sabato 11 marzo 2017

pc 11 marzo - Il caso INNSE di Milano - un contributo per capire

MILANO, LA LOTTA DEGLI OPERAI INNSE

 

Dismissione di gran parte delle macchine e diminuzione di organico: la strenua resistenza degli operai della storica fabbrica, che ha già vinto una volta, non si ferma. E mette in imbarazzo la FIOM.

Via Rubattino appare come uno stradone anonimo, uno dei tanti che conducono fuori Milano. Al contrario, questa striscia d’asfalto che congiunge la periferia nord-est del capoluogo lombardo alla città di Segrate è una delle più vive trincee della lotta di classe, ciclicamente al centro, nel corso degli ultimi tre decenni, di pagine significative della resistenza operaia contro la dismissione del nostro apparato produttivo e per il protagonismo sul luogo di lavoro. Al margine della strada trovano infatti posto gli stabilimenti della INNSE, storica fabbrica del settore della meccanica pesante, vittima della deindustrializzazione che ne ha ridotto ai minimi termini estensione e maestranze. Tutto intorno, la spettrale archeologia industriale dei vecchi, sterminati capannoni Innocenti, memorie diroccate di una fase storica drammaticamente conclusa.
Le poche decine di operai rimasti a lavorare alla INNSE, circondati da tanta desolazione, non
hanno mai smesso di lottare per la salvezza della loro fabbrica. Ultimo e recentissimo capitolo, il passaggio in Consiglio comunale a Milano. Il 6 febbraio scorso infatti erano proprio a Palazzo Marino per sostenere l’interrogazione indirizzata all’Assessore per le politiche del lavoro, attività produttive, commercio e risorse umane della giunta Sala, Cristina Tajani, che il consigliere Simone Sollazzo ha presentato per far intervenire il Comune di Milano e costringere il Gruppo Camozzi, proprietario dello stabilimento, a sospendere lo smantellamento dei macchinari in virtù dell’accordo firmato (anche dalla giunta Moratti) nel 2009 per l’acquisizione, al prezzo simbolico di 1 euro, dell’area su cui sorge la fabbrica (30.000 metri quadri).

