50 e 54 del TUEL (Testo unico sugli enti locali) invece, garantiscono maggiore potere ai sindaci in termini di ordinanze. Quello che anche qui emerge rispetto alle fumose previsioni del passato (che parlavano genericamente la salute e sicurezza pubblica/ordine pubblico) è la specificazione di soggetti e comportamenti. Infatti, oltre a parlalre genericamente di «degrado» e «incuria» i provvedimenti presi in esame dall'art.8 del DL. n°14/2017 sono diretti a prevenire e contrastare prostituzione, accattonaggi, spaccio/tossicodipendenza, abusivismo, occupazione illecita di spazi pubblici. La ragione che muove tale norma è quella di creare, attraverso il sistema delle ordinanze (a cui sono poi collegate delle sanzioni amministrative), un'asettica città vetrina fatta solo di presenze desiderabili. Gli altri, gli indesiderabili, la racaille, sono individuati, etichettati, sanzionati e espulsi dallo spazio pubblico (o per lo meno da alcune aree di esso).
Proprio all'espulsione dallo spazio pubblico sono dedicati gli artt. 9 e 10. Questi prevedono un rafforzamento del sistema sanzionatorio introducendo una nuova sanzione amministrativa pecuniaria , il cui focus è palesemente l'attivismo politico. A tale sanzione è collegata l'introduzione dell'ordine di allontanamento e del divieto di accesso da determinate aree o luoghi della città: questo vuol dire che vi è una possibilità, in capo al sindaco (con l'ordine di allontanamento) e al questore (con entrambi) di allontanare un determinato soggetto da alcune aree o edifici della città e di proibirgli l'accesso per un periodo che va, in caso di reiterazione della condotta illecita, da 6 mesi a 2 anni. Il decreto prevede inoltre degli effetti anche da un punto di vista processuale, ora la concessione della sospensione condizionale della pena può essere subordinata all'imposizione del divieto di accedere a luoghi o aree specificamente individuati.
Tra gli ultimi elementi che possono interessare, soprattutto una soggettività come la nostra, sono sicuramente quelli previsti dall'art.11 («Disposizioni in materia di occupazioni arbitrarie di immobili»). Il “decreto Minniti” attribuisce al Prefetto il compito scegliere modalità, tempi e priorità degli sgomberi, infatti sarà egli a «impartire, sentito il comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, disposizioni per prevenire [...] il pericolo di possibili turbative per l'ordine e la sicurezza pubblica e per assicurare il concorso della Forza pubblica all'esecuzione di provvedimenti dell'autorità giudiziaria concernenti i medesimi immobili». La motivazione, secondo il decreto sta nel fatto che il Prefetto si faccia garante dei diversi interessi e conflitti in gioco, tuttavia chi ha esperienza con le lotte sindacali e operaie comprende come questo crei un ulteriore livello di scontro, oltre che un collegamento diretto con il Governo e con Minniti stesso.
Sicurezza tra populismo e attacco classista alla povertà.
Tra le righe del testo vi è quindi una risposta del neoliberismo in salsa italiana, alle ventate di populismo che devono molto del proprio successo alla paura e alla percezione di insicurezza. Tuttavia in questo caso la strategia è più fine – non punta solamente ad un tornaconto elettorale facendo “ammalare di terrore” e pompando odio sociale – ma individua e colpisce precisi soggetti. Ovvero tutti coloro che per l'uno o per l'altro motivo rappresentano sono presenze disarmoniche e incompatibili con lo spazio sociale. Ma a ben vedere, dietro non vi è solo una questione estetica, moralizzante e paternalistica puntata sul decoro. Vi è piuttosto una strategia ben precisa di attacco repressivo contro tutta una grande fascia di composizione sociale a cui non possono essere garantiti diritti, reddito e assistenza. Una volta individuate le classi laboriose a cui possono essere elargite elemosine (sia sul piano dei diritti che del reddito) senza inceppare la “legge del valore”, per tutti gli altri la feccia non c'è più posto, per questo bisogna attivare dei violenti meccanismi di espulsione e neutralizzazione. 

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