MILANO,
LA LOTTA
DEGLI OPERAI INNSE
Dismissione di gran parte delle macchine e diminuzione di organico: la strenua resistenza degli operai della storica fabbrica, che ha già vinto una volta, non si ferma. E mette in imbarazzo la FIOM.
Via
Rubattino
appare come uno stradone anonimo, uno dei tanti che conducono fuori
Milano.
Al contrario, questa striscia d’asfalto che congiunge la periferia nord-est del
capoluogo lombardo alla città di Segrate
è una delle più vive trincee della lotta
di classe, ciclicamente al centro, nel corso degli ultimi tre
decenni, di pagine significative della resistenza
operaia contro la dismissione del nostro apparato produttivo e
per il protagonismo sul luogo di lavoro. Al margine della strada trovano infatti
posto gli stabilimenti
della INNSE, storica fabbrica del settore della meccanica
pesante, vittima della deindustrializzazione
che ne ha ridotto ai minimi termini estensione e maestranze. Tutto intorno, la
spettrale archeologia industriale dei vecchi, sterminati capannoni
Innocenti, memorie diroccate di una fase storica drammaticamente
conclusa.
Le poche decine di operai
rimasti a lavorare alla INNSE, circondati da tanta desolazione,
non
hanno mai smesso di lottare per la salvezza della loro fabbrica. Ultimo e recentissimo capitolo, il passaggio in Consiglio comunale a Milano. Il 6 febbraio scorso infatti erano proprio a Palazzo Marino per sostenere l’interrogazione indirizzata all’Assessore per le politiche del lavoro, attività produttive, commercio e risorse umane della giunta Sala, Cristina Tajani, che il consigliere Simone Sollazzo ha presentato per far intervenire il Comune di Milano e costringere il Gruppo Camozzi, proprietario dello stabilimento, a sospendere lo smantellamento dei macchinari in virtù dell’accordo firmato (anche dalla giunta Moratti) nel 2009 per l’acquisizione, al prezzo simbolico di 1 euro, dell’area su cui sorge la fabbrica (30.000 metri quadri).
hanno mai smesso di lottare per la salvezza della loro fabbrica. Ultimo e recentissimo capitolo, il passaggio in Consiglio comunale a Milano. Il 6 febbraio scorso infatti erano proprio a Palazzo Marino per sostenere l’interrogazione indirizzata all’Assessore per le politiche del lavoro, attività produttive, commercio e risorse umane della giunta Sala, Cristina Tajani, che il consigliere Simone Sollazzo ha presentato per far intervenire il Comune di Milano e costringere il Gruppo Camozzi, proprietario dello stabilimento, a sospendere lo smantellamento dei macchinari in virtù dell’accordo firmato (anche dalla giunta Moratti) nel 2009 per l’acquisizione, al prezzo simbolico di 1 euro, dell’area su cui sorge la fabbrica (30.000 metri quadri).
Questa pagina istituzionale arriva
dopo proteste, presidi e picchetti. Il padrone, Marco
Camozzi del Gruppo che porta il suo nome, non
gradisce la durezza della lotta e intende trascinare gli operai in tribunale per
il risarcimento del danno rappresentato dai pagamenti erogati a ditte esterne
per i lavori di smantellamento dei macchinari impediti dalla mobilitazione
decisa dalla RSU. Una mossa totalmente antisindacale che mette
in grave difficoltà economica diverse decine di lavoratori. Gli operai della
INNSE non si danno certo per vinti e hanno creato un sito (http://www.giulemanidallainnse.it/)
per sostenere le spese legali che devono corrispondere. Chiedono a tutti di
mostrarsi solidali con la loro battaglia contro un padronato che non vede l’ora
che il menefreghismo trionfi per aver mano libera e poter colpire senza più
freni.
La INNSE è un’eccellenza nazionale e
internazionale della meccanica pesante. Le sue lavorazioni vanno dalle alesature
alle torniture passando per gli ingranaggi di precisione, e lo stabilimento è
dotato di macchinari unici adatti a servire il settore petrolchimico, eolico e
nucleare. Il Gruppo Camozzi, proprietario attuale, nasce nel
1964 a
Lumezzane, nel bresciano, inizialmente attivo nella produzione di componenti
pneumatici per l’automazione industriale. Nel
2015 fatturava 400 milioni di euro. A oggi
possiede 13 aziende ed è presente in 70 paesi, impiegando
2.300
dipendenti.
Storicamente la INNSE ha origine dalla
Innocenti
Sant’Eustacchio, azienda di primissimo piano nel settore delle
costruzioni
meccaniche sorta nel 1972 a seguito del passaggio sotto controllo IRI
della divisione meccanica pesante di quella
stessa Innocenti già culla della Resistenza e tra i motori delle grandi lotte
operaie degli anni ‘60 e ‘70. A memoria di quel passato
glorioso, all’interno dello stabilimento trova posto una lapide che ne ricorda
gli operai deportati nei lager nazisti a seguito del grande
sciopero antifascista del 1943. Ogni anno, all’approssimarsi del
25 aprile, in un giorno convenuto, la sirena chiama a raccolta gli operai e gli
impiegati, che fermano il lavoro e commemorano insieme all’ANPI i compagni
caduti.
Vittima
delle grandi privatizzazioni degli anni ‘90, la INNSE è stata da allora più
volte oggetto delle mire di affaristi e speculatori, attratti più dalla
prospettiva di lucrare sull’edificabilità dell’ex area industriale che da quella
dello sviluppo dell’insediamento produttivo, passando di mano in mano fino
all’attuale proprietà. A ogni cambio di proprietà ha fatto riscontro una
battaglia
operaia in difesa della fabbrica.