Questa pagina istituzionale arriva dopo proteste, presidi e picchetti. Il padrone, Marco Camozzi del Gruppo che porta il suo nome, non gradisce la durezza della lotta e intende trascinare gli operai in tribunale per il risarcimento del danno rappresentato dai pagamenti erogati a ditte esterne per i lavori di smantellamento dei macchinari impediti dalla mobilitazione decisa dalla RSU. Una mossa totalmente antisindacale che mette in grave difficoltà economica diverse decine di lavoratori. Gli operai della INNSE non si danno certo per vinti e hanno creato un sito (http://www.giulemanidallainnse.it/) per sostenere le spese legali che devono corrispondere. Chiedono a tutti di mostrarsi solidali con la loro battaglia contro un padronato che non vede l’ora che il menefreghismo trionfi per aver mano libera e poter colpire senza più freni.
La INNSE è un’eccellenza nazionale e internazionale della meccanica pesante. Le sue lavorazioni vanno dalle alesature alle torniture passando per gli ingranaggi di precisione, e lo stabilimento è dotato di macchinari unici adatti a servire il settore petrolchimico, eolico e nucleare. Il Gruppo Camozzi, proprietario attuale, nasce nel 1964 a Lumezzane, nel bresciano, inizialmente attivo nella produzione di componenti pneumatici per l’automazione industriale. Nel 2015 fatturava 400 milioni di euro. A oggi possiede 13 aziende ed è presente in 70 paesi, impiegando 2.300 dipendenti.
Storicamente la INNSE ha origine dalla Innocenti Sant’Eustacchio, azienda di primissimo piano nel settore delle costruzioni meccaniche sorta nel 1972 a seguito del passaggio sotto controllo IRI della divisione meccanica pesante di quella stessa Innocenti già culla della Resistenza e tra i motori delle grandi lotte operaie degli anni ‘60 e ‘70. A memoria di quel passato glorioso, all’interno dello stabilimento trova posto una lapide che ne ricorda gli operai deportati nei lager nazisti a seguito del grande sciopero antifascista del 1943. Ogni anno, all’approssimarsi del 25 aprile, in un giorno convenuto, la sirena chiama a raccolta gli operai e gli impiegati, che fermano il lavoro e commemorano insieme all’ANPI i compagni caduti.
Vittima delle grandi privatizzazioni degli anni ‘90, la INNSE è stata da allora più volte oggetto delle mire di affaristi e speculatori, attratti più dalla prospettiva di lucrare sull’edificabilità dell’ex area industriale che da quella dello sviluppo dell’insediamento produttivo, passando di mano in mano fino all’attuale proprietà. A ogni cambio di proprietà ha fatto riscontro una battaglia operaia in difesa della fabbrica.
L’ultimo passaggio, memorabile, ebbe inizio nel maggio 2008 con l’improvvisa apertura della procedura di mobilità da parte del proprietario di allora, Silvano Genta, imprenditore amico della Lega, subentrato nel 2006 al Gruppo Manzoni. Gli operai occuparono la fabbrica e la fecero funzionare per tre mesi, portando a termine le commesse già accettate, finché non furono sgomberati dalla polizia nel settembre dello stesso anno. Immediatamente si costituì un presidio permanente nella portineria della fabbrica, che ne difese l’ingresso per impedire la rottamazione dei macchinari fino all’agosto 2009, quando l’ostinata resistenza degli operai, culminata con l’asserragliarsi di quattro di loro e un funzionario FIOM su un carroponte per una settimana, non costrinse le autorità politiche a dar vita a una serrata mediazione che condusse all’acquisizione dello stabilimento da parte del Gruppo Camozzi. La proprietà subentrante acquistò l’area al prezzo di 1 euro grazie ad un accordo, sottoscritto tra gli altri da Palazzo Marino, che prevedeva uno scambio di terreni con il titolare di quello di Via Rubattino (Immobiliare Aedes), in cambio di un aumento dei livelli occupazionali e della produzione. Ovviamente fu rispettata solo la prima parte dell’accordo, tanto che l’intenzione padronale a tutt’oggi è quella di smantellare i macchinari e cacciare i lavoratori.
Il nuovo scontro, acceso dalla presentazione di un piano di ristrutturazione aziendale che prevede la dismissione di parte significativa del parco macchine e una diminuzione di organico, ha avuto il suo culmine il 28 e 29 novembre scorsi, quando le squadre dello smantellamento erano già pronte per smontare alcuni macchinari ritenuti dagli operai indispensabili per proseguire l’attività produttiva. Ancora una volta, per due giornate gli operai sono tornati a presidiare i cancelli del loro stabilimento per contrastare i diktat di Camozzi e riaffermare un protagonismo operaio sempre più legato, nell’Italia di oggi, alla necessaria opposizione radicale, di classe, contro la nuova divisione internazionale del lavoro che ha individuato nel nostro potenziale produttivo un elemento scomodo da sopprimere e in quanto sopravvive della coscienza e capacità di lotta della nostra classe operaia un ostacolo intollerabile da spezzare.
S’impone qui registrare come all’attacco contro gli operai dell’INNSE, rei di avere respinto accordi circa il piano di ristrutturazione industriale stipulati dalla direzione provinciale della FIOM con l’azienda senza il loro consenso, si sia sommato negli ultimi mesi anche il sindacato metalmeccanico della CGIL: in una lettera ai propri iscritti resa nota in dicembre, le segreterie provinciale e nazionale della FIOM hanno preso pubblicamente le distanze dalla RSU INNSE, accusandola di assumere posizioni avventuriste capaci di generare “situazioni difficilmente gestibili sul piano sindacale”. In sostanza, ciò che viene rimproverato agli operai INNSE è di essere troppo insubordinati, al padrone come alle burocrazie, e troppo conflittuali.
La INNSE rappresenta dunque un caso emblematico della deindustrializzazione del territorio che, negli ultimi tre decenni, ha violentato e trasformato in profondità la fisionomia dei nostri distretti industriali. Il quartiere di Lambrate è uno degli esempi lampanti del fenomeno. Ancora negli anni ‘80 vi erano impiegati circa duemila operai. Nel 2009 erano ridotti a quarantanove. Lambrate, Sesto San Giovanni, Rogoredo, Viale Sarca, Arese: zone del milanese ricche di lavoro e di eccellenze che per lo sciacallaggio delle immobiliari hanno visto via via perdersi gli stabilimenti, il rumore delle sirene di fine turno, la massa umana che per decenni ha popolato le varie linee di produzione. Tutto a beneficio della speculazione edilizia, in una provincia il cui solo capoluogo conta oltre settantamila vani sfitti. A Lambrate si producevano la Lambretta e l’Innocenti, a Sesto avevano sede la Breda, la Falck e la Pirelli. In Viale Sarca sono casi recenti quelli della Marcegaglia e della Mangiarotti Nuclear.
Oggi si vedono palazzi e non più le fabbriche: la bolla speculativa ha divorato tutto, emblema della natura pericolante di un sistema economico putrido la cui crisi sta spazzando via l’effimero benessere conquistato in decenni di sudore, lavoro e dignità. Quando a scuola si parlava di triangolo industriale Milano-Genova-Torino non si poteva che pensare a tutto ciò. Impianti che hanno fatto la fortuna dell’Italia trascinandola fuori dall’arretratezza verso il ruolo di potenza industriale. Perdite di eccellenze e di posti di lavoro che difficilmente si recupereranno. Significativamente, a difendere ciò che fonda e dà sostanza al nostro sviluppo economico sono gli operai, investiti di una funzione storica che spesso trascende la loro stessa coscienza di classe, oppure che la anima e la nutre, come nel caso della comunità operaia della INNSE.
In questi giorni, con il tentativo di trascinare gli operai in tribunale come rappresaglia per il successo della loro mobilitazione sindacale, l’arroganza padronale del Gruppo Camozzi giunge all’apice. Essa ci chiama a supportare la lotta degli operai INNSE in modo concreto, aiutandoli a sostenere le spese legali. Lottiamo insomma non solo per un pugno di lavoratori che rischiano il posto, ma anche per noi stessi, per non cedere alla violenza del padrone e dei palazzinari che si cerca di imporci come la norma nelle relazioni sociali e che ci sta trascinando alla rovina.

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