L’ultimo passaggio, memorabile,
ebbe inizio nel maggio
2008 con l’improvvisa apertura della procedura di mobilità da
parte del proprietario di allora, Silvano
Genta, imprenditore amico della Lega,
subentrato nel 2006 al Gruppo Manzoni. Gli
operai occuparono la fabbrica e la fecero funzionare per tre
mesi, portando a termine le commesse già accettate, finché non
furono sgomberati
dalla polizia nel settembre dello stesso anno. Immediatamente si
costituì un presidio
permanente nella portineria della fabbrica, che ne difese
l’ingresso per impedire
la rottamazione dei macchinari fino all’agosto 2009, quando
l’ostinata
resistenza degli operai, culminata con l’asserragliarsi di
quattro di loro e un funzionario FIOM su un carroponte per una settimana, non
costrinse le autorità politiche a dar vita a una serrata mediazione che condusse
all’acquisizione dello stabilimento da parte del Gruppo Camozzi. La
proprietà subentrante acquistò l’area al prezzo di 1 euro grazie ad un
accordo, sottoscritto tra gli altri da Palazzo Marino, che
prevedeva uno scambio di terreni con il titolare di quello di Via Rubattino
(Immobiliare Aedes), in cambio di un aumento dei livelli occupazionali e della
produzione. Ovviamente fu rispettata solo la prima parte dell’accordo, tanto che
l’intenzione padronale a tutt’oggi è quella di smantellare i macchinari e
cacciare i lavoratori.
Il nuovo scontro, acceso dalla
presentazione di un piano di ristrutturazione aziendale che prevede la
dismissione di parte significativa del parco macchine e una diminuzione di
organico, ha avuto il suo culmine il 28 e 29 novembre scorsi, quando le squadre
dello smantellamento erano già pronte per smontare alcuni macchinari ritenuti
dagli operai indispensabili per proseguire l’attività produttiva. Ancora
una volta, per due giornate gli operai sono tornati a presidiare i cancelli del
loro stabilimento per contrastare i diktat di Camozzi e
riaffermare un protagonismo operaio sempre più legato, nell’Italia di oggi, alla
necessaria opposizione
radicale, di classe, contro la nuova divisione internazionale del
lavoro che ha individuato nel nostro potenziale produttivo un
elemento scomodo da sopprimere e in quanto sopravvive della coscienza e capacità
di lotta della nostra classe operaia un ostacolo intollerabile da spezzare.
S’impone qui registrare come
all’attacco contro gli operai dell’INNSE, rei di avere respinto accordi circa il
piano di ristrutturazione industriale stipulati dalla direzione provinciale
della FIOM con l’azienda senza il loro consenso, si sia sommato negli ultimi
mesi anche il sindacato metalmeccanico della CGIL: in una lettera ai propri
iscritti resa nota in dicembre, le
segreterie provinciale e nazionale della FIOM hanno preso pubblicamente le
distanze dalla RSU INNSE, accusandola di assumere posizioni avventuriste capaci
di generare “situazioni difficilmente gestibili sul piano
sindacale”. In sostanza, ciò che viene rimproverato agli operai
INNSE è di essere troppo insubordinati, al padrone come alle burocrazie, e
troppo conflittuali.
La
INNSE rappresenta dunque un caso
emblematico della deindustrializzazione del territorio che, negli ultimi tre
decenni, ha violentato e trasformato in profondità la fisionomia dei nostri
distretti industriali. Il quartiere
di Lambrate è uno degli esempi lampanti del fenomeno. Ancora
negli anni ‘80 vi erano impiegati circa duemila operai. Nel 2009 erano ridotti a
quarantanove. Lambrate,
Sesto San Giovanni, Rogoredo, Viale Sarca, Arese: zone del milanese ricche di
lavoro e di eccellenze che per lo sciacallaggio delle immobiliari hanno visto
via via perdersi gli stabilimenti, il rumore delle sirene di
fine turno, la massa umana che per decenni ha popolato le varie linee di
produzione. Tutto a
beneficio della speculazione edilizia, in una provincia il cui
solo capoluogo conta oltre settantamila vani sfitti. A Lambrate si producevano
la Lambretta
e l’Innocenti, a Sesto avevano sede la Breda, la Falck e la Pirelli. In Viale Sarca sono casi recenti quelli
della Marcegaglia e della Mangiarotti Nuclear.
Oggi
si vedono palazzi e non più le fabbriche: la bolla speculativa ha divorato
tutto, emblema della natura pericolante di un sistema economico putrido la cui
crisi sta spazzando via l’effimero benessere conquistato in decenni di sudore,
lavoro e dignità. Quando a scuola si parlava di triangolo industriale
Milano-Genova-Torino non si poteva che pensare a tutto ciò. Impianti che hanno
fatto la fortuna dell’Italia trascinandola fuori dall’arretratezza verso il
ruolo di potenza industriale. Perdite
di eccellenze e di posti di lavoro che difficilmente si recupereranno.
Significativamente, a difendere ciò che fonda e dà sostanza al nostro sviluppo
economico sono gli operai, investiti di una funzione storica che
spesso trascende la loro stessa coscienza di classe, oppure che la anima e la
nutre, come nel caso della comunità operaia della INNSE.
In questi giorni, con il tentativo
di trascinare gli operai in tribunale come rappresaglia per il successo della
loro mobilitazione sindacale, l’arroganza padronale del Gruppo Camozzi giunge
all’apice. Essa ci chiama a supportare la lotta degli operai INNSE in modo
concreto, aiutandoli a sostenere le spese
legali. Lottiamo insomma non solo per un pugno di lavoratori che
rischiano il posto, ma anche per noi stessi, per non cedere alla violenza del
padrone e dei palazzinari che si cerca di imporci come la norma nelle relazioni
sociali e che ci sta trascinando alla rovina.
